Poi, analizzando i dati pubblicati emerge sempre come questi siano stati prodotti tramite studi artificiali in cui le sostanze sono state somministrate in quantità abnormi o con modalità irrealistiche. Molto spesso un mix delle due cose.
In sostanza, ciò che emerge dai lavori di laboratorio non trova mai riscontro nel mondo reale, ove le dosi e le pratiche utilizzate dagli agricoltori creano scenari completamente diversi e molto meno aggressivi.
Oggi è il turno di una pubblicazione finlandese(1), rilanciata in Italia dal solito "Il Salvagente”. In tale ricerca si sarebbero evidenziati effetti nocivi su festuca e fragola quando fertilizzati con pollina contenente glifosate. Una notizia boom, pensando al mare di pollina che viene impiegato dagli agricoltori nei propri campi. Agricoltori che a quanto pare mai lamentano effetti come quelli visti dai ricercatori finnici, altrimenti di pollina non ne comprerebbero più.
Ma vediamo cosa è stato fatto in Finlandia.
La pubblicazione “choc”
Di fatto i ricercatori hanno alimentato due gruppi di galline, 38 per gruppo, con mangimi senza e con glifosate. Questo è stato aggiunto al mangime come Roundup Flex, fino alla ragguardevole dose di 160 mg /kg di glifosate. Una dose che secondo i ricercatori corrisponderebbe a un’assunzione giornaliera di 12–20 mg per chilo di peso corporeo delle galline.Gli Lmr di glifosate nelle diverse colture riportano però dati molto diversi da quelli somministrati, almeno stando al Codex Alimentarius di Fao/Oms:
Mais: 5 mg/kg;
Girasole: 7 mg/kg;
Melassa di canna da zucchero: 10 mg/kg;
Frumento: 30 mg/kg;
Crusca: 20 mg/kg;
Soia: 20 mg/kg;
In sostanza, anche assumendo che tutti i vari componenti del mangime siano presenti al proprio Lmr, si potrebbe ipotizzare circa un decimo di quanto somministrato alle galline dai ricercatori finlandesi. Di fatto, però, la presenza di glifosate è spesso ampiamente sotto gli Lmr, specialmente per colture diverse dalla soia gm, diserbata più volte con glifosate. Vi è cioè da supporre livelli di glifosate nei mangimi “reali” svariate decine di volte al di sotto della dose impiegata nel test.
Cosa mangiano le galline
Le galline ovaiole generalmente sono alimentate con granturco, panelli di soia, frumento (anche in forma di farinette e crusca), favette, farina di erba medica disidratata e semi di girasole. A tale ricetta possono essere aggiunti melassa di canna da zucchero, olio vegetale di soia, nonché altri componenti come fosfato bicalcico, carbonato di calcio, altri sali minerali e/o aminoacidi specifici, come lisina o metionina, per esempio.Una composizione alquanto variegata, quindi, in cui la presenza di glifosate può essere ravvisata solo in alcuni degli ingredienti ma non in altri, permettendo di sfruttare un discreto effetto diluizione.
Cosa mangiano le quaglie
Analogamente alle galline ovaiole, anche altri volatili da allevamento, come le quaglie (citate anch'esse nello studio finlandese), sono alimentati con cereali e altri tipi di semi, integrati dalla soia per la componente proteica. Quasi tutti i mangimi per quaglie contengono infatti mais sbriciolato, cereali (orzo, avena, segale e frumento), miglio, semola di avena, popcorn, semi di cartamo e semi di girasole.Ancora, l'eterogeneità di composizione gioca a favore della diluizione dei residui dell'erbicida nel prodotto finito da somministrare agli animali.
Su cosa si applica glifosate
Glifosate viene applicato solo sulle colture gm ad esso resistenti, oppure su grano nei climi freddi per accelerarne il disseccamento. Nel mais gm i residui di glifosate sono pressoché inesistenti, dato che i trattamenti erbicidi vengono effettuati ben lontani dalla formazione della granella. Stessa cosa per la canna da zucchero gm, diserbata prima che lo sviluppo sia completo.Di ibridi gm di avena resistente a glifosate non ne esistono, né ve ne sono disponibili per miglio, orzo, segale, cartamo o girasole. Alcuni orzi, però, possono essere trattati in pre-raccolta come avviene per il frumento quando coltivati in climi freddi e dai fine estate piovosi. Le dosi utilizzate a tal fine sono comunque alquanto basse, meno della metà delle dosi efficaci per i diserbi, quindi i residui sono al massimo di pochi milligrammi per chilo già al momento del trattamento, sia per orzo, sia per frumento.
La maggior parte dei residui di glifosate deriva perciò dalla soia gm, per quanto questo alimento sia minoritario nella composizione dei mangimi. Essendo la maggior parte della soia mondiale resistente a glifosate – ed essendo l’Europa importatrice netta di soia a causa dell’atavica insufficienza interna – va da sé che i semi impiegati nella mangimistica sono sovente di origine gm, quindi contenenti residui variabili di glifosate.
Glifosate nella soia
Nello specifico, andandosi a cercare altre ricerche sul tema, nella soia gm i valori medi di glifosate e Ampa sarebbero nell’ordine di pochi milligrammi per chilo. La media di Ampa sarebbe infatti pari a 5,74 mg/kg (min. 0,7; Max. 10), mentre la media per glifosate sarebbe risultata di soli 3,26 mg/kg (Min. 0,4; Max. 8,8).Lo studio finlandese considera però solo glifosate, non Ampa, anche perché i ricercatori, come già detto e già deprecato, lo hanno aggiunto al mangime utilizzando Roundup Flex, ovvero il solito formulato commerciale usato al posto della sostanza attiva come dovrebbe essere.
Il tutto fino a raggiungere i 160 mg/kg citati. Ergo, nel cibo somministrato alle galline non vi era Ampa, come invece potrebbe benissimo verificarsi, bensì vi erano i coformulanti del prodotto commerciale, cosa che invece non avviene in realtà, visto che nei mangimi questi non arrivano. Di certo Ampa non possiede affatto la medesima efficacia erbicida di glifosate. Quindi, considerando la pollina, se un effetto indesiderato sulle colture dovesse esservi, non potrebbe certo essere imputato ad Ampa, bensì quasi tutto a glifosate stesso.
Focalizzando quindi sulla sola sostanza attiva, si deve purtroppo ravvisare l’usuale ed estrema distanza fra quanto somministrato dai ricercatori e quello che ci si può aspettare nei mangimi in commercio. Impossibile stimare di quante volte, vista la variabilità di composizione che ogni mangime potrebbe avere. Probabilmente, si può spaziare da zero a frazioni di milligrammo in gran parte dei casi. Al massimo, possono essere trovati nei mangimi complessi solo pochi milligrammi. Quindi, diverse decine di volte meno della dose usata in Finlandia.
Vi è poi da considerare che per un caso di mangime con residui "alti" di glifosate (10-20 mg/kg?), ve n'è un altro con residui "bassi" o inesistenti (da zero a frazioni di milligrammo?). Quindi l'esposizione media di lungo periodo dei volatili tende a risultare insignificante. Ergo, nemmeno la pollina da loro prodotta può contenere l'erbicida a dosi tali da danneggiare le colture cui viene applicata come fertilizzante.
Per quanto glifosate venga sicuramente escreto quasi totalmente dalle cloache dei volatili – fatto che lo rende infatti sicuro per gli animali – e quindi finisca nel “manure” (concime), le concentrazioni di glifosate nella pollina dovrebbero quindi essere anch'esse decine di volte inferiori a quelle realizzate nei test pubblicati.
Peccato: come al solito non esiste una tesi di confronto con dei prodotti commerciali a base di pollina, al fine di verificare se nelle situazioni di campo, quelle della vita reale, l’erbicida raggiunga davvero delle concentrazioni tali da inibire lo sviluppo di qualsivoglia coltura.
Un’omissione sistematica, quella delle condizioni reali, che da tempo odora molto di deliberata sceneggiatura scritta a tavolino, dove il colpevole non è più il fatidico maggiordomo, bensì un pesticida.
E se questi sono gli “scienziati”, figuriamoci cosa ci può attendere dai cosiddetti “giornalisti”.
1) Anne Muola et al (2020): "Risk in the circular food economy: Glyphosate-based herbicide residues in manure fertilizers decrease crop yield". Science of the Total Environment.