Stefano Mancuso, georgofilo, professore associato presso la facoltà di Agraria dell’Università di Firenze, dirige il laboratorio internazionale di Neurobiologia vegetale ed è considerato uno degli scienziati più innovativi in assoluto al mondo.
Durante il convegno organizzato dall’Accademia dei Georgofili su “Agricoltura e uso razionale dell’acqua”, Stefano Mancuso ha posto l’accento sul fatto che l’acqua costa dieci volte di più a Berlino che a Roma (5 euro al metro cubo, contro i 50 centesimi in Italia) e che in Germania se ne consuma meno che in Italia.

Professor Mancuso, aumentare i prezzi dell’acqua in Italia potrebbe essere una soluzione valida per ridurre gli sprechi?
“Certamente. Aumentare i prezzi dell’acqua e portarli su di un livello europeo, è sicuramente un metodo efficace per razionalizzare i consumi domestici, industriali e anche domestici. Su altri settori, ma che possono essere presi in via esemplificativa, anche aumentare il costo delle sigarette e il prezzo della benzina ha portato ad un arretramento delle vendite di questi due prodotti. Aggiungerei, parlando di una risorsa preziosa come l’acqua, che in Italia è un bene che costa così poco che noi non ne percepiamo per nulla il valore. Se la facessimo pagare di più, come appunto a Berlino, magari staremmo attenti a non lavarci i denti con il rubinetto aperto”.

Acqua pubblica o acqua privata: cosa è meglio?
“Di sicuro l’acqua pubblica. Faccio un esempio piuttosto classico e geograficamente vicino a me: a Firenze l’acquedotto dell’Anconella fa ogni giorno dalle 20 alle 30 analisi per controllare i parametri chimici, microbiologici, fisici. Se guardiamo le etichette delle acque minerali provate, leggiamo che le analisi sono annuali, come minimo. Abbiamo quindi per l’acqua pubblica un’analisi oraria, per quella privata annuale, con una qualità incomparabilmente superiore a vantaggio dell’acqua pubblica”.

Qual è la causa di questa sperequazione?
“È una questione legata ai costi. Un controllo orario o quotidiano delle fonti delle acque imbottigliate dai privati porterebbe i costi di mercato a livelli insostenibili”.

Troppo spesso si sente dire che l’agricoltura consuma troppa acqua. È così?
“No, è una stupidaggine. Fin dagli inizi dell’agricoltura, nella cosiddetta Mezzaluna fertile, la prima preoccupazione dell’uomo è stata quella di coltivare utilizzando meno acqua possibile, per non sprecarla. Prendiamo ad esempio la pianta selvatica del mais, che presenta una resistenza molto superiore agli attacchi patogeni rispetto alle varietà di mais tradizionali selezionate dall’uomo. Se però spostiamo l’attenzione sul parametro dell’efficienza idrica, il mais selezionato dall’uomo ne utilizza una quantità notevolmente inferiore. Se c’è un campo che usa l’acqua con parsimonia è proprio l’agricoltura, molto di più rispetto all’industria”.

Come mai?
“È una questione culturale. Le pratiche industriali utilizzano l’acqua senza considerarla uno dei parametri della produzione. L’agricoltura, al contrario, sì: considera l’acqua come una risorsa e un fattore determinante per produrre”.

Quando sarà possibile usare l’acqua marina per usi agricoli e umani?
“Già oggi è possibile, per brevi periodi, utilizzare l’acqua marina su alcune tipologie di piante alofite, le quali potrebbero essere impiegate per la mangimistica. La vite, al contrario, è molto poco tollerante al sale. Diverso ancora il comportamento dell’ulivo, da inserire nella fascia medi alta della tolleranza al sale, visto che cresce a duecento millimoli di sale, quando l’acqua di mare ne ha cinquecento. Si potrebbe provare a risparmiare un po’ di acqua dolce facendo un mixing dell’acqua di mare”.

I mezzi di dissalazione sono potenti energivori.
“Sì, però con le attuali tecnologie potremmo costruire mini-impianti con sistemi per dissalare l’acqua alimentati con energia solare. Lo vedo come un vantaggio soprattutto per l’agricoltura delle fasce costiere, che fanno spesso i conti con la siccità. Ma anche in Africa o nel sud est Asiatico”.

I suoi studi sull’agricoltura spaziale l’hanno portata persino a collaborare con la Nasa e l’Agenzia spaziale europea. Il tema dell’agricoltura nello spazio è estremamente affascinante. Cosa ci può raccontare?
“Effettivamente è molto interessante. Se l’uomo vorrà andare su Marte, e si prevede che ciò possa avvenire intorno al 2040, non potrà farlo senza portarsi dietro le piante. Questo perché non si può pensare di stare in orbita tre anni, tanto sarà il tempo necessario per una missione marziana, e mangiare soltanto cibi sintetici e riutilizzare lo stesso ossigeno per un così lungo periodo. Inoltre, la cura delle piante diventa un modo per passare il tempo”.

Quali sono le piante più indicate e quali problemi ci sono?
“Quelle con un ciclo di vita annuale. Fra gli aspetti cui trovare soluzione c’è l’assenza di gravità, che porta le radici non a svilupparsi verso il basso, ma in modo del tutto casuale. Sono già stati predisposti dei moduli, uno dei quali andrà sulla stazione orbitante Iss”.

Nel libro Verde brillante, che lei ha scritto insieme ad Alessandra Viola, “le piante vivono senza l’uomo, gli uomini, senza piante, no”. Eppure le piante vengono considerate un gradino sotto l’uomo. Quanto c’entra il filosofo Aristotele?
“Moltissimo. L’influenza di Aristotele nella botanica si è fatta sentire sino al XIX secolo e la considerazione del mondo vegetale con senz’anima e dunque meno importante rispetto all’uomo si è tramandata per secoli. Inoltre, siccome il nostro cervello non può processare tutte le informazioni, alcune tende ad eliminarle in quanto superflue. Fra queste, la nozione di pianta e di verde, anche se noi non ce ne accorgiamo. Ora, però, dobbiamo capire che siamo legati al ciclo vitae delle piante”.