Si è molto parlato in questi giorni di una presunta frode ai danni dei prosciutti a marchio Dop.
Al centro dell'attenzione il prosciutto di Parma e il prosciutto San Daniele.
A dare il via una trasmissione televisiva (Report, su Rai 3) dove si denunciava la presenza di prosciutti ottenuti da animali nei quali era presente una componente genetica della razza Duroc.

Un'infrazione alle norme dei disciplinari di produzione del San Daniele, come pure del Parma, ma nulla di compromettente sotto il profilo della sicurezza del prodotto finale.
Accompagnato da immagini sul maltrattamento degli animali, che certo non rappresentano la norma e che indignano gli stessi allevatori, che lavorano avendo a cuore il benessere dei propri animali, il servizio televisivo è stato ripreso da molti media, come evidenzia la rassegna stampa di AgroNotizie.

Chi a sottolineare le pessime condizioni degli allevamenti, chi a lasciare intendere che anche sui prodotti a marchio Dop vi siano incertezze sulla provenienza, quasi che ad essere importati siano i prosciutti e non il seme della razza "proibita".
 

Le razze ammesse

Proibita la Duroc, ad eccezione di quella proveniente dalla selezione italiana, perché non in linea con gli standard di qualità previsti dai Consorzi di tutela.

Un'occhiata a quanto prevedono i disciplinari dei due Consorzi, Parma e San Daniele, lo precisa senza lasciare spazio a incertezze. "Sono ammessi – si legge – gli animali, in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large White e Landrace, così come migliorate dal Libro genealogico italiano".
 

Selezione italiana

Come si intuisce dal loro nome non si tratta di razze autoctone, ma di provenienza estera (inglese la prima, danese la seconda), sottoposte però da anni a un lungo e intenso lavoro di selezione che le ha rese diverse da quelle d'origine, sino ad ottenere vere e proprie "nuove razze" italiane.

Razze oggi annoverate nel Libro genealogico gestito dalla Associazione allevatori suini (Anas) che provvede ai necessari controlli.
Continuando la lettura dei disciplinari si legge che: "Sono altresì ammessi gli animali, in purezza o derivati, della razza Duroc, così come migliorata dal Libro genealogico italiano".

Dunque la genetica proveniente da questa razza non è poi così distante dai parametri di qualità fissati dai Consorzi di tutela.
Ciò non toglie che linee genetiche diverse da quella italiana non sono ammesse.
Quindi il seme di verri Duroc danesi o di altra provenienza non è contemplato e il suo impiego per le produzioni Dop può rientrare nel novero delle frodi commerciali.
 

Un caso già risolto

Ben lo sanno al Consorzio di tutela del Prosciutto San Daniele, che già tre anni fa ha sollevato il caso denunciando il possibile illecito all'Icqrf (Repressione frodi del ministero dell'Agricoltura).

Un comunicato dello stesso Consorzio afferma infatti che la possibile frode (ora al centro di un procedimento giudiziario) era stata segnalata già nel 2016, provvedendo nel contempo a identificare e smarchiare tutte le cosce provenienti dai suini non conformi.

Quei prosciutti, dunque, non sono mai entrati nel circuito commerciale dei prodotti Dop e nemmeno possono essere giunti sulle tavole dei consumatori.
 

Allarme ingiustificato

Tanto rumore per nulla, verrebbe da concludere, che "infanga" la buona reputazione di alcune eccellenze Dop.
Ma intanto il danno è fatto e la ricaduta sui consumi è una delle possibili conseguenze, che giunge per di più in un momento di grande difficoltà per gli allevatori.

I prezzi di mercato che proprio in queste settimane stavano riprendendo quota dopo un lungo periodo di crisi, rischiano di tornare a flettere anche in conseguenza di questi inutili allarmi.
 

Punire chi maltratta

Resta invece aperto il capitolo del maltrattamento agli animali mostrato in alcuni video.
Si tratta di comportamenti perseguibili penalmente e gli stessi allevatori che ogni giorno si impegnano per migliorare il benessere dei propri animali, e sono la maggior parte, si augurano che le autorità intervengano con la necessaria severità.
La documentazione video (purché non si tratti di materiale d'archivio) dovrebbe essere più che sufficiente per individuare le responsabilità.