Il mercato dei suini è in fibrillazione.
Prima, sino alla fine dello scorso anno, i prezzi dei suini da macello hanno continuato inesorabilmente a flettere, mentre aumentavano sia i costi delle materie prime per l'alimentazione e sia i costi energetici.
Poi un repentino recupero dei prezzi del vivo, comunque insufficiente a ridare marginalità agli allevamenti.
Accade in Italia come in altri paesi europei, una conseguenza sui mercati della continua chiusura di allevamenti, stritolati da una situazione economica fuori controllo.


Cun, meccanismi da rivedere

Così il prezzo degli animali da macello sale, spinto dalla minore pressione dell'offerta, ma in Italia gli allevatori non riescono a beneficiarne.
Colpa di un "meccanismo" che frena l'adeguamento del prezzo nelle sedi preposte, la Cun, Commissione unica nazionale, dove rappresentanze degli allevatori e delle industrie di trasformazione si incontrano per fissare il prezzo settimanale.

La regola, prevista per evitare eccessive fluttuazioni dei prezzi e azioni speculative, impone variazioni settimanali verso l'alto o il basso non superiori ai 5 centesimi di euro.

Seguendo questa regola sarebbe necessario attendere almeno due mesi per portare il prezzo attuale (1,527 euro/chilogrammo) ad allinearsi  almeno ai costi di produzione (1,90 euro/chilogrammo).

Un meccanismo che oggi "ingessa" il prezzo e impedisce agli allevatori di ottenere quotazioni rapidamente allineate alla realtà del mercato.
Con il risultato che gli stessi allevatori sono stati costretti a disertare le riunioni della Cun, mentre le industrie minacciano di interrompere acquisti e attività.


L'appello degli allevatori

Gli allevatori che si riconoscono in Assosuini hanno affidato al loro presidente, Elio Martinelli, il compito di inviare al ministro per le Politiche agricole, Stefano Patuanelli un appello nel quale si evidenziano i punti chiave sui quali intervenire per risollevare le sorti del settore.
Oltre a una revisione, solo temporanea, delle regole della Cun, ai primi posti vengono messi gli interventi per l'approvvigionamento di materie prime per l'alimentazione del bestiame, che oggi, con il conflitto fra Russia e Ucraina, è divenuto un elemento di forte criticità.

Di qui la richiesta di attivare misure per agevolare gli arrivi di mais e soia dai mercati Usa e dell'Argentina. Mentre in prospettiva si chiede con forza di rilanciare queste produzioni in Italia, per ridurre la nostra dipendenza.


I fronti aperti

Sul fronte europeo, si propone una conferma definitiva sull'obbligatorietà di indicare sulle etichette la provenienza della carne.
Ora questa norma è "sperimentale" e la sua efficacia terminerebbe con la fine del 2022.
Fra i punti toccati anche quello delle energie rinnovabili, dove gli allevamenti potrebbero contribuire con efficacia attraverso la produzione di biogas e biometano.

Ma troppi orpelli burocratici ne frenano l'espansione.
Poi il grande capitolo degli squilibri nella catena del valore lungo la filiera produttiva.
Troppo forte la sperequazione a vantaggio della distribuzione organizzata, tanto da paventare comportamenti speculativi. 


Rimuovere gli ostacoli

Domande, queste degli allevatori, che puntano a ridare marginalità economica e stabilità al settore suinicolo. Nessuna richiesta sul piano economico, se non quella di favorire l'accesso al credito per superare la fase di mancanza di liquidità delle imprese.
Ora non resta che attendere quali saranno le risposte da parte di chi ha responsabilità di indirizzo. 
Prendendo atto che gli allevatori non chiedono "soldi", ma solo di essere messi in grado di fare il loro mestiere.