Una tecnologia che potenzialmente potrebbe essere utilizzata per dematerializzare e blindare servizi pubblici come il catasto o la motorizzazione, ma anche le transazioni finanziarie o i rapporti tra i vari soggetti della filiera agroalimentare. Tuttavia, nonostante le potenzialità della blockchain sulla carta siano enormi, un suo utilizzo diffuso ancora non esiste (se non nell'ambito delle criptovalute). Ci sono invece piccoli progetti promossi da singole aziende o associazioni.
Delle potenzialità della blockchain in ambito agroalimentare abbiamo parlato lungamente in questi articoli su AgroNotizie.
- Tracciabilità dei prodotti agroalimentari, ecco perché blockchain è il futuro
- Tracciabilità dell'olio di oliva, il Mipaaf si affida a blockchain
- Tracciabilità, rischio tegola per gli agricoltori
- Tracciabilità, prodotti al sicuro con la tecnologia dei bitcoin
"Finalmente ci si sta muovendo per definire una cornice di regole condivise tra gli operatori interessati a questa tecnologia", spiega ad AgroNotizie Fabio Lecca, esperto di tecnologia blockchain, consulente di Coldiretti per il progetto 'Portale del socio' e membro del gruppo di lavoro sulla blockchain riunito dal ministero dello Sviluppo economico.
Lecca, qual è l'obiettivo del gruppo di lavoro?
"Formalmente lo scopo è quello di definire un documento sullo stato dell'arte della tecnologia blockchain e aiutare il Governo a definire una strategia nazionale per sfruttarne le potenzialità, da sottoporre ad approvazione pubblica. Tuttavia mi sembra che questo sia un passaggio prevalentemente formale, perché il Governo ha già le idee molto chiare in proposito, come dimostra la recente approvazione della norma sulle blockchain nel decreto Semplificazioni".
Quali sono gli obiettivi del governo?
"Da quello che ci hanno detto durante il primo incontro (qui le slide proiettate al Mise, ndr) si sta andando verso la creazione di una piattaforma blockchain europea, garantita dagli Stati membri, all'interno della quale troveranno spazio tutte le possibili applicazioni, dall'ambito finanziario fino alla tracciabilità agroalimentare".
Come valuta la creazione di questa infrastruttura pubblica, la European blockchain partnership?
"Mi sembra un'opportunità interessante purché sia effettivamente aperta e interoperabile. Ogni soggetto deve avere la possibilità di creare una propria rete all'interno della piattaforma europea o di interfacciarsi con essa. Una struttura sovranazionale ha l'indubbio pregio di standardizzare le modalità di comunicazione e offrire regole certe e condivise. Tuttavia anche le reti blockchain che già oggi esistono devono avere la possibilità di comunicare con questa piattaforma europea".
Quali sono i soggetti pubblici coinvolti nel progetto?
"In primis c'è l'Agid, l'Agenzia per l'Italia digitale, che ha il compito di definire il linguaggio e le regole comuni per il settore. C'è poi il Mise, che invece deve dare un indirizzo strategico nazionale allo sviluppo della tecnologia".
Non sarebbe meglio lasciare l'iniziativa al settore privato, come succede negli Usa?
"Oggi c'è un grande interesse verso questa tecnologia e una euforia, anche finanziaria, che ha portato alla nascita di una miriade di piccole piattaforme che tuttavia lavorano con parametri non riconosciuti dall'Agid. Il fatto di avere una piattaforma europea permette di riportare tutti sulla linea di partenza e di offrire anche una maggiore sicurezza a chi poi usufruisce di queste piattaforme".
Quali potrebbero essere le applicazioni della blockchain a livello di filiera agroalimentare?
"Attraverso la tecnologia blockchain è possibile avere la certezza che le informazioni relative ad un dato prodotto alimentare non vengano contraffatte. Questo significa che sarebbe possibile avere una certezza totale della tracciabilità, ma questo solamente nel momento in cui ci fosse la certezza della correttezza dei dati che vengono inseriti nel sistema".
Ci può spiegare meglio?
"La tecnologia blockchain permette di rendere immutabili i dati. Applicata alle produzioni agroalimentari questo significa che io posso sapere dove una certa bottiglia è stata prodotta, chi ha raccolto l'uva, che trattamenti ha subito la vite in vigna o che tipologia di vitigni sono stati utilizzati nell'assemblaggio. Tuttavia il sistema non fa che certificare l'immutabilità del dato da un passaggio all'altro della filiera ma non è in grado di certificare la sua genuinità. In gergo si dice garbage in, garbage out. Se immetti spazzatura nel sistema avrai spazzatura".
Insomma, se un qualunque attore nella filiera inserisce un dato non corretto questo viene perpetuato all'interno della blockchain senza possibilità di verifiche. E' corretto?
"Il tema è proprio questo. Oggi in pancia alla Pubblica amministrazione ci sono molte informazioni sulle aziende agricole. Per quelle poi che lavorano in regime di biologico o che seguono disciplinari di produzione ci sono enti preposti alla verifica che quanto viene dichiarato dall'agricoltore risponda al vero".
E per le aziende convenzionali, che poi sono la maggioranza in Italia?
"Per queste non possiamo avere la certezza che le informazioni immesse nel sistema siano veritiere. A meno che queste non vengano generate in automatico attraverso l'utilizzo di software gestionali oppure da sensori di vario genere presenti in campo o in azienda".
Se ho ben capito dunque finché l'immissione dei dati viene affidata all'agricoltore non si può escludere che questa sia scorretta.
"Certamente il dato generato in automatico è più affidabile. Se la blockchain viene compilata da sensori in campo che rilevano temperatura e umidità, dal gestionale dell'azienda che tiene traccia del registro di carico e scarico o dei trattamenti, l'affidabilità è elevata".
Un sistema di tracciabilità basato sulla blockchain permetterebbe anche di individuare le truffe?
"Sicuramente ci possono essere dei controlli incrociando i dati. Se ad esempio un'azienda agricola di un ettaro afferma di aver prodotto cento ettolitri di vino il sistema potrebbe generare un alert. Ma esistono anche algoritmi di intelligenza artificiale che possono raccogliere informazioni da diverse fonti per determinare la veridicità di un dato".
Ci può spiegare meglio?
"Poniamo che un'azienda cerealicola affermi di aver prodotto una certa quantità di prodotto, corrispondente alla massima produzione possibile, ma che poi faccia richiesta di un risarcimento danni presso la sua assicurazione. Oppure che dai dati meteo risulti essere stata colpita da forti fenomeni temporaleschi. In questo caso il sistema potrebbe inviare un alert perché ci sarebbe una incongruenza tra ciò che ha dichiarato l'azienda e ciò che i dati a disposizione del sistema affermano".
Vivremo dunque con un Grande fratello a sorvegliare gli agricoltori?
"Un sistema di tracciabilità basato sulla blockchain è un'opportunità per chi si comporta in maniera corretta e ha produzioni di qualità. Offrire al consumatore la certezza sull'origine del cibo si traduce in una valorizzazione del prodotto sul mercato. All'inizio sarà una piattaforma a cui aderire in maniera volontaria, ma in futuro potrebbe diventare lo standard di mercato".
Quale potrebbero essere i vantaggi per l'agricoltore?
"Un sistema completamente digitale e sicuro di tracciabilità permetterebbe a soggetti come Agea di erogare in tempi minori e con controlli più snelli i contributi Pac. Ma potrebbe anche tradursi in risarcimenti più veloci da parte delle compagnie di assicurazione, oppure in polizze meno costose".
La blockchain è alleata del made in Italy?
"Assolutamente sì. Si percepisce una forte volontà da parte del Governo di tutelare le nostre produzioni e di promuoverle all'estero. In quest'ottica io credo che si potrebbero prevedere dei premi per quegli agricoltori che volontariamente certificano le proprie produzioni attraverso la tecnologia blockchain".