Paradossalmente, potrebbe essere più a rischio la sicurezza alimentare globale nell'anno di scarsa grazia 2023 che non nel 2022, nel primo anno di guerra in Ucraina. A poco più di dodici mesi dalla sciagurata e maledetta invasione russa dell'Ucraina, vediamo che cosa è accaduto, partendo dalle nuove rotte globali dell'export.
Nei primi sei mesi di guerra, fra il 24 febbraio 2022 - abbrìvio della guerra che nei piani di Vladimir Putin avrebbe dovuto durare solamente pochi giorni - e la seconda metà di luglio, il commercio di cereali attraverso il Mar Nero è stato bloccato. Il 22 luglio 2022, grazie all'intervento delle Nazioni Unite, è stato raggiunto l'accordo per attivare il corridoio alimentare della Black Sea Grain Initiative e acconsentire alla partenza di navi mercantili cariche di cereali dai porti dell'Ucraina.
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Le preoccupazioni erano, prevalentemente, di due ordini. Una prima legata all'approvvigionamento dei Paesi più deboli sul piano dell'approvvigionamento alimentare, tenuto conto che Ucraina e Russia rappresentavano il 31% del commercio mondiale di grano, il 30% del commercio mondiale di orzo e il 29% del commercio di olio di girasole. Diversi Paesi dell'Africa, in particolare, erano esposti al rischio di non poter contare su materie prime insostituibili nella dieta alimentare.
La stessa Cina - primo importatore mondiale di derrate agricole - aveva stabili rapporti commerciali con l'Ucraina, che rappresentava uno dei serbatoi di approvvigionamento di grano e mais, per quanto la situazione dell'ex Celeste Impero non raccontasse una esposizione tale da mettere a repentaglio la disponibilità di alimenti come nel caso del continente africano.
L'altra questione innescata con l'invasione russa dell'Ucraina era, altrettanto preoccupante, la corsa dei prezzi delle materie prime agricole, dell'energia e dei fertilizzanti. Impennate per alcuni versi improvvise - come nel caso del gas, dell'elettricità - mentre per altre, dai cereali ai semi oleosi, fino ai fertilizzanti, le avvisaglie della crescita c'erano già state almeno nei sei mesi precedenti, con la voracità di importazione della Cina fra le cause, almeno se ci riferiamo a mais, frumento, soia.
Dopo un anno dall'avvio del conflitto, possiamo notare che nuove rotte del commercio globale si sono venute a creare. Emblematico è il caso dell'Egitto, che con un consumo annuale di quasi 20 milioni di tonnellate è il primo importatore di grano al mondo. Secondo i dati diffusi da Reuters e rilanciati dall'Agenzia svizzera Ecofin, "nel 2022 l'Ucraina ha perso il posto di secondo esportatore di grano in Egitto a favore della Romania", collocando poco più di 845mila tonnellate di grano e scendendo così dal rappresentare il 21% dell'import egiziano di frumento del 2021 al 9% nel 2022, complice anche un rallentamento degli acquisti de Il Cairo, per effetto dei prezzi di mercato saliti vertiginosamente nel corso del 2022.
A guadagnare terreno è stata la Romania, che lo scorso anno ha inviato in Egitto "1,3 milioni di tonnellate di grano, pari al 13,6% degli acquisti totali del Paese africano". Anche la Russia, che ha diminuito le vendite di grano in Egitto a 5 milioni di tonnellate (-6,7% in quantità), per effetto della contrazione degli acquisti in termini assoluti si è confermata il primo fornitore con una quota di mercato del 57%.
Inoltre, la Russia "si è recentemente aggiudicata una gara per la consegna all'Egitto di 40mila tonnellate di grano", puntando sul fattore prezzo, secondo quanto affermato da Ali Moselhy, ministro degli Approvvigionamenti.
A livello mondiale, con il rallentamento inevitabile dei flussi dall'Ucraina, costretta in parte ad aprire vie di trasporto su rotaia attraverso la Romania e la Polonia, non senza difficoltà logistiche, Argentina, Australia e Canada ne hanno approfittato incrementando le loro esportazioni di grano. Lo ha ricordato nei giorni scorsi Julien Marcilly, chief Economist della Global Sovereign Advisory (Gsa).
"Tra il 2021 e il 2022 - secondo lo studio del Gsa - le esportazioni di cereali dall'Argentina sono aumentate del 53%, con un forte aumento nei mesi successivi allo scoppio del conflitto. Una delle aree che ne ha beneficiato è stata l'Africa. Nei primi sei mesi del 2022, Buenos Aires ha spedito nel continente africano il triplo dei cereali esportati nel corso del primo semestre dell'anno precedente. L'Africa ha rappresentato così il 46% delle esportazioni argentine, rispetto al 31% dell'anno precedente".
Asse verso Nord scontato per l'Australia, le cui esportazioni di cereali "si sono orientate principalmente verso l'Asia, in particolare la Cina, nonostante le recenti tensioni commerciali tra i due Paesi". Ma il pragmatismo cinese, pronto ad appiattire qualsiasi asperità diplomatica quando si tratta di sovranità alimentare, è noto. A livello numerico, ha specificato Julien Marcilly, "le esportazioni di grano di Canberra, in forte crescita da diversi anni, sono aumentate del 36% tra il 2021 e il 2022 e l'Australia potrebbe esportare 28,5 milioni di tonnellate di grano nel 2022-2023 contro i 26 milioni nel 2021-2022".
Anche la Francia ha tratto benefici, riconquistando terreno nel Maghreb e nel Medio Oriente, erodendo terreno alla Russia. Benché le produzioni russe, beneficiando dei cambiamenti climatici che hanno reso più favorevoli le condizioni per la coltivazione dei cereali, siano aumentate nel 2022 (+22,4%, con volumi pari a 92 milioni di tonnellate), le esportazioni sono state "ostacolate dal punto di vista finanziario e logistico dalle sanzioni occidentali, mentre il divieto temporaneo di esportazioni di fertilizzanti e cereali deciso dal Paese nel marzo 2022 ha ulteriormente rafforzato la destabilizzazione dei mercati". Ciononostante, i numeri - seppure stimati - proiettano l'export di grano russo oltre i 43 milioni di tonnellate, con un boom vicino al 32% e un consolidamento della posizione in Africa, strategica per Mosca anche, o soprattutto, a fini politici.
Cosa attendersi? L'Australia, secondo gli analisti, dovrebbe continuare a svolgere un ruolo significativo sul mercato, mentre il fattore climatico potrebbe rallentare l'exploit messo a segno nei mesi scorsi dall'Argentina.
Poi c'è il Brasile, sempre più al centro dei commerci mondiali, al punto che la domanda che si pone il Global Grain Shuffle è la seguente: la fine del predominio delle esportazioni di cereali negli Stati Uniti è vicina? "La tendenza potrebbe infatti essere una riduzione delle esportazioni di grano dagli Stati Uniti a causa di un raccolto record in Brasile", con la Cina sempre al primo posto fra gli importatori di soia e con altre realtà che potrebbero aumentare la domanda, dall'India all'Indonesia e al Sud Est Asiatico, dove la domanda di proteine nobili potrebbe dare un forte impulso all'allevamento, trascinando quindi la richiesta di alimenti per il mangime degli animali.
I dati del Dipartimento Agricoltura degli Stati Uniti (