Flessione nei consumi nazionali e nelle esportazioni di birra: il comparto brassicolo italiano ha subìto, nel 2020, una battuta d'arresto, d'altra parte la pandemia da Covid-19 ha costretto tutti a casa colpendo duramente l'Horeca. I dati per il 2020, da poco resi noti nell'Annual report di Assobirra, non devono però scoraggiare, il settore viene da un decennio di continua crescita e si può legittimamente sperare che il 2020 possa essere considerato, in futuro, un incidente di percorso.

Il 6 agosto prossimo, primo venerdì del mese di agosto, si festeggia, come tradizione, la Giornata internazionale della birra ed è una giornata che dovrebbe fare riflettere anche gli agricoltori. Uno sguardo ai numeri suggerisce che ci siano i margini per pensare di sviluppare una filiera del luppolo italiano che giri attorno alla grande passione che i consumatori hanno per la birra. La luppolicoltura italiana sta cercando di organizzarsi, le criticità però non mancano e sono state messe in evidenza durante un recente convegno organizzato dal Crea per presentare il primo Outlook economico e statistico della coltura luppolo.


I dati del rapporto Assobirra 2020

Nel 2020 la produzione nazionale di birra è calata dell'8,4% rispetto al 2019 e l'export è sceso del 4,8%. In termini di ettolitri, nel 2020 ne sono stati prodotti 15 milioni e 829mila mentre l'export si è attestato sui 3,3 milioni. Frenata anche per quanto riguarda i consumi con un -11,4% sul 2019 a 18 milioni 784mila ettolitri.

Allargando lo sguardo alla tendenza, però, si scopre che la produzione di birra, in Italia, è stata in costante crescita durante lo scorso decennio, che l'Italia rappresenta il 7,7% dei birrifici attivi in Ue e Gran Bretagna e che siamo al nono posto come Paese produttore. La produzione di birre artigianali, in particolare, è cresciuta del 35% fra il 2009 e i 2019. Per quanto riguarda i consumi, nel 2019, quello pro capite di birra in Italia si attestava a 34,6 litri (dati dall'Outlook economico statistico del comparto luppolo, progetto Innovaluppolo).
 
Certo, il comparto brassicolo vive oggi un momento di difficoltà ma in prospettiva il settore è solido. Fra l'altro nel decreto Sostegni bis, approvato in via definitiva, è compreso un emendamento che prevede un contributo a fondo perduto per i birrifici artigianali in misura pari a 0,23 euro al litro di birra inseriti nei registri di carico nel corso del 2020 e che stanzia 10 milioni di euro.


Alcuni dati compresi nell'Outlook economico statistico dedicato al luppolo

A rifornire i produttori di birra italiani con il luppolo necessario come materia prima non sono però gli imprenditori agricoli nostrani: la luppolicoltura è ancora una nicchia molto piccola e il luppolo prodotto in Italia è usato quasi esclusivamente per la produzione di birre artigianali e agricole. I dati dell'Outlook statistico economico, presentati durante un evento organizzato dal Crea e frutto del gruppo di lavoro dedicato agli strumenti di politica economica del progetto Innovaluppolo, fotografano un settore molto frammentato e agli esordi.

L'Italia ha importato, nel 2019, 4mila tonnellate di luppolo per un valore di oltre 10 milioni di euro. Il saldo import/export è da sempre negativo e le quantità di luppolo necessarie alla produzione di birra sono andate aumentando, di pari passo con i consumi.
Secondo lo stesso rapporto in Italia sono circa 52 gli ettari coltivati a luppolo contro i 20mila della Germania, le aziende che coltivano luppolo in Italia sono 109, con superfici molto ridotte. Se in Ue la superficie media, nel 2019, era di 13 ettari, in Italia la superficie media è di 4.748 metri quadrati. A guidare la classifica delle regioni che più si dedicano al luppolo c'è l'Emilia-Romagna: la superficie dedicata è pari al 45,1% del totale, seguita a grande distanza dal Piemonte, 11,6%.

L'interesse per la coltura però sta crescendo, basti dire che i progetti finanziati con fondi Psr 2014-2020, in ambito luppolo e birra, sono stati 14, con un contributo di oltre 4 milioni di euro. Dal 2019 è all'opera un tavolo tecnico di settore e si sta lavorando al Piano di settore che poi dovrà essere approvato dalla Conferenza Stato Regioni.


I nodi da sciogliere per dare slancio alla luppolicoltura italiana

Perché la luppolicoltura prenda piede in Italia sono molte però le criticità da risolvere. A chiarire il quadro, durante l'evento di presentazione dell'Outlook economico statistico, sono state Katya Carbone, ricercatrice al Crea - Olivicoltura, frutticoltura e agrumicoltura e coordinatrice del progetto Innovaluppolo e Serena Tarangioli, ricercatrice al Crea - Politiche e bioeconomia.

"La filiera ad oggi non c'è - ha detto Serena Tarangiolici sono tanti piccoli produttori che si stanno cimentando nella coltivazione del luppolo, ci sono sicuramente un settore a monte e uno a valle, potrebbero alimentare la filiera del luppolo, ciò che è importante è lavorare sin da ora in un'ottica di filiera. Capiamo subito quali sono le necessità dei settori a monte e a valle e, con i produttori potenziali, va indirizzato il lavoro nei campi. Ci vogliono cooperazione e concentrazione dell'offerta. È importante poi lavorare su una produzione che sia ambientalmente sostenibile e bisogna tornare a sperimentare. Vanno poi adottate pratiche produttive all'avanguardia. I nostri competitor hanno livelli di produzione così grandi che l'unico modo per scalfire la concorrenza è puntare su qualità, innovazione e avanguardia".

A farle eco Katya Carbone che ha sottolineato quanto sia importante il dialogo con i mastri birrai: "Per quanto riguarda le varietà coltivate in Italia - ha detto - per creare una filiera che funzioni vanno messe d'accordo domanda e offerta. Il luppolo impiega tre anni per cominciare ad avere produzioni stabili in volume e qualità. È importante che i mastri birrai ci dicano cosa dobbiamo coltivare".