Per raggiungere questo scopo la filiera si è riunita nell'Associazione Carni sostenibili, progetto senza precedenti in Italia, per contribuire a una informazione equilibrata su salute e alimentazione.
Molte le iniziative già realizzate, ultima in ordine di tempo la presentazione a Bologna del libro "La sostenibilità delle carni e dei salumi in Italia", per i tipi di Franco Angeli.
Fatti, non opinioni
L'incontro si è rivelato come un'ottima occasione per riunire chi su questi argomenti possiede elevate competenze per fornire informazioni corrette e certe su temi come la sostenibilità ambientale, la sicurezza delle carni, il loro ruolo nell'alimentazione.Dunque non opinioni, ma fatti, tutti documentati e dimostrabili.
La parola alla scienza
A questo punto è opportuno ricordare i nomi e le rispettive competenze di quanti hanno partecipato all'incontro.Aperti da Giorgio Cantelli Forti (farmacologo e presidente dell'Accademia nazionale di agricoltura) e moderati da Carlo Alberto Pratesi (docente di marketing, innovazione e sostenibilità, università di Roma Tre), i lavori sono proseguiti con gli interventi di Giuseppe Pulina (ordinario di zootecnia speciale, università di Sassari), Elisabetta Bernardi (nutrizionista, università di Bari), Ettore Capri (ordinario di chimica agraria, università Cattolica Sacro Cuore), Massimo Marino, (ingegnere ambientale).
Sostenibilità
Si è iniziato parlando di "sostenibilità" e del suo significato. Che non si riconosce nel solo riferimento all'ambiente o al consumo di risorse, ma si estende al benessere animale, all'economia, alla nutrizione, alla lotta agli sprechi. E proprio nel non sprecare nulla l'agricoltura e gli allevamenti, l'una senza altra non esisterebbero, hanno molto da insegnare.La banale osservazione del mirabile ciclo della sostanza organica, prima foglia e frutto, poi carne e concime, ne sono un esempio. Banale anche ricordare il rapporto fra ambiente e allevamento.
Senza animali il paesaggio non sarebbe lo stesso che oggi ammiriamo. E il cambiamento, non serve ricordarlo, sarebbe in peggio.
Poi l'economia. Che deve premiare il lavoro dell'uomo e non "consumare capitale umano", definizione utilizzata con efficacia da Giuseppe Pulina, che dell'Associazione Carni sostenibili è anche il presidente.
Aggiungendo che allevamento intensivo non significa spazi ridotti per l'animale.
E' invece un concetto economico legato alla quantità di lavoro necessaria per ottenere un alimento, nel nostro caso la carne.
Carne, alimento principe
Allevare è dunque parte integrante dell'agricoltura. Ma poi bisogna chiedersi se dei frutti dell'allevamento, cioè la carne, se ne debba necessariamente fare uso.A dispetto di "mode" e convinzioni, la risposta è sì, in particolare in alcune fasi della vita.
Fra queste quella della prima infanzia, dove l'apporto dei nutrienti della carne (non solo proteine, ma molto altro), può condizionare uno sviluppo armonico dell'organismo e delle capacità cognitive.
Eliminare del tutto la carne nella dieta dell'adulto non comporta danni così pesanti, ma qualche rischio sì. Deficienze vitaminiche in primo luogo. Ma più in generale ogni "ingrediente" che viene tolto dalla dieta può essere motivo di danni alla salute.
Un esempio: una dieta povera di latte è quattro volte più "pericolosa" di una dieta con un eccesso di carne. Che a sua volta non comporta danni se rientra nei valori consigliati, 96 grammi al giorno.
In Italia siamo già vicini a questa cifra, visto che i consumi reali, che tengono conto di ogni apporto carneo, dai salumi alle paste ripiene, si ferma a 103 grammi procapite.
Ambiente e allevamenti
Produrre carne comporta la presenza di allevamenti e questi arrecano un danno all'ambiente. Un'affermazione ricorrente che prende spunto dalle emissioni di gas serra, metano e anidride carbonica, che provengono dagli allevamenti. Ma come stanno realmente le cose?Che ci sia polluzione è inevitabile. Ogni attività dell'uomo e la sua stessa esistenza ne sono causa. Ma è errato, come si è fatto, prendere in esame le quantità di gas serra emessi senza tenere conto dell'ambiente ove si realizzano, decontestualizzando l'informazione.
Anche in questo caso un esempio vale più di un lungo e articolato ragionamento. Un volo da Roma a Bruxelles produce molta più anidride carbonica di quanta ne proviene dalla produzione di carni e salumi consumate da una persona durante un intero anno.
C'è da aggiungere che progressivamente gli allevamenti sono diventati più efficienti, il che coincide con una riduzione delle emissioni. Oggi si produce la stessa quantità di latte, se non di più, che si realizzava trenta anni fa.
Ma lo si fa con appena la metà delle vacche, il che coincide con una drastica riduzione delle emissioni. Riduzione che aumenta utilizzando nuove tecnologie, come la trasformazione delle deiezioni in biogas.
No antibiotici
Non può mancare un cenno alla salubrità delle carni. Sconfessata ogni supposizione che imputa alle carni la presenza di residui, antibiotici e ormoni in particolare.Questi ultimi sono vietati da sempre, mentre per gli antibiotici vi è un impiego esclusivamente sanitario.
Il loro uso per migliorare l'efficienza alimentare è vietato da decenni.
Si utilizzano esclusivamente su animali ammalati e sotto controllo veterinario, mentre sono imposti tempi di sospensione tali da assicurare l'assenza di residui indesiderati nelle carni.
Persino il grande tema della resistenza agli antibiotici non può vedere gli allevamenti come principali imputati. Non sono le carni a trasmettere la resistenza agli antibiotici all'uomo, ma semmai i batteri, che mutando divengono insensibili agli antimicrobici.
Domandiamoci allora quante volte degli antibiotici si fa un uso improprio in medicina umana. Magari dimenticando che a nulla servono per curarci una banale influenza virale. Ma così facendo si dà opportunità ai batteri di adattarsi e divenire resistenti.
Lotta allo spreco
Ultimo tassello per valutare la sostenibilità della filiera delle carni è lo spreco. Anche in questo caso bisogna affidarsi ai numeri, per quanto siano in questo caso più difficili da raccogliere.Per tutto il settore alimentare alcuni studi hanno valutato un'incidenza del 16%, che si verifica prevalentemente nella fase di produzione e al consumo.
L'allevamento si colloca tra le fasi ove questo spreco è più basso.
Il perché è presto spiegato. Durante l'allevamento e la prima trasformazione le eventuali eccedenze vengono facilmente conservate.
Nelle fasi di distribuzione la maggior parte di spreco si realizza con il raggiungimento della data di scadenza. Ridotti anche gli sprechi domestici, grazie sia alla conservazione sia ad acquisti più frequenti e meglio modulati sulle reali esigenze.
Un patto con l'informazione
Molto altro è contenuto nel libro sulla sostenibilità delle carni. Non opinioni, ma numeri e fatti, tutti suffragati da ricerche e sperimentazioni verificabili nella ricca bibliografia che accompagna ogni capitolo.Sarà sufficiente ad evitare informazioni distorte o convinzioni che non hanno alcuna aderenza alla realtà? Certamente no. Ce ne accorgeremo con la prossima emergenza alimentare, vera o solo presunta.
Complice un'informazione che viaggia su canali privi di controllo e verifica, problema che affligge i "social", ma che a volte si estende ai media "ufficiali", giornali e televisioni. Gli uni e gli altri impegnati nella corsa a chi primo arriva, a scapito a volte della correttezza.
Ora chi vuole dare informazioni sulla carne ha nel libro sulle carni sostenibili e nell'associazione che porta lo stesso nome uno strumento in più dal quale trarre indicazioni "certificate".
Sarebbe allora utile, si è detto a Bologna in occasione di questa presentazione, siglare un "patto" fra allevamenti e giornalisti per puntare a un'informazione verificata e obiettiva.
Promuovere questo patto sarebbe un importante compito che le stesse organizzazioni dei produttori dovrebbero portare avanti.
Difficile, ma non impossibile.