"Ho conosciuto il professore Giorgio Bargioni, lavorava sul ciliegio da trenta anni quando io ero un ragazzino. Aveva individuato un carattere che permetteva la raccolta delle ciliegie senza peduncolo, riducendo i costi di produzione e mantenendo la qualità intatta. Il consumatore però non era pronto. Raccogliere e lavorare senza peduncolo porterebbe a vantaggi enormi. Se io avessi quaranta anni di meno, lavorerei su questo".

 

Sono parole del professore Stefano Lugli dell'Università di Modena e Reggio Emilia, uno dei massimi esperti di miglioramento genetico del ciliegio, costitutore fra l'altro delle varietà della serie Sweet. Non che Lugli sia anziano, ma le sue parole fanno riflettere: per ottenere una nuova varietà, non solo di ciliegio, servono spesso decenni di ricerca, di conseguenza chi coltiva per esempio ciliegie coperte da brevetti nazionali o privative comunitarie nell'illegalità ruba anni e anni di lavoro del team di ricercatori che vi si è dedicato.

 

Il tema della pirateria varietale è stato al centro di un affollatissimo evento all'ultima edizione di Macfrut, dal titolo: "Promuovere le varietà in frutticoltura, tra attese messianiche e pirateria: un approccio realistico". Quale il danno provocato dunque dalle coltivazioni abusive? Si è sempre stimato fosse di 20 milioni di euro all'anno, solo per l'Italia. Durante il convegno la cifra già notevole, è stata triplicata: i famosi 20 milioni di euro sarebbero infatti relativi alle sole drupacee. Al di là però delle cifre, non si tratta solo di quantificare il denaro investito e le royalty non incassate, il punto è che il mancato incasso impedisce ulteriore ricerca e di conseguenza impedisce agli stessi agricoltori di disporre in futuro di varietà più performanti.

 

La problematica della contraffazione riguarda vivaisti senza contratto di licenza, frutticoltori che innestano piante senza riconoscere la royalty al costitutore ma potenzialmente anche l'intera catena commerciale che potrebbe essere indagata per avere immesso sul mercato prodotti da un frutteto illegale. "La sensibilità sta aumentando fra i marketplace, Amazon sta per implementare regole e lo standard Global Gap ci sta lavorando. La pirateria riguarda soprattutto pomacee, drupacee e uva da tavola senza semi", ha detto l'avvocato Vincenzo Acquafredda, socio dello Studio Trevisan & Cuonzo che da trenta anni si occupa di lotta alla contraffazione.

Lo studio sta lavorando fra gli altri per la California Table Grape Commission, mandatari, gestori di varietà dell'Usda. "Stiamo rilevando - ha testimoniato l'avvocato - una serie di fenomeni contraffattivi gravi che stiamo regolarizzando".

 

Che qualcosa si stia muovendo lo ha testimoniato anche Stefano Barbieri di Sicasov, Cooperativa che rappresenta 380 costitutori nel mondo e che opera in 38 Paesi con lo scopo proprio di difendere la proprietà intellettuale. "In dieci anni di esperienza in Italia abbiamo operato utilizzando il sistema dei giudizi cautelari e dei giudizi di merito. Stiamo lavorando con il Crea di Roma, sempre su mandato dei costitutori, per craere un database delle varietà più diffuse in Italia e un database degli agriocoltori che hanno regolarmente acquistato piante. Entro il 2023 contiamo di rilasciare, a tutti coloro che hanno pagato le royalty, un attestato per il numero di piante acquistate. Ovviamente un certo numero di piante corrisponde a un certo quantitativo di prodotto".

 

Produrre senza essere in regola con il pagamento dei diritti, potrebbe quindi presto diventare molto più complicato. "Dopo mesi in giro per l'Italia, parlando con le Op per fare in modo che gli agricoltori non in regola, regolarizzino, abbiamo capito una cosa - ha detto ancora Stefano Barbieri - bisogna mettere l'agricoltore nelle condizioni di vendere la frutta solo quando è nella legalità. In aiuto dal 2024 ci verrà la certificazione Global Gap che va sempre più diffondendosi. Con la versione 6.0 l'evasione della proprietà intellettuale sarà una non conformità maggiore. Chi vorrà fornire frutta alla Gdo dovrà avere questo tipo di certificazione. Ad oggi noi stiamo lavorando con le società di certificazione, stiamo preparando i loro controllori".

