Hanno accusato le mele, che poi si è saputo essere prive di colpe, del malore che ha colpito nove bambini di una scuola elementare di Manesseno, in provincia di Genova. Nessuna conseguenza grave per i bambini, che stanno già bene, ma la notizia ha fatto il giro dei giornali e così si è saputo non solo che le mele erano sane, ma che in Italia è in atto un programma di promozione del consumo della frutta che parte proprio dalle scuole primarie. L'iniziativa, che non era ancora balzata agli “onori” delle cronache, ha preso il via giusto un anno fa  con il sostegno della Ue per 15 milioni di euro cui si sono aggiunti 11 milioni di fondi nazionali di cofinanziamento. Circa 26 milioni con i quali si  distribuisce frutta gratuitamente nelle scuole. E per convincere i giovani a mangiare più frutta è nato anche un sito, dall'accattivante nome di “Mr. Fruitness”.

 

I numeri del settore

Tutte belle iniziative, ma non sono bastate (e non bastano) a risollevare le sorti del settore ortofrutticolo, alle prese con una crisi che coinvolge tutto e tutti, agrumi, kiwi, pere e mele, pesche e nettarine, solo per citare alcuni dei prodotti più provati dal crollo dei mercati.

Frutta fresca: le principali produzioni italiane (in milioni di tonn – anno 2009 – sintesi da Istat)
Mele 2,2
Pesche 1
Nettarine 0,6
Pere 0,8
Kiwi 0,5
Susine 0,2

Una crisi preoccupante che coinvolge un settore che vale oltre 11 miliardi di euro, quasi un terzo dell’intera Plv (produzione lorda vendibile) della nostra agricoltura. Non per nulla fra i 27 Paesi della Ue siamo al primo posto in quanto a quantità di frutta prodotta, seguiti a distanza dalla Spagna e dalla Francia. E' anche per questo che la crisi di questo settore “morde” di più in Italia che altrove.

 

Le origini

Ma da dove nasce questa crisi e come se ne esce? Per cercare una risposta bisogna partire da lontano, guardando a cosa accade nel mondo. E si scopre che negli ultimi dieci anni la Ue ha ridotto del 15% la sua produzione di frutta, agrumi compresi,  scendendo da 70 a 60 milioni di tonnellate. Per contro la produzione mondiale è aumentata sensibilmente, passando da 473 a 555 milioni  di tonnellate.

L'Italia frutticola nella Ue (sintesi da Cso)
Prodotto Quota % della produzione Ue
Kiwi 71
Pere 35
Pesche e nettarine 52
Mele 21
Arance 37

I mercati si comportano ormai come vasi comunicanti e la minore produzione europea è stata subito colmata con un'impennata dei flussi mondiali di export,  passati dai 70milioni di dollari nel 2000 ai 150 del 2007. Analoga la situazione nella Ue, dove però l'incremento delle esportazioni (da 30 a 60 milioni di dollari) è stato superato da quello delle importazioni, passate da 40 ad oltre 80 milioni di dollari.

 

L'Italia frutticola

E' in questo scenario che si colloca la produzione frutticola italiana, protagonista sulla scena europea nel mercato del kiwi (71% della produzione Ue), delle pere (35%), delle pesche e delle nettarine (52%). Altri settori strategici sono quelli delle arance con un secondo posto (37%) dietro alla Spagna e delle mele (21%) dove siamo in lizza con la Polonia per la conquista del primo posto. Per tutti questi prodotti il 2009 ha fatto registrare secondo Ismea una flessione media del 13% delle quotazioni, ma nel caso delle pesche i prezzi sono scesi anche del 46%. Una crisi, questa della frutta fresca, che ha visto il prezzo delle mele fermarsi nel quarto trimestre del 2009 a 44 centesimi al chilo, quasi il 31% in meno rispetto allo stesso periodo del 2008. Peggio ancora per i kiwi, crollati del 35%, mentre le pere si sono fermate ad un deludente -20,9%. Come se non bastasse, i costi di produzione sono aumentati del 2,6% e per molte delle 548mila aziende frutticole italiane il 2009 si è chiuso con i conti in rosso.

La produzione di frutta nei Paesi Ue (ripartizione % - sintesi da Cso su dati Fao)
Italia 30
Spagna  25
Francia  16
Grecia 6
Polonia 4
Germania 4
Altri 15

Quando i prezzi precipitano così vistosamente le cause sono il più delle volte riconducibili ad un incremento delle produzioni, all'aumento dei flussi di import oppure al calo della domanda. Nel caso della frutta fresca i dati produttivi del 2009 indicano un aumento da 8,2  a 8,5 milioni di tonnellate, con incrementi più significativi per le pere (11,8% in più). Una maggiore produzione che ha trovato “sfogo” nel parallelo aumento della domanda di frutta fresca, il cui consumo nel 2009, secondo le valutazioni di Ismea, ha messo a segno una crescita di cinque punti percentuali. In sostanza, fra produzione e domanda si è mantenuto un buon equilibrio e la crisi dei prezzi va dunque cercata in un' altra direzione. Proviamo allora ad analizzare i dati dell'import. Le prime stime Ismea sull’andamento del 2009 indicano un netto peggioramento (-35%) del saldo commerciale dovuto in gran parte alla caduta dei valori unitari del prodotto esportato  e ad un aumento di quelli importati. In termini di volume, invece, le importazioni sono stimate invariate rispetto al 2008.

 

Riorganizzarsi

Nemmeno sul fronte delle importazioni si riesce, dunque, a trovare una spiegazione convincente della profonda crisi che si è abbattuta sul settore, che ha pertanto radici lontane, difficili da prevedere e ancor più difficili da risolvere. Gli unici strumenti che possono essere messi in campo sono quelli della efficienza produttiva (e qui l’Italia può giocare buone carte) e quelli dell’organizzazione delle filiere produttive, dove invece molto si può ancora fare. In Italia sono attive circa 300 OP (organizzazioni dei produttori) riunite a loro volta in tre diverse unioni che le rappresentano (Unaproa, Uiapoa, e Unacoa). Già qui si potrebbe cercare semplificazione e efficienza, tanto più che attraverso le OP passano gli aiuti comunitari previsti dalla Ocm (organizzazione comune di mercato). Questi aiuti (nella misura del 4,6% del valore della produzione commercializzata) possono essere indirizzati ai ritiri di mercato in presenza di situazioni di crisi, come pure a sostegni per la mancata raccolta quando questa sia tesa a riequilibrare il mercato. Meccanismi la cui efficacia non si è certo sentita in questa lunga stagione di crisi. Per il futuro è necessario attrezzarsi meglio, intervenendo anche sull’organizzazione delle OP. E' indispensabile ottimizzare il percorso dal campo alla tavola, spostando al contempo gli equilibri lungo la catena del valore, che oggi vede premiata la distribuzione a scapito della produzione. Se non si cambia, la prossima crisi sarà perfino peggiore di questa.