Le criticità e le prospettive della risicoltura al centro della 45esima Fiera In Campo. Il principale evento europeo dedicato al riso ha attirato al Centro Fiere di Caresanablot (Vc), dal 23 al 25 febbraio scorsi, più di 20mila visitatori.

 

Dalla problematica siccità che ogni anno preoccupa, alla clausola di salvaguardia, non più operativa rispetto ai Paesi dell'Estremo Oriente come Cambogia e Myanmar, dalle richieste stringenti di Bruxelles in tema ambientale, al diminuire delle molecole a disposizione, dalla nuova Politica Agricola Comune (Pac) entrata in vigore fino all'aumento dei costi di produzione, con i prezzi del risone che non aumentano di pari passo.

Di questi argomenti si è parlato durante il classico appuntamento con il convegno d'apertura di Fiera in Campo. L'evento, come sempre, è stato organizzato dalla Sezione Vercelli-Biella di Anga, i Giovani di Confagricoltura.

 

È stato approfondito in particolare il tema dell'aumento dei costi di produzione. A questo proposito l'Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Forestali di Vercelli e Biella ha presentato uno studio aggiornato sui costi dell'azienda risicola (scaricabile integralmente in questa pagina). L'ultima edizione era stata realizzata nel 2021, ma in soli due anni il mondo è cambiato. Fra i fattori che hanno contribuito ad aumentare l'incertezza per le aziende agricole ci sono stati le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, l'inflazione con l'aumento di costi per l'energia, i macchinari e i fattori produttivi come i fertilizzanti. C'è da considerare poi che il contributo a ettaro per la risicoltura da parte della Pac è sceso con la nuova programmazione e ora si aggira attorno ai 690 euro/ettaro. Anche per l'aumento dell'incertezza e per la necessità di provare ad ottenere economie di scala, la dimensione media dell'azienda risicola è cresciuta negli anni e ora è di 60 ettari, nel 2012 era di 53 ettari. Parallelamente sono diminuite le aziende risicole, secondo i dati sono 3.557 (dato 2022).

 

Per lo studio l'Associazione ha preso in considerazione aziende che sono accorpate, che coltivano solo riso in monocoltura, che hanno terreni in affitto (sono stati considerati 750 euro/ettaro) e che si riforniscono d'acqua tramite consorzio. Le dimensioni considerate sono state 60 ettari, con lavori in proprio o lavori conto terzi, 150 ettari e 300 ettari. Le aziende risicole fra i 60 e i 150 ettari, secondo gli ultimi dati, in Italia sono 1.081 e conducono circa il 45% delle superfici. Quelle fra i 150 e i 300 ettari sono 226 e coprono il 20,5% della superficie risicola. Sopra i 300 ettari ci sono solo 39 aziende, lo 0,01%, ma valgono il 7,36% in termini di superfici.

 

I costi da sostenere sono moltissimi: si va dal parco macchine, con le manutenzioni, agli affitti, ai costi per gli input (sementi, fitofarmaci, fertilizzanti, acqua), alle assicurazioni, alla manodopera e così via. L'analisi ha mostrato anche gli aumenti dei costi che ci sono stati rispetto al 2021, una valanga di aumenti. Solo per citarne alcuni: +25% per le sementi, +31% per i fertilizzanti, +21% per l'irrigazione, +83% per i combustibili, +25% per la conservazione. Da notare anche la crescita dei costi da sostenere per interessi passivi, +133%, e il taglio del 20% dei contributi Pac. Il totale dei costi da sostenere a ettaro va da un minimo di 3.169 per l'azienda da 300 ettari in su, a 3.798 per l'azienda da 60 ettari senza lavorazione in conto terzi.

 

Considerando 6,58 tonnellate/ettaro di resa media in risone, è stato calcolato, per ogni dimensione aziendale, il prezzo di equilibrio, ovvero il prezzo del risone a tonnellata necessario a coprire i costi di produzione. Per le quattro tipologie di aziende il prezzo necessario calcolato è di 577, 566, 545 e 500 rispettivamente per le aziende da 60 ettari (con e senza lavorazioni in conto terzi), da 150 ettari e da 300 ettari. Il prezzo medio a fine gennaio 2023 era di 500 euro/tonnellata.

 

Purtroppo le conclusioni sono amare: con il prezzo del risone a 500 euro/tonnellata, solo le aziende da 300 ettari in su riescono a coprire i costi. Difficile fare fronte alla concorrenza del prodotto che arriva dall'Estremo Oriente. "I costi sono aumentati in maniera veramente notevole - ha detto Giuseppe Sarasso, agronomo, presentando i dati del rapporto - abbiamo calcolato il costo di produzione di 1 tonnellata di risone, è aumentato nel complesso del 22-23%. Il costo degli investimenti in macchinari è aumentato di molto, va tenuto conto del peso notevole dei tassi di interesse. Il prezzo del risone avrebbe dovuto aumentare in proporzione".

 

Nel corso del convegno è stato approfondito il tema dell'aumento dei costi di produzione

 

Occhi sul carbon farming

Con una situazione del genere è ovvio che qualsiasi possibilità di aggiungere introiti alle aziende, è una possibilità che va presa in considerazione. Anche per questo, particolare attenzione durante il convegno è stata dedicata alla prospettiva del carbon farming, pratica che, in futuro, potrebbe garantire all'agricoltore una nuova fonte d'incasso, piccola o grande che sia.

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"Il tema è di grande interesse potenziale - ha detto il professore Gabriele Canali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza - perché carbon farming vuol dire anidride carbonica nel suolo ed è una cosa assolutamente possibile con tecniche agronomiche appropriate. Fra l'altro questo genera delle ricadute positive anche sulla fertilità. Bisogna però tenere presente che adottare tecniche per il carbon farming comporta dei costi. Richiede degli aggiustamenti nelle modalità di gestione delle aziende agricole, se parliamo di agricoltura conservativa. Passare a un sistema con minima lavorazione o non lavorazione comporta dei costi di aggiustamento e può comportare delle ricadute negative se si guarda al breve periodo. Stiamo parlando del periodo di transizione tra il sistema colturale tradizionale e il sistema colturale innovativo. Il potenziale di stoccaggio sicuramente c'è. Resta però aperto il tema legato al fatto della valorizzazione di questo contributo che l'agricoltore fornisce allo stoccaggio del carbonio. Oggi si tende a far riferimento al sistema dei titoli, diciamo così, volontario di riduzione dell'anidride carbonica. I valori però sono molto più bassi rispetto al mercato Ets e quindi al mercato dei titoli di emissione per le grandi aziende, il sistema obbligatorio".

 

Come muoversi dunque in futuro perché il valore dei titoli scambiati sul mercato volontario e quindi le remunerazioni per lo stoccaggio di carbonio ottenuto grazie all'agricoltura, cresca? Il problema, secondo il professore Canali, è quello di poter misurare gli effettivi stoccaggi, grazie a tecniche agronomiche messe in pratica. "Dal mio punto di vista - ci ha raccontato - sarebbe particolarmente importante adottare un approccio che consenta, in fase sperimentale, di accumulare informazioni puntuali. Sarebbe infatti importante poter avere una base documentale appropriata".

 

Il ragionamento riguarda la necessità di misurare con certezza le quantità di carbonio stoccate e di conseguenza i titoli generati. "A queste condizioni - ha concluso il professore - non si vede perché i titoli di carbonio generati in ambito agricolo debbano essere su un mercato diverso rispetto ai titoli obbligatori, sono oggettivi e quindi dovranno essere trattati sullo stesso mercato con un prezzo per l'agricoltore più interessante".

 

La prospettiva del carbon farming