Il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, con decreto n. 434 del 21 dicembre 2023, ha approvato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc). Il sito del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) lo definisce "un passo importante per la pianificazione e l'attuazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro Paese", ma le associazioni di categoria non sembrano pensarla allo stesso modo.
Il comunicato stampa dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis) auspica una veloce creazione di una struttura ministeriale necessaria all'attuazione - ad oggi inesistente - e l'utilizzo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Più critica invece Legambiente, che segnala come l'iter del documento in questione sia stato inutilmente lungo, che da undici anni è latitante una legge contro il consumo del suolo, e inoltre che il documento rischia di rimanere lettera morta in assenza di una struttura di gestione e di adeguati finanziamenti. Dura la posizione del Wwf, che sottolinea le lacune del documento e ritiene "inammissibile che dopo sette anni si propongano 'possibili opzioni': i Piani si chiamano tali proprio perché operano scelte, specie a livello nazionale e sovraregionale".
Re Soil Foundation segnala che il documento "delude tutti". L'Unione Italiana del Lavoro (Uil) denuncia il mancato coinvolgimento dei sindacati nella redazione del Piano ed il suo principale punto di debolezza: l'assenza di indicazioni sul reperimento delle risorse adeguate a sostenere le azioni che compongono la strategia in questione. La Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili (Fiper) e il Consorzio Italiano Biogas (Cib) non hanno rilasciato ancora (al 15 gennaio 2024) alcun comunicato stampa in merito. Forse perché le oltre novecento pagine di Piano e gli allegati, già di per sé lacunosi e scritti in euroburocratese travestito da ricerca scientifica, contengono molte ovvietà sul ruolo dell'agricoltura in generale, e solo menzioni superficiali al comparto delle agroenergie in particolare. Comparto che, nella visione dei funzionari ministeriali, sembrerebbe limitato solo alle biomasse solide e al biodiesel, perché il ruolo di "biogas", "biometano" e "digestione anaerobica" non è nemmeno menzionato in nessuno dei documenti che compongono il documento. D'altronde, osserviamo che l'iter di redazione del Piano si è svolto maggiormente durante i Governi Conte I e Conte II - palesemente ostili agli impianti di digestione anaerobica - e durante il Governo tecnico Draghi, per il quale le agroenergie non erano fra le priorità. Il Governo Meloni ha semplicemente concluso l'iter, apparentemente senza apportare alcun miglioramento al testo elaborato dai predecessori.
Nella pagina web ufficiale del Decreto il lettore interessato ad approfondire potrà trovare i link per consultare i seguenti punti: il documento di Piano; i due allegati metodologici sulle strategie per piani regionali e piani locali; l'allegato III sugli impatti e vulnerabilità di ogni settore e, infine, l'allegato IV, che è un database in formato Excel contenente 362 possibili azioni di adattamento al cambiamento climatico in tutti i comparti, con indicazione di quelle che sono trasversali a più comparti. Ad esempio, l'utilizzo agricolo delle acque reflue trattate è annoverato fra gli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici per il comparto "risorsa idrica".
Vediamo dunque, in sintesi, quali benefici o aiuti concreti potrebbe comportare il Pnacc per le aziende agricole in generale, e per il comparto agroenergetico in particolare, ammesso e non concesso che il Governo in carica riesca a rendere operativo entro il prossimo 31 marzo l'Osservatorio Nazionale per l'Adattamento ai Cambiamenti Climatici. Il nuovo ente sarà composto dai rappresentanti delle regioni e degli enti locali, e la sua funzione sarà quella di individuare le priorità territoriali e settoriali e di monitorare l'efficacia delle azioni di adattamento intraprese. La creazione dell'Osservatorio è però una condizione necessaria ma non sufficiente per intraprendere azioni concrete, giacché il Piano non identifica quale sarà la fonte dei finanziamenti e nemmeno una previsione di massima delle somme necessarie. Poiché la Legge di Bilancio 2024 non prevede fondi per il Pnacc, possiamo essere certi che, almeno nel 2024, non verrà applicata nessuna delle azioni suggerite dal Piano. A scanso di dubbi e malintesi, l'unico riferimento ai cambiamenti climatici nella Legge Finanziaria 2024 si trova a pagina 74, dove si stabilisce una proroga per le garanzie Sace ai progetti ed investimenti, attingendo alle rimanenze dei fondi stanziati con la Legge Finanziaria 2020.
L'allegato III (pagine 156-187) sintetizza gli impatti e le vulnerabilità del cambiamento climatico nei confronti dell'agricoltura. Il territorio nazionale viene suddiviso in sei macroregioni climatiche e per ciascuna di esse è stata analizzata la perdita di produttività attesa nel periodo 2021-2050 per ciascuna delle produzioni agricole primarie: cereali da granella (pagina 161); colture da tubero e radice, colture orticole (pagina 167); colture energetiche (pagina 168); foraggere e pascoli (pagina 169); colture arboree (pagina 170); produzioni animali (pagina 172).