 

Poi la proposta: "bisogna arrivare a un gruppo di lavoro con all'interno rappresentati i costutori, i vivaisti, le Op, i commercianti, le associazioni degli agricoltori, le società di auditing che fanno i controlli e soprattutto la Gdo, dobbiamo creare il dialogo per definire assieme come controllare in modo efficace, l'obiettivo è fare in modo che l'agricoltura sia competitiva. Io dico agli agriocoltori, siate azionisti del vostro futuro. La royalty non è una tassa, è un investimento".

 

Si torna quindi alla necessità di finanziare la ricerca di nuove varietà, in grado di rispondere alle sfide sempre più ardue che l'agricoltore deve affrontare. Il miglioramento genetico richiede però molto tempo, ma i tempi possono essere tagliati enormemente con le nuove tecnologie, le Tecnologie di Evoluzione Assistita (Tea), anche conosciute con l'acronimo Nbt.

 

Anche delle Tea si è parlato durante un altro evento all'interno del "Salone internazionale del vivaismo e dell'innovazione varietale" di Macfrut 2023. Grazie alle Tea e al progetto Biotech, finanziato con 6 milioni di euro nel 2018 dal Ministero delle Politiche Agricole, il Crea ha pronte in laboratorio diverse interessanti novità che però andrebbero testate in campo. I ricercatori hanno lavorato su vite, olivo, albicocco, pesco, ciliegio, melo, pero, pomodoro, melanzana, basilico, carciofo, frumento, riso e pioppo.

 

Riccardo Velasco, direttore del Crea Viticoltura ed Enologia, ha detto durante l'evento: "Abbiamo lavorato con queste tecniche in laboratorio su Chardonnay per la resistenza alla peronospora e per la mancata suscettibilità all'oidio e poi abbiamo portinnesti resistenti allo stress idrico. Abbiamo poi usato il genome editing sul gene che porta alla produzione del seme, spegnendo questo gene. Lo abbiamo fatto su uva da tavola Vittoria, per sapere però se veramente le piante daranno uva apirena bisogna attendere minimo tre anni ed è necessario andare in campo. Serve per dimostrare che abbiamo spento il gene giusto".

 

Andare in campo è molto importante per dimostrare che quanto predetto in laboratorio poi si verifa in ambiente naturale

 

Per poter testare in campo il nuovo materiale, in condizione controllata, occorre però un ok dal Parlamento. Ci sono diversi disegni di legge al momento depositati. "La 18/2001, Direttiva europea che riguarda gli Ogm, che al momento si applica anche a queste nuove tecnologie, prevede già di poter testare in campo, lasciando alle regioni la scelta dei siti e dellle modalità. Di fatto noi ricercatori - ha detto Velasco - abbiamo biosogno di applicare quanto già previsto. Andare in campo è fondamentale per dimostrare che ciò che abbiamo predetto in labotorio si verifica poi realmente in ambiente naturale".

 

La normativa europea inserisce le Tea all'interno della regolamentazione Ogm ma le Tea sono nate undici anni dopo la direttiva di riferimento. Negli ultimi tempi, viste anche le condizioni estremamente sfidanti che gli agricoltori si trovano ad affrontare dal punto di vista meteo e dal punto di vista di attacco di nuovi patogeni, i sostenitori di una regolamentazione a parte per le Tea sono aumentati.

 

Così Riccardo Velasco ha spiegato la differenza fra le diverse tecniche: "Le Tea utilizzano informazioni genetiche per poter ottenere, lavorando sul genoma della specie in esame, mutazioni che consentano di avere un vantaggio agronomico. La proteina Crispr/Cas9 consente di fare genome editing, con questa proteina si fanno piccoli cambiamenti, per esempio spegnendo un gene, se questo era dannoso per la pianta. Con la cisgenesi si ottengono piante che ricevono un gene da un'altra pianta, ma della stessa specie, quindi gene di vite in vite, gene di melo in melo e così via. Il gene in effetti, potenzialmente, potrebbe anche arrivare tramite polline. Gli Ogm sono invece piante che ottengono del Dna esterno, esogeno, non appartenente alla stessa specie".

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