Biodinamico in aumento
L'agricoltura biodinamica è a volte al centro di contese fra detrattori e strenui difensori di questo modello produttivo.Nel frattempo, fra un dibattito e l'altro, l'agricoltura biodinamica cresce e ora vanta dati sull'export migliori di altri settori del comparto.
Nel 2020, si legge su "Il Resto del Carlino" del 29 marzo, il mercato estero dei prodotti biodinamici è aumentato del 14% (le esportazioni del biologico si sono fermate all'8%).
Per commentare questi numeri Federico Rota, che firma l'articolo, ha chiesto il parere del presidente dell'Associazione per l'agricoltura biodinamica, Carlo Triarico.
Sua l'affermazione che con questi numeri l'export biodinamico risulta essere un fattore trainante, in particolare se si considera il suo tasso di crescita, paragonato a quello del comparto primario.
Nell'articolo si precisa infatti che la quantità di prodotti biodinamici esportati dal Belpaese è pari al 95% della produzione totale, distribuiti sui mercati del Centro Europa, in particolare della Germania, dei Paesi scandinavi, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e del Giappone.
L'articolo si conclude con la critica che Triarico rivolge al Piano nazionale di resistenza, reo di aver dimenticato l'agricoltura biodinamica.
"Una grave omissione - afferma il presidente degli agricoltori biodinamici - che rischia di creare danni potenzialmente devastanti per il Paese."
Chissà se tutti sono d'accordo con affermazioni così perentorie.
Costruire con il riso
Un'intera piazza con edifici, negozi e uffici costruiti con gli scarti di lavorazione del riso, in particolare lolla e paglia.Accade a Sant'Alessio con Vialone, piccolo paese con meno di mille abitanti, situato nel Pavese centrale, alla destra del fiume Olona, in Lombardia.
Con gli scarti del riso nascerà così un intero quartiere destinato ad autoalimentarsi con fonti di energia rinnovabile.
Un'iniziativa destinata a far parlare di sé, della quale si occupa il "Corriere della Sera" del 30 marzo nelle pagine dedicate alle buone notizie.
La lolla e le foglie (ricche di silice), spesso utilizzate come foraggio negli allevamenti della zona, saranno utilizzati in bioedilizia come coibentanti, mentre legno e paglia di riso saranno impiegati per le pareti esterne.
Non a caso questa iniziativa è nata in provincia di Pavia, terra dove sono presenti 85mila ettari di risaie, che producono quasi 5 milioni di quintali di riso.
Ora servono fondi per realizzare questi interventi, ma già molti risicoltori della zona si sono detti disponibili per il conferimento dei materiali con i quali si costruiranno gli "eco-mattoni".
Il lavoro dimenticato
Nonostante le attività in campo agricolo non si siano mai fermate, la pandemia ha colpito duramente anche in questo settore, con una perdita di circa 3 milioni di giornate.I settori più coinvolti sono quelli dell'agriturismo e del florovivaismo, ma anche il settore vitivinicolo ha subìto consistenti rallentamenti.
Il problema riguarda circa un milione di lavoratori, ma ad essi il decreto Sostegni non dedica attenzione.
Come si apprende da "Il Fatto" in edicola il 31 marzo, i lavoratori impegnati nelle raccolte stagionali hanno ricevuto solo due bonus: 600 euro un anno fa, a inizio pandemia, e altri 500 nei 30 giorni successivi.
Immediata la protesta dei sindacati dei lavoratori agricoli che hanno manifestato a Roma, chiedendo che gli stagionali agricoli siano ammessi alle indennità previste per altri lavoratori, come quelli del turismo.
L'articolo prosegue ricordando che le aziende reclamano anche il ritorno dei voucher, strumento con il quale è possibile pagare i lavoratori per le ore strettamente necessarie.
I soldi dell'olio
A disposizione del settore dell'olio d'oliva e delle olive da tavola ci sono 69,2 milioni di euro, ripartiti in oltre 50 programmi di attività. Lo scrive Ermanno Comegna nell'articolo a sua firma pubblicato su "Italia Oggi" del primo aprile.Proseguendo la lettura si apprende che gli interventi riguardano il monitoraggio e la gestione del mercato, la riduzione dell'impatto ambientale, oltre al miglioramento della qualità.
In particolare per il settore dell'olio di oliva sono previste attività di sostegno settoriale alle organizzazioni dei produttori e alle loro associazioni.
C'è la possibilità che gli aiuti siano estesi alle imprese agricole, a quelle della trasformazione e della commercializzazione.
Una scelta, conclude l'articolo, che spetta al dicastero agricolo, come prevedono le nuove regole in via di approvazione nell'ambito della futura politica agricola comunitaria.
Obiettivo stagionali
Si avvicina la stagione dei raccolti dell'ortofrutta e puntuale si ripresenta il problema della carenza di manodopera per il blocco della mobilità in conseguenza della pandemia.Secondo "Il Manifesto" del 2 aprile, mancano all'appello 200mila addetti e fra questi i 36mila lavoratori che in situazioni di normalità giungono dal Marocco, che ha sospeso tutti i collegamenti aerei con l'Italia.
Sono questi solo una parte dei 368mila lavoratori provenienti da 155 paesi diversi, che assicurano il 29% delle giornate lavorative totali necessarie al settore agricolo.
Come si legge nell'articolo firmato da Mario Pierro, la maggior parte di questi lavoratori proviene dalla Romania, seguita dal Marocco e dall'Albania.
I settori di impiego prevalenti sono nella raccolta delle fragole nel veronese, nella preparazione delle barbatelle in Friuli Venezia Giulia e nella raccolta delle mele in Trentino.
A questo elenco si aggiunge la frutta in Emilia-Romagna e l'uva in Piemonte, senza dimenticare gli allevamenti, in particolare in Lombardia.
Sul settore agricolo, continua l'articolo, pesa anche lo scarso risultato ottenuto nelle iniziative per l'emersione del lavoro in nero messe in campo dal precedente Governo.
Risultati migliori, conclude l'articolo, si sarebbero avuti con l'azzeramento degli oneri a carico del datore di lavoro per presentare le domande di regolarizzazione.
La rivolta delle stalle
La zootecnia non ci sta a essere messa sul banco degli imputati quando si parla di impatto ambientale, come invece avviene nella strategia definita da Bruxelles nel programma Farm to Fork, dal campo alla tavola per dirla in italiano.Gli allevatori di sette paesi europei sono allora passati al contrattacco realizzando un video denuncia sulle incongruenze della strategia comunitaria.
Sono nove i paradossi del Farm to Fork che gli allevatori hanno denunciato e che "Il Sole 24 Ore" del 3 aprile ricorda in un articolo a firma di Giorgio dell'Orefice.
A proposito dell'impatto ambientale, l'articolo puntualizza che mentre la media mondiale delle emissioni di gas serra da parte degli allevamenti è di circa il 14,5% sul totale, nel caso dell'Europa ci si ferma al 7,2%, che scende in Italia al 5,6%.
L'articolo continua ricordando che la zootecnia europea rappresenta un valore alla produzione di circa 170 miliardi di euro, il 40% dell'intera produzione agricola comunitaria.
Un'importanza economica che continua nelle molteplici filiere che all'allevamento sono collegate: dal biomedicale alla cosmesi, dai fertilizzanti alla produzione di agroenergie.
L'articolo si conclude ricordando che una riduzione delle produzioni zootecniche avrebbe come conseguenza un aumento delle importazioni da paesi dove si produce con maggiori emissioni, e dove non sono rispettati standard sul benessere animale, sulla sicurezza e sulla qualità.
Parlando di vino
C'è fermento nel mondo dei vini. In Lombardia è sotto i riflettori il disciplinare di produzione dei vini a denominazione dell'Oltrepò Pavese.Ne scrive Attilio Barbieri sulle pagine di "Libero" del 4 aprile, puntando l'indice sui parametri di produzione, che sulla carta risultano superiori alla realtà.
Si teme che in questo modo si possano favorire i vini di minore qualità, mettendo in gioco la reputazione e la credibilità della stessa Doc.
Una revisione di questi disciplinari è da tempo oggetto di discussione senza tuttavia giungere a una conclusione.
Alcuni operatori del settore, conclude l'articolo, propongono di rimettere mano ai tavoli tecnici voluti in passato dall'assessore all'Agricoltura della Regione Lombardia, Fabio Rolfi, rimasti però lettera morta.
In Emilia Romagna è invece l'Albana il protagonista dell'articolo di Lorenzo Frassoldati per "Il Resto del Carlino" del 4 aprile.
La produzione di questo vino in passato era colata a picco, travolta dalla concorrenza del Sangiovese e la produzione negli ultimi vent'anni era passata da 2600 ettari a meno di 1000.
Ma ora il rinnovato interesse per i "bianchi" torna a dare fiato all'Albana, che vanta la Docg dal lontano 1987.
Così la produzione è tornata ad aumentare e attualmente si aggira sulle 800mila bottiglie, con qualità in crescita, tanto da conquistare importanti riconoscimenti.
L'Albana Docg, insieme al Trebbiano Doc, conclude l'articolo, con la loro crescita possono trasformarsi in promotori di altri vini "minori", fra questi Pagadebit e Rébola, che possono incontrare il favore di nuovi stili di consumo e di scoperta del territorio.
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