In linea di massima, le regioni più a Nord, oppure le aree collinari e montane delle regioni centromeridionali beneficeranno in alcuni casi dell'aumento del tenore di anidride carbonica e di temperature più miti, quindi paradossalmente potrebbero perfino aumentare le produttività di alcune colture; mentre Sicilia, Sardegna, Puglia e Calabria subiranno perdite di produttività significative per la maggior parte delle colture a causa delle estati più torride e asciutte. Nel comparto zootecnico, saranno le regioni settentrionali a subìre le peggiori conseguenze dell'innalzamento delle temperature.
Tutti i risultati delle analisi sono sintetizzati nella Tabella 1-33 nelle pagine 180-181. Per quanto esclusivamente attinente al settore agroenergetico, i modelli di analisi indicano una diminuzione di produttività del girasole nella macroregione 1 e una potenziale riduzione della produttività per colture da energia (colza, Brassica carinata, cartamo e cardo) nella macroregione 6. Il paragrafo dedicato alle colture energetiche a pagina 168 e la Tabella 1-33 evidenziano la totale mancanza di conoscenza del settore bioenergetico italiano da parte dei funzionari ministeriali: che importanza può avere per l'industria italiana del biodiesel (2.000.000 tonnellate/anno secondo Assocostieri) una perdita di produttività di Brassica carinata, cartamo o cardo, o perfino dei più comuni colza e girasole? Specialmente se consideriamo che l'Ente Nazionale Idrocarburi (Eni), il primo produttore, importa la quasi totalità delle materie prime vergini e recupera oli di scarto. Che incidenza può avere la perdita di produttività del salice, del miscanto o della canna comune sul consumo nazionale di biomasse solide, che utilizza prevalentemente biomasse derivate da attività forestali, di cui una grossa fetta è pellet e legname d'importazione? Per quale motivo la sezione "colture arboree" non menziona nemmeno il pioppo, il faggio o l'abete - una delle specie più danneggiate dal cambiamento climatico a causa della proliferazione del bostrico - e si limita a ulivo e vite?
Sono prive di scopo le ovvietà sulle bioenergie incluse a pagina 182, che citiamo testualmente affinché il lettore possa valutare quanto siano fondate le nostre critiche: "Il comparto agricolo può contribuire inoltre, attraverso coltivazioni dedicate (biomasse di prima generazione) o l'utilizzo di residui colturali o deiezioni zootecniche (biomasse di seconda e terza generazione), insieme a quello forestale, alla produzione di biomasse e biocombustibili per energia. È opportuno incentivare l'utilizzo di biomasse di seconda e terza generazione rispetto a quelle di prima generazione, al fine di ottimizzare la produzione agricola e il relativo utilizzo degli input e delle risorse, per un duplice scopo (alimentare ed energetico), riducendo al contempo il rischio connesso con il cambio di destinazione produttiva che comporterebbe la diminuzione delle superfici utilizzabili per la produzione alimentare. Le attività agricole, e in particolare quelle intensive, richiedono l'utilizzo di input energetici (es. per irrigazione, lavorazioni etc.), che potrebbero essere peraltro accentuati nel tentativo di adattamento ai cambiamenti climatici in atto e futuri (es. maggiore necessità di irrigazioni per poter mantenere le produzioni). L'efficienza energetica e l'utilizzo di fonti rinnovabili possono risultare fondamentali per il comparto agricolo sia nel favorire l'applicazione di azioni di adattamento con minor dispendio energetico sia in un'ottica di mitigazione del cambiamento climatico".
Sorvoliamo il fatto che non esistono "biomasse di seconda e terza generazione", perché ciò che definisce la normativa europea sono i requisiti che devono avere i biocarburanti per poter essere considerati come "di seconda e terza generazione" - e quindi ricevere incentivi statali - e fornisce la lista delle biomasse e le loro relative emissioni associate, da utilizzare nella stesura dei piani di incentivazione. Ad ogni modo, come prevede il Pnacc di incentivare l'utilizzo delle biomasse o migliorare l'efficienza degli impianti irrigui e delle lavorazioni? Che incentivi saranno previsti e a chi tocca erogarli ed eseguire i necessari controlli? Con quali criteri si individueranno le tecnologie che possono beneficiare di tali futuri incentivi?
L'allegato IV contiene in totale ben 64 misure e misure integrative applicabili all'agricoltura, che non possiamo citare per ovvi motivi di spazio. Si tratta perlopiù di buoni propositi generici del tipo "Migliorare l'educazione e la formazione per gestire le risorse del settore agricolo". Altri sono lapalissiani e perfino viziati ideologicamente, come ad esempio quello di "Introdurre sistemi di raffreddamento più efficienti per gli impianti di biomassa".
Le centrali a biomassa sono sempre o in assetto cogenerativo o 100% dedicate alla produzione di energia termica per teleriscaldamento. Non utilizzano acqua di fiume o di pozzo per raffreddare il condensatore, come succede talvolta con le centrali a gas e carbone, esistenti in maggior numero e con potenze maggiori di diversi ordini di grandezza rispetto alle centrali a biomassa. Per quale motivo l'azione è stata proposta per le centrali a biomassa e non per quelle a carbone o gas naturale? Infine, l'elenco non include misure per contrastare il cambiamento climatico che tengano conto dell'uso agricolo di biocarburanti avanzati quali il biometano, o lo sviluppo di mulini a vento di nuova concezione per pompaggio d'acqua, o linee guida per la costruzione di impianti agroenergetici per puro autoconsumo.