Anche Israele ha detto sì alla produzione e al consumo di latte artificiale, ribattezzato con il più accattivante nome di "latte coltivato".

La notizia è arrivata con qualche settimana di anticipo sul primo giugno, giornata mondiale del latte voluta dalla Fao.

 

Solo una coincidenza temporale o un'orchestrata operazione di marketing?

Chissà, ma ha poca importanza. Perché di questa bevanda artificiale (chiamarla latte non è corretto) si parla da tempo, tanto che gli Usa ne hanno approvato il consumo mesi fa. Curiosamente dopo accese campagne di "demonizzazione" del latte, che dagli Usa si sono diffuse anche in Europa.

 

Forte interesse

Come per la carne artificiale anche per questi surrogati del latte ottenuti in laboratorio si stanno muovendo capitali importanti, annoverando fra gli sponsor nomi fra i più noti della finanza e dell'intrattenimento.

Non c'è da stupirsi di tanto interesse. Il "potere" del cibo, in un mondo sempre più affollato, può essere persino superiore a quello delle armi.

 

Per fortuna un mondo senza latte e senza carne, e pertanto senza animali, è un'ipotesi impraticabile.

Inutile allora criminalizzare queste bevande artificiali o le cellule moltiplicate in laboratorio nel tentativo di imitare la carne.

È semmai importante che se un giorno ne verrà autorizzato il consumo in Europa ci sia chiarezza sulle indicazioni da apporre in etichetta. Poi il consumatore sceglierà.

 

Falsi miti

Per scegliere occorre tuttavia essere informati correttamente e più che dar battaglia ai cibi artificiali sarebbe opportuno contrastare la tanta disinformazione su latte e carne.

Prendiamo il lattosio, ad esempio. Non sarà sfuggita ai più l'insistenza con la quale si afferma l'assenza di lattosio da talune bevande, quasi fosse un pericoloso componente del latte.

Una campagna allarmistica talmente convincente che alcune industrie del latte hanno realizzato prodotti delattosati nel timore di perdere quote di mercato.

 

La stagione del "senza"

Ma il lattosio fa male? Solo a pochissimi individui che per prolungate terapie antibiotiche o per qualche raro motivo hanno perso (spesso solo temporaneamente) la capacità di produrre gli enzimi (lattasi) che scindono il lattosio in glucosio e galattosio, i due zuccheri che lo compongono.

 

Per il lattosio sembra così ripetersi quanto accade per il glutine, indigeribile per chi soffre di celiachia.

Eppure di questa patologia è afflitta una netta minoranza della popolazione.

Una curiosità, qualche decennio fa il glutine non veniva tolto dalla pasta, ma aggiunto, per migliorarne le proprietà nutrizionali.

Ma ormai dalla cultura del cibo "con" siamo passati alla stagione del cibo "senza" e non sempre c'è da rallegrarsene.

 

Una filiera in affanno

Tornando al latte, quello vero, la filiera produttiva sta vivendo da tempo una situazione di forte difficoltà e forse anche per questo teme più del dovuto la concorrenza dei surrogati artificiali.

Da una parte la fase della produzione, cioè gli allevatori, alle prese con aumenti dei costi insostenibili, mentre i prezzi di mercato sono in calo.

E i rinnovi contrattuali con le industrie di trasformazione non invitano all'ottimismo.

Flessione dei consumi e bolletta energetica più salata non lasciano alle industrie di trasformazione grandi margini di manovra per riconoscere agli allevatori un giusto compenso per il loro lavoro.

 

Tanti miliardi

Una via di uscita sarebbe l'aumento del prezzo del latte al banco di vendita, in piccola parte già avvenuto, ma non ovunque e solo per alcune tipologie di prodotto.

Troppo alto il rischio di un'ulteriore flessione dei consumi a fronte di un'inflazione che già erode le capacità di spesa.

Ma per fortuna la gran parte del latte prodotto in Italia non è destinata al consumo fresco, ma alla produzione di formaggi.

Che a loro volta possono contare su un'importante quota di esportazioni.

 

Due numeri per valutarne l'importanza.

Nel suo insieme la filiera lattiero casearia rappresenta un valore di circa 20 miliardi di euro.

Più del 20% di questo valore è destinato all'export per circa 4,4 miliardi di euro.

Importante il peso sociale del settore, con decine di migliaia di addetti impegnati dalla produzione alla trasformazione.

 

Il nodo ambientale

Questi numeri sono destinati a cambiare sotto la concorrenza dei surrogati artificiali? Non più di quanto possano aver fatto le tante bevande a base vegetale.

Semmai saranno queste ultime a subire la concorrenza del "finto latte" costruito in laboratorio, il cui spazio di mercato sarà condizionato anche dal prezzo.

Il segmento della trasformazione casearia in produzioni a marchio resta in ogni caso precluso a ciò che latte non è.

Inoltre saranno da chiarire alcuni aspetti sul fronte della sicurezza. E non ultimo quello dell'impatto ambientale.

 

Per i surrogati artificiali della carne le ultime ricerche dicono che l'impatto ambientale è da 4 a 25 volte più elevato della carne ottenuta in modo naturale.

Facile ipotizzare che il rapporto sia analogo anche per i surrogati artificiali del latte.

Di fronte a queste evidenze il latte e la carne costruiti in laboratorio torneranno a essere interessanti e suggestive ipotesi di ricerca. O poco più.