Il nome può mettere fuori strada, perché la Febbre Q non provoca negli animali un apprezzabile rialzo termico.
Più conosciuta negli allevamenti di ovini e caprini, quando colpisce i bovini lo fa in modo subdolo, poche evidenze cliniche per molto tempo e quando meno te lo aspetti si fa notare per un aumento dei casi di aborto nelle bovine o di complicazioni alla sfera riproduttiva.
A quel punto il danno maggiore c'è già stato e rimediarlo è assai difficile.
Perché allora il nome di Febbre Q? Era il 1935 quando l'agente eziologico, il batterio Coxiella burnetii, venne individuato in un gruppo di addetti alla macellazione in un impianto del Queensland (ecco da dove arriva la Q), in Australia.
Si tratta dunque di una zoonosi, che nell'uomo provoca sintomi paragonabili a quelli di una severa influenza, sino a evolvere in polmonite.
La mente corre al covid-19, ma è bene ricordare che qui si tratta di un batterio e non di un virus.
Ma come i virus, o quasi, la coxiella è scarsamente aggredibile dagli antibiotici in quanto si "rifugia" all'interno delle cellule.
Parola d'ordine, prevenzione
Per queste sue caratteristiche, la Febbre Q va combattuta puntando sulla prevenzione, sia per le difficoltà che si incontrano nella terapia, sia per le possibili conseguenze nell'uomo e in particolare negli addetti alla stalla, che sono i più esposti a questo rischio.
Sono queste le conclusioni alle quali è giunto il dibattito organizzato dal periodico Allevatori Top e coordinato da Giovanni de Luca, che ha riunito in un webinar Giorgio Valla, della Ceva Sante Animale, Francesco Melli dell'allevamento Fattorie San Prospero e Nicola D'Effremo, il veterinario che segue le bovine da latte di questa azienda.
I danni
L'esperienza vissuta nelle Fattorie San Prospero, alle prese con un aumento di aborti apparentemente inspiegabili, ha portato a evidenziare, non senza qualche difficoltà iniziale, la presenza della Coxiella burnetii.
Importanti le conseguenze economiche, con un danno immediato sulla mancata produzione di latte e con la perdita di animali che pure promettevano una buona carriera.
Perché gli esiti della malattia compromettono la carriera riproduttiva degli animali e la loro riforma, anche se giovani, è una strada obbligata.
Poco conosciuta
A dispetto di queste pesanti conseguenze, della Febbre Q si parla poco e non sempre è al centro delle attenzioni degli allevatori, come pure dei sanitari.
Colpa del suo "nascondersi" negli animali, che pur colpiti si mantengono asintomatici.
Ma pronta a "esplodere" in presenza di fattori scatenanti, come possono esserlo alcune fonti di stress per le bovine.
Per queste sue caratteristiche merita invece maggiore attenzione, a iniziare dalle misure di biosicurezza, in particolare durante il parto degli animali.
Come ricordato da Giorgio Valla, la trasmissione del batterio dall'animale all'uomo avviene per via aerogena a partire dai feti abortiti, come pure dagli invogli fetali.
Di qui l'importanza di trattare questo materiale con attenzione, seguendo lo stesso iter e le stesse procedure per gli animali venuti a morte.
Difendersi con i vaccini
Questa patologia è più frequente di quanto si creda, tanto che alcune indagini sul campo ne hanno evidenziato la presenza nel 40% dei casi presi in esame, quasi sempre asintomatici.
Accade per i bovini, mentre per ovini e caprini la diffusione è non meno importante, ma con manifestazioni cliniche più frequenti.
Dunque grande attenzione quando si introducono nuovi animali in stalla, ricordando che l'assenza di sintomi non è di per sé una garanzia.
Per fortuna esistono vaccini che possono mettere al riparo gli allevamenti dalla Febbre Q.
Avendo cura nell'effettuare i necessari richiami. E in ogni caso seguendo le indicazioni del proprio veterinario di fiducia, che conosce a perfezione la situazione sanitaria dell'allevamento.