Una prima risposta è arrivata dalla riunione del Comitato fitosanitario nazionale che si è svolta il 21 settembre scorso. In quella sede si è deciso di dare vita ad una task force, sulla falsariga di quella realizzata per l'emergenza cimice asiatica, per indagare le cause che portano le piante di actinidia alla morte. Ad oggi infatti sono stati realizzati solo alcuni studi a livello locale, senza un coordinamento nazionale.
Faranno parte della task force le regioni maggiormente coinvolte (Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Calabria) nonché il Crea come ente scientifico. L'obiettivo è quello di capire le cause che stanno dietro alla moria del kiwi e trovare una cura o dei metodi di prevenzione.
Il tema è così sentito che oggi, martedì 22 settembre, presso la Regione Lazio si è tenuta una audizione per fare il punto sulla situazione e valutare degli strumenti di sostegno economico alle aziende agricole colpite. Tra i relatori era presente anche Marco Scortichini, direttore del Crea Frutticoltura di Caserta, che abbiamo incontrato per capire a che punto è la ricerca di una cura.
"La malattia è stata riscontrata per la prima volta nel 2012 nel Veronese, nelle aree attorno a Bussolengo. Successivamente si è diffusa in Piemonte, Friuli, Emilia Romagna. E da un paio di anni si è affacciata anche nel Lazio e nel Sud Italia", spiega Marco Scortichini.
Quali sono i sintomi della moria del kiwi?
"Le piante colpite avvizziscono in maniera piuttosto repentina. I primi segnali si hanno osservando le foglie, che perdono di vigoria, e successivamente si ha un collasso della pianta, soprattutto durante i mesi estivi. Quando si campiona la rizosfera si osserva l'assenza del capillizio radicale".
I sintomi sono differenti tra regione e regione?
"No, la sintomatologia è identica in tutte le regioni colpite".
Qual è l'agente patogeno responsabile della moria del kiwi?
"Per quanto riguarda l'eziologia siamo all'inizio degli studi. Si tratta probabilmente di una malattia di origine complessa, che vede in azione diversi funghi e batteri anaerobi. Questa è una caratteristica importante in quanto è ormai assodato che esiste una correlazione tra l'insorgere della malattia e l'asfissia della rizosfera causata da precipitazioni atmosferiche abbondanti".
Ci può spiegare meglio?
"Abbiamo constatato che la malattia si presenta in seguito ad abbondanti piogge che saturano il terreno di acqua, anche per molti giorni. In queste condizioni caratterizzate da assenza di ossigeno i batteri anaerobi responsabili della moria trovano le condizioni ideali per svilupparsi".
In quanto tempo muore la pianta?
"Probabilmente la moria impiega qualche anno a manifestarsi. C'è un lavorio sotterraneo di questi microrganismi che all'inizio non causa sintomi. Per questo ci servono anni per capire se un rimedio è efficace".
La malattia colpisce in egual misura le diverse varietà di actinidia?
"Da quello che sappiamo sì, i dati di campo ci dicono che non ci sono differenze tra varietà a polpa verde o a polpa gialla".
In Nuova Zelanda, patria del kiwi, la moria è diffusa?
"No, non abbiamo notizie in merito. Bisogna però dire che i terreni su cui insistono gli impianti sono di tipo sabbioso, quindi non soggetti al ristagno di acqua. In quelle condizioni inoltre l'apparato radicale penetra per anche più di un metro nel suolo. Mentre da noi la rizosfera si concentra nei primi 30-50 centimetri".
I microrganismi responsabili della moria del kiwi sono autoctoni o sono stati 'importati' come ad esempio Halyomorpha halys, Erwinia amylovora e Drosophila suzukii, solo per citarne alcuni?
"I microrganismi che abbiamo individuato sono naturalmente presenti nel suolo, non sono 'alieni'".
Come mai solo in Italia è presente la malattia e come mai è emersa solo di recente, visto che gli agenti patogeni sono presenti nel suolo da sempre?
"Crediamo che il motivo sia da ricercare nei cambiamenti climatici e nella maggiore frequenza con cui si verificano fenomeni intensi. Le cosiddette 'bombe d'acqua' hanno la capacità di saturare il suolo d'acqua velocemente e per lungo tempo, realizzando le condizioni necessarie allo sviluppo dei batteri anaerobi".
Esiste una soluzione a questo problema?
"Prima di tutto dobbiamo capire esattamente quali sono i meccanismi e le condizioni che stanno alla base della malattia e solo successivamente potremo individuare dei rimedi. Quello che già oggi possiamo dire è che sarà improbabile avere una cura alla moria del kiwi. Quello che si potrà fare è mettere le piante nelle condizioni di non ammalarsi. L'elemento chiave è evitare che nella rizosfera si determinino le condizioni di assenza di ossigeno che favoriscono lo sviluppo dei batteri".
Come si può fare?
"Prima di tutto prestando estrema attenzione all'irrigazione, dando acqua solo se strettamente necessario e monitorando sempre il meteo. Bisognerebbe rimanere sempre leggermente sotto la capacità di campo, aiutandosi magari con dei tensiometri. Bisogna in definitiva evitare l'eccessiva presenza di acqua nel suolo".
Ci sono altri metodi?
"A valle degli studi probabilmente si potranno individuare degli accorgimenti per contrastare lo sviluppo della malattia. A titolo esemplificativo si potrebbero selezionare dei portainnesti resistenti oppure microrganismi antagonisti. Saranno poi fondamentali le pratiche agronomiche: penso all'inerbimento del terreno e ovviamente all'irrigazione".