Secondo i dati diffusi dall'Osservatorio Smart AgriFood (School of Management del Politecnico di Milano e Laboratorio Rise - Research & Innovation for smart enterprises dell'Università degli studi di Brescia), l'Italia si posiziona bene a livello globale per il numero di nuove realtà imprenditoriali attive nel settore agroalimentare. E tuttavia, sulla base di oltre 400 realtà analizzate a livello internazionale, il nostro paese è poco capace di attrarre investitori. E così molte startup che parlano italiano sono costrette a traslocare in Germania, in Inghilterra oppure in Israele o negli Stati Uniti.
Basti pensare che la Cina, che conta il 2% delle startup globali Agri-FoodTech, ha attirato l'8% degli oltre 3 miliardi di finanziamenti complessivi raccolti dalle nuove realtà imprenditoriali. Con lo stesso numero di startup la Germania è arrivata al 12%, mentre la Gran Bretagna, che richiama giovani imprenditori da tutto il mondo, con il 9% delle startup ha raccolto quasi il 19% degli investimenti complessivi. L'Italia si ferma all'1%.
Ma in quali settori sono maggiormente attive le startup? Considerando tutta la catena di valore, dal campo alla tavola, il settore più interessante per l'investitore è quello dell'e-commerce (65% delle startup e l'84% del finanziamento complessivo). Un comparto che mette assieme sia la vendita online di prodotti confezionati che le piattaforme di food-delivery. In questo campo si concentrano due terzi delle startup e quattro quinti del budget totale. Questo perché nell'ottica dei fondi di investimento l'e-commerce e soprattutto il food-delivery rappresentano un settore in grado di generare un ritorno sugli investimenti consistente nel breve periodo.
Cresce il settore dell'agricoltura 4.0
Nonostante questo anche il settore più prettamente agricolo vanta buone performance. Nella prima parte della filiera si concentra un quarto delle startup censite dall'Osservatorio (per l'11% del budget totale) che sviluppano soluzioni per l'agricoltura 4.0. Di queste il 69% sta sviluppando piattaforme per il monitoraggio remoto delle colture, il 27% sviluppa sistemi di supporto alle decisioni, mentre il 24% è attiva nella mappatura di terreni e produzioni. Meno fermento lo si riscontra nella zootecnia, che conta solo il 3% delle startup, mentre un tema trasversale come quello della sostenibilità vede coinvolte il 4% delle nuove realtà imprenditoriali.L'Internet of Things è un approccio che ben si sposa con il concetto di tracciabilità e controllo della qualità alimentare dove infatti il 75% delle startup utilizza strumenti per il monitoraggio dei parametri di produzione o conservazione degli alimenti. I dati generati da questi sensori e quelli provenienti da altre fonti, i cosiddetti big data, sono a fondamento di ben il 94% delle startup che fanno agricoltura 4.0.
Un altro trend fortemente in crescita è quello che riguarda la blockchain, una tecnologia che potenzialmente permette di rendere immodificabile la storia di un cibo, con ripercussioni interessanti sia per la Gdo che per i consumatori. Nonostante il fermento in questo settore sia notevole, ancora manca una valorizzazione commerciabile che ripaghi gli agricoltori dell'onere aggiuntivo di implementare questo genere di protocollo.
Sistema Italia: outlook positivo
Anche se il sistema paese non è in grado di sostenere la crescita delle startup agrifood come avviene in altri Stati, la prospettiva tricolore rimane positiva. È cresciuta infatti negli anni la sensibilità delle grandi aziende agroalimentari verso il tema dell'innovazione e ormai ogni grande gruppo industriale ha una sua funzione di open innovation.Inoltre, sebbene timidamente, sono nati nel paese fondi dedicati a questo comparto, come ad esempio Five Seasons Ventures. A questo si affiancano una molteplicità di acceleratori di impresa, pubblici e privati, che stanno aiutando le giovani aziende a muovere i primi passi. L'obiettivo deve essere quello di trattenere sul territorio le nuove startup che oggi invece, dopo un periodo di crescita nell'ecosistema nazionale, traslocano all'estero.
Guardando alla specificità del settore agricolo nostrano, fatto di tante piccole imprese attive nei settori più disparati, emerge con forza la necessità di sviluppare soluzioni semplici, chiavi in mano, che anche piccole realtà possano implementare senza grossi investimenti e che generino un ritorno, meglio se consistente e immediato.
Ma come suggerisce bene il titolo del convegno che si è tenuto a febbraio in occasione della presentazione della Ricerca 2018 (Il digitale scende in campo, ma la partita è di filiera!) sono tutti gli attori della catena del valore a dover rimboccarsi le maniche. Se infatti l'innovazione introdotta in un singolo anello della value chain ha un impatto limitato, questo si moltiplica se interessa la filiera dal campo fino alla tavola del consumatore. Si generano infatti sinergie, economie di scala e in definitiva un valore aggiunto superiore alla somma delle singole parti.