Sale il numero di cinghiali colpiti dalla peste suina africana e cresce la preoccupazione che il virus possa entrare in un allevamento di suini, con conseguenze devastanti per tutto il settore.

Con i nuovi casi confermati in questi giorni arriva a 466 il numero di cinghiali infetti trovati nelle aree fra Liguria e Piemonte.

I comuni coinvolti sono ora 67 e il virus si sta avvicinando ai confini dell'Emilia Romagna, minacciando una delle zone a maggior densità di allevamenti suini.

 

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I focolai di peste suina africana coinvolgono 67 comuni in Piemonte e Liguria
(Fonte: Istituto Zooprofilattico del Piemonte)

 

È elevato il rischio che il virus possa superare anche le più rigide barriere di biosicurezza messe in atto dagli allevamenti.

Come ricordato a più riprese da AgroNotizie, questo virus ha grandi capacità di resistenza e può essere veicolato inconsapevolmente da uomini (che ne sono immuni) e mezzi.

Cure non ne esistono e nemmeno vaccini, al momento solo allo studio.

 

Misure blande

Di fronte a un pericolo così elevato sarebbero necessarie misure di prevenzione, più efficaci di quelle messe sin qui in atto, come le recinzioni e il depopolamento di selvatici, interventi per ora solo parzialmente realizzati.

Per fronteggiare l'emergenza era stato nominato un commissario straordinario, Angelo Ferrari (Zooprofilattico del Piemonte), ora sostituito da Vincenzo Caputo (Zooprofilattico di Umbria e Lazio).

Quest'ultimo ha confermato il suo impegno nell'applicazione dei piani di depopolamento dei cinghiali, con l'obiettivo di ricondurre il loro numero ai livelli indicati da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) come accettabili per questa specie animale.

Le recinzioni possono essere un aiuto, ma non l'unica strategia alla quale affidarsi.

 

Il nuovo Commissario ha poi ribadito l'importanza di un'adeguata informazione ai cittadini, che con il loro comportamento possono favorire, ad esempio abbandonando i rifiuti, la diffusione del virus.

In ogni caso la lotta al virus non sarà né semplice né breve, ma occorreranno anni, almeno tre in una visione ottimistica.

 

L'appello degli allevatori

Gli allevatori di suini dovranno dunque misurarsi ancora per lungo tempo con questa emergenza e in una lettera aperta il presidente di Assosuini, Elio Martinelli, si rivolge al presidente del Consiglio e ai ministri di Sanità e Agricoltura invocando interventi urgenti per ridurre il pericolo della peste suina africana.

Troppo blande le azioni intraprese per ora e nemmeno il nuovo Commissario, se non sarà dotato delle necessarie risorse, potrà dare una svolta decisiva.

 

Oltre alla barriere si chiede di intervenire all'esterno delle zone infette con una forte riduzione dei selvatici.

Per il momento il virus è presente in un'area a scarsa densità di allevamenti suini, ma se dovesse arrivare nelle regioni vicine, come Emilia Romagna e Lombardia, le possibilità che a infettarsi siano i suini aumenterebbero a dismisura.

 

"Il rischio - si legge nella lettera di Martinelli - è quello di far fallire l'intera filiera suinicola italiana, dei prodotti a marchio di origine in primis, visto che l'export risulterebbe bloccato per un anno.” “Chiediamo - prosegue Martinelli - che venga affrontata questa emergenza con strumenti e poteri straordinari e con un cambio di rotta risoluto.

All'appello di Martinelli si aggiunge quello del presidente dell'Associazione Nazionale Allevatori Suini (Anas), Thomas Ronconi, che di fronte alla gravità della situazione, appesantita da una congiuntura di mercato sfavorevole, ha chiesto la convocazione di un “Tavolo” permanente della filiera suinicola.
Questi gli appelli, sperando si trasformino in tempi rapidi in azioni concrete.