C'è una preoccupazione che accomuna tutti i risicoltori italiani: la concorrenza dei Paesi asiatici a dazio zero.

È questo uno degli elementi emersi durante il workshop "La coltura e la cultura del riso", un evento organizzato da Sitox, la Società italiana di tossicologia, insieme a Dow Agrosciences. La Cascina Triulza ad Expo 2015 ha ospitato l'evento che ha visto al lavoro sei gruppi, rappresentativi di tutto il comparto, con il compito di individuare le problematiche che affliggono la risicoltura italiana lungo tutta la filiera e proporre soluzioni.

Sono ottimista riguardo il futuro del riso”, ha spiegato Giovanni Daghetta, presidente di Cia Lombardia. “E' vero che abbiamo parecchi problemi, come quello climatico, però abbiamo varietà gradite al mercato. C'è la questione delle importazioni a dazio zero da Paesi come la Cambogia e il Myanmar, però dobbiamo anche dire che nell'ultimo anno abbiamo raggiunto il record di export, con le nostre varietà tipiche”.

I dati forniti da Paolo Carrà, presidente dell'Ente nazionale risi, parlano chiaro: le superfici coltivate stanno aumentando. L'Italia è il primo produttore di riso in Europa con 227 mila ettari e ha registrato nel 2015 un aumento delle coltivazioni del 3%. In testa c'è il Piemonte, seguito dalla Lombardia.
E se la Coldiretti fa sapere che nei primi sette mesi di quest'anno le esportazioni, anche verso l'Asia, sono aumentate del 5%, Carrà raccoglie la preoccupazione dei risicoltori: “La politica europea non vede ancora il problema, ma quella del riso asiatico è una concorrenza sleale, che per di più non arricchisce i coltivatori locali, ma solo gli intermediari”.

Nel comparto dei Lunghi B la concorrenza dei Pma (Paesi meno avanzati) si è fatta sentire, visto che la produzione è scesa, ma sulle varietà tipiche italiane export e coltivazioni hanno il segno positivo, complice anche il calo del prezzo del mais che ha spinto molti agricoltori a cambiare coltura.

Le risaie nostrane soffrono di una minore produttività rispetto a quelle spagnole o greche.
Un problema che si può affrontare con l'aiuto delle tecniche agronomiche e con l'assistenza in campo”, spiega Maurizio Tabacchi, agronomo e coordinatore di uno dei tavoli di lavoro. “Inoltre in soccorso ci viene la genetica: occorre coltivare varietà più produttive e che resistono meglio alle malattie”.

Un grande aiuto ai risicoltori potrebbe arrivare dall'agricoltura di precisione. Attraverso l'uso dei droni è possibile mappare i campi e analizzare l'indice di vigore vegetale, un parametro che indica lo stato di salute delle piante. Al momento della concimazione le macchine sapranno esattamente la quantità di concime ottimale da spargere per ogni sezione della risaia, con risparmi importanti per gli agricoltori e con effetti positivi per l'ambiente.

Uno dei tavoli di lavoro si è concentrato sul consumatore, che spesso vede il risotto come un piatto tipico del pranzo della domenica o come rimedio casalingo al mal di pancia. Il riso, secondo i componenti del tavolo, dovrebbe essere invece consumato tutta la settimana, come il pane o la pasta e per farlo bisogna cambiare la percezione dei consumatori.

Dal workshop è emerso un chiaro indirizzo per il futuro del settore: bisogna puntare sulla qualità del prodotto e sull'innovazione per vincere la concorrenza, adottare un marchio nazionale facilmente riconoscibile e investire sulla tracciabilità e trasparenza della filiera.
 

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