Le diplomazie hanno lavorato alacremente e il documento, la Dichiarazione di Bergamo, è la summa di diverse concezioni dell'agricoltura, dove le questioni spinose sono tenute alla larga, silenziate in un buonismo che sfocerà oggi, 16 ottobre, nella presenza di Papa Francesco nella sede della Fao a Roma, per celebrare la Giornata dell'Alimentazione.
In un gioco di tessere, come in un mosaico che rimane indecifrabile nella sua parte operativa, trovano spazio nella sintesi operata dagli sherpa delle delegazioni di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Canada, Stati Uniti e Giappone l'innovazione e le nuove tecnologie, la cronaca più stretta rappresentata dalle calamità naturali (il commissario europeo Phil Hogan ha ricordato il terremoto che ha colpito l'Italia), ma anche dai massicci flussi di migranti dall'Africa.
Per la prima volta si lavorerà congiuntamente per dare una definizione unitaria di "evento catastrofico", che - sembra impossibile - ad oggi non c'è. Una tensione positiva, naturalmente, a patto che serva per tutelare gli agricoltori e le popolazioni e non per fare il gioco delle grandi lobby.
La cronaca è maestra anche per quanto attiene l'attenzione alla volatilità dei mercati e il fenomeno della formazione dei prezzi. Il merito di questo G7 è quello di accendere il faro anche sulla redditività. Finalmente, dopo crisi che hanno colpito duramente a livello mondiale (il latte, la suinicoltura, i cereali), si è avuto il coraggio di riconoscere che le imprese agricole che non guadagnano - indipendentemente dalla loro dimensione - non hanno futuro.
Accanto ai redditi dei produttori, il documento che ha visto la luce a Bergamo si batte per contrastare il fenomeno dello spreco alimentare e le perdite di cibo. L'Italia, con la grande attività di Last minute market e la campagna Spreco zero dell'economista agrario Andrea Segrè, è sicuramente all'avanguardia.
Convivono più anime e i temi che possono mettere in imbarazzo i sette potenti sulle politiche agricole sono rigorosamente off limits. Domande filtrate (come al G7 di Niigata un anno fa, del resto) e nessuno spazio per quelle curiosità legittime che i giornalisti avrebbero per temi quali gli accordi internazionali, la tutela delle Dop e delle Igp negli Stati Uniti, o anche eventuali nuovi approcci ai cambiamenti climatici degli Usa.
Inutile girarci attorno, per quanto possa aver attratto l'attenzione la riforma di medio termine della Pac nei giorni precedenti, grazie alla concomitanza dell'approvazione del Regolamento Omnibus giovedì 12 ottobre a Bruxelles, l'attrazione che esercitano gli Stati Uniti non ha pari.
Lo sa bene Sonny Perdue, il veterinario alla guida del dipartimento di Stato Usa per l'Agricoltura, ma anche lui non vuole consumare strappi. E dunque, quando parla di innovazione fa capire chiaramente che i Sette Grandi devono guardare a tutte le nuove tecnologie con rispetto e senza ideologie o preconcetti. Il riferimento agli Ogm e allo stile produttivo della Big America è fin troppo evidente, ma l'apparenza è salva.
Un G7 multiculturale (i maligni parlerebbero di cerchiobottismo), che strizza l'occhio al biologico con una dichiarazione che trova il proprio spazio nei giorni precedenti a quelli ufficiali del G7, quando la città vive la festa e i maxi dibattiti (aperti a quasi tutti, vista la polemica di Aiab sull'esclusione dal convegno con Federbio), che chiede mercati globali, ma senza stritolare la dignità dei lavoratori.
La predica finale, prima della passerella conclusiva, la officia il fondatore di Slow food e Terra madre (ma prima ancora di ArciGola), Carlo Petrini, incoronato definitivamente come vero e proprio guru al cospetto dei Sette Grandi. E' lui che chiede che venga istituito un ministero dell'Alimentazione, a voler sottolineare che fra produzione e cibo la questione è unica, date le ripercussioni su economia, sanità, cultura ed educazione.
Tutti contenti? Non proprio, a leggere i commenti sulla pagina Facebook del ministro Martina. La missione, però, ora è costruire e dare concretezza agli annunci.