E da alcuni giorni il consigliere delegato per l’Agricoltura, Nicola Caputo ha iniziato un vero e proprio roadshow per illustrare sul campo i contenuti della delibera di giunta regionale n. 546/2019, approvata lo scorso 12 novembre e contenente il “Programma straordinario per l'adeguamento impiantistico ambientale del comparto bufalino nelle Zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola”.
L'attuazione del Programma straordinario - grazie al finanziamento di impianti collettivi per produrre energia da biogas e compost, in modo da ridurre il carico di azoto per i terreni e le falde acquifere sottostanti - dovrebbe consentire agli allevamenti di rispettare il nuovo limite di 170 chili di azoto per ettaro all'anno, previsto ordinariamente per le zone vulnerabili.
Con un’unica necessaria postilla: il nuovo limite sarà pienamente operativo dal prossimo 1° marzo 2020, non si prevedono infatti ulteriori deroghe o sospensioni, mentre l’impiantistica per abbattere l’azoto è ancora tutta da progettare. E il bando per raccoglier le manifestazioni di d’interesse dei gruppi di allevatori bufalini non sarà reso noto prima del prossimo febbraio.
Infatti, da quanto apprende AgroNotizie, Regione Campania per poter stipulare un Accordo di programma quadro, al fine di acquisire dallo Stato parte della necessaria liquidità sul Fondo sviluppo e coesione - il costo massimo complessivo degli investimenti è stimato intorno ai 100 milioni di euro - dovrà prima poter esibire un congruo parco progetti.
La procedura è al riparo dalle censure Ue sugli aiuti di Stato, grazie all’utilizzo della deroga contenuta nell’articolo 41 del DM 5046/2016, che prevede espressamente che le regioni possano finanziare progetti nell’ambito di accordi e contratti di programma tra le imprese agrozootecniche interessate all’adozione delle tecniche finalizzate al ripristino di un corretto equilibrio tra agricoltura e ambiente.
Il Programma straordinario sintetizza sotto forma di linee guida tutte le opzioni tecnologiche utilizzabili per le fasi di recupero energetico del liquame, di estrazione e recupero dell’azoto e riutilizzo agronomico del digestato sotto forma di compost.
Inoltre, sulla base della presenza degli allevamenti sul territorio prevede due scenari localizzativi - uno da 40 impianti di medie dimensioni, un altro da 6 impianti di grandi dimensioni. Si finirebbe in ogni caso per produrre energia per non meno di 8,75 MW di potenza installata, risolvendo il problema dei reflui ad almeno 70.000 capi adulti, pari al 30% circa della popolazione bufalina nelle zone vulnerabili.
Tutto questo per consentire nel tempo sia il rispetto della Direttiva nitrati, sia un corretto approccio alla più recente Direttiva Nec, per la riduzione delle emissioni di ammoniaca in atmosfera.
Ma resta sul tappeto la necessità a breve termine di dover o ridurre le mandrie bufaline o ampliare i terreni dove poter effettuare gli spandimenti. Senza contare che nulla è invece previsto per l’allevamento vaccino, pure importante e presente nelle piane della Campania.
Mentre restano in silenzio le organizzazioni agricole che avevano prodotto i ricorsi amministrativi contro la delibera di perimetrazione delle aree del dicembre 2017: quello al presidente della Repubblica, ad iniziativa di Coldiretti Campania, ed al Tar, promosso da Confagricoltura Campania.