La chiamano la valle del cibo italiana, la nostra food valley per dirla con l'idioma anglosassone che va per la maggiore.
E' l'Emilia Romagna, regione che vanta il più alto numero di prodotti a marchio Dop e Igp (sono 44), che primeggia nell'export delle carni trasformate e della pasta ed è ai primi posti nel lattiero caseario.
Insomma un osservatorio privilegiato dal quale guardare l'andamento dell'agroalimentare e tratteggiare la via del futuro.

E' quanto si è proposto di fare l'incontro organizzato da Confagricoltura Emilia Romagna, ospitato nelle ampie sale congressuali di Fico, il salone bolognese del cibo di eccellenza, con la partecipazione di un numeroso pubblico, quanto non se ne vedeva da tempo, almeno negli incontri che hanno per tema l'agricoltura.

A fare gli onori di casa Eugenia Bergamaschi, presidente regionale di Confagricoltura e "combattiva" imprenditrice agricola. Suo l'appello, sin dalle prime battute, a spingere per l'aggregazione dei produttori, condizione imprescindibile per aggredire i mercati, specie stranieri.
 

Sala gremita per il convegno organizzato da Confagricoltura Emilia Romagna


La "forza" dell'agroalimentare…

Il perché di tanta attenzione all'export è emerso dalle analisi presentate da Denis Pantini di Nomisma, il noto istituto bolognese di ricerche economiche, sempre attento alle vicende del comparto agroalimentare.

Le nostre esportazioni in questa filiera valgono 40 miliardi di euro, il 9% sul totale dell'economia italiana. Ed è opportuno ricordare che nel suo complesso il settore vede impegnate complessivamente 1,3 milioni di aziende, che danno lavoro a 3,2 milioni di persone.

Dunque un comparto strategico per il "sistema Italia" anche se poi si notano forti differenze fra una regione e l'altra.
Uno squilibrio che ben evidenziano i numeri del contributo all'export delle singole regioni. Si scopre così che Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna da sole esportano il 61,5% di tutto l'agroalimentare italiano.

 
Il nostro export è "geograficamente" concentrato nei mercati di prossimità
(Fonte: Denis Pantini, Nomisma)


... e le sue debolezze

Buoni risultati, certo, ma che mostrano alcuni limiti. Poche le aziende proiettate verso i mercati stranieri (appena il 15% del totale), prevalentemente del perimetro Ue i maggiori flussi di esportazioni, scarsa organizzazione di prodotto.

Poi gli alti costi indotti dai limiti del sistema paese, appesantito da fisco e burocrazia e dal deficit di infrastrutture.

Non si poterebbe altrimenti spiegare come un paese con assai meno risorse del nostro, come l'Olanda, riesca ad esportare il doppio dell'Italia.
Un gap che rischia di accentuarsi con la "frenata" che negli ultimi mesi si è registrata sia nei flussi di export, sia nei consumi interni.
 

Fondamentale l'organizzazione e la capacità commerciale nelle imprese e la dotazione infrastrutturale e tecnologica nel paese
(Fonte: Denis Pantini, Nomisma)
 

I partecipanti

Che fare? Domanda impegnativa alla quale si è tentata una risposta nella tavola rotonda che sotto la guida di Antonio Farnè (giornalista Rai) ha visto la partecipazione di Massimiliano Giansanti (presidente Confagricoltura), Francesco Mutti (Mutti Spa),  Franco Manzato (sottosegretario al Mipaaft), Eugenia Bergamaschi (Confagricoltura Emilia Romagna), Stefano Bonaccini (presidente Emilia Romagna) e Ivano Vacondio (presidente Federalimentare).
 

Programma ambizioso

Da Franco Manzato è arrivata la conferma che con l'inizio del prossimo anno tutto il mondo agroalimentare si darà appuntamento ai tavoli di filiera che il dicastero agricolo ha in animo di organizzare e da lì nascerà un confronto dal quale scaturiranno le linee da seguire.
Con un obiettivo ambizioso, tracciare le strategie della nostra politica agricola per i prossimi venti anni.

Assai prima bisognerà però fare i conti con la riforma della Pac e con la possibile riduzione delle risorse destinate all'agricoltura e con la maggiore responsabilità delle singole nazioni nell'orientare le scelte di politica agricola.
Per l'Italia, che non può raccogliere la sfida della quantità sul piano globale, la scelta non può che essere quella della distintività e della qualità, concetto che deve coinvolgere tutto il percorso di filiera.

Questa qualità va poi spesa sul piano internazionale e in questo contesto è importante assumere un maggiore peso politico, imparando a fare lobby con quei paesi che hanno con noi interessi comuni.
 

Filiera, percorso vincente

Sulla crescita delle filiere produttive ha scommesso l'agricoltura dell'Emilia Romagna, anche grazie al sostegno che in questa direzione è arrivato dalla Regione, come ha ricordato Stefano Bonaccini.

Lo si è fatto utilizzando al meglio e per tempo le risorse disponibili, in qualche caso insufficienti, come per il segmento lattiero caseario.
E mentre in Emilia Romagna tutti i fondi messi a disposizione dall'Unione europea sono stati utilizzati, in altre realtà le ridotte capacità di spesa rischiano di far tornare i fondi nelle casse della Ue.
Si impone allora un ripensamento delle regole, reindirizzando le risorse verso chi dimostra efficienza nell'impiegarle.
 

I meriti degli agricoltori

Da troppo tempo, è l'accorato appello di Massimiliano Giansanti, si parla dei punti di debolezza del sistema Italia senza che nulla cambi.
La nostra arretratezza digitale non è più sopportabile. Come si può provvedere alla fatturazione elettronica, si è chiesto Giansanti, quando la rete non raggiunge ad esempio le aziende agricole in zone marginali.

Poi il deficit di infrastrutture. Impossibile essere competitivi, quando ci sono aziende agricole che pur essendo in grado di esportare i loro prodotti a Dubai devono ricorrere all'aeroporto di Amsterdam. Per i porti la situazione non è migliore.

Se oggi l'agricoltura italiana può vantare qualche buon risultato il merito è solo degli imprenditori agricoli, ha ricordato con enfasi il presidente di Confagricoltura.
Ora è il momento di dare al settore una strategia per il futuro e il 2019 sarà dedicato a questo obiettivo. Al contempo l'agricoltura deve imparare a fare sistema, coinvolgendo produttori, industrie e politica.


Ruoli separati

L'industria si è detta disponibile, pur nella differenza dei ruoli, come ha tenuto a sottolineare Ivano Vacondio, rivendicando l'importanza economica della trasformazione agroalimentare, forte di 650mila imprese che producono un valore di 140 miliardi di euro.

La flessione dei consumi interni di questi ultimi mesi e il rallentamento dell'export deve indurre tutta la filiera a riflettere sulle strategie da adottare. Alla politica occorre presentare un progetto che deve essere predisposto dagli attori della filiera, ma alla politica va chiesta certezza.
 

Rimediare agli errori

E' su orizzonti temporali lunghi che propone di muoversi Francesco Mutti, partendo dalla constatazione che trenta anni fa eravamo in netto vantaggio su paesi come la Spagna.
Oggi questa distanza si è ridotta, in qualche caso annullata. Segno che errori ne sono stati commessi.

Come recuperare? Al primo posto va messa l'occupazione, centrale nella crescita economica del paese. Curando al contempo ambiente e turismo, quest'ultimo motivo di spinta per il nostro export agroalimentare.

Infine le dimensioni delle aziende industriali. Fare ricerca e innovazione richiede investimenti improponibili nelle piccole realtà. E con una partita da giocare a livello mondiale la dimensione gioca un ruolo decisivo.


Compito arduo

Dunque, se da una parte gli agricoltori possono con orgoglio rivendicare il ruolo di artefici del successo italiano dei nostri prodotti agricoli, dall'altra devono imparare a "fare squadra", uscendo dall'individualismo che li confina nel perimetro delle loro aziende.

Poi, in sintonia con le industrie della trasformazione, potranno finalmente imporre alla politica le strategie di un futuro dove infrastrutture e burocrazia siano all'altezza del loro compito.
Non sarà facile, ma altre soluzioni non sono in vista.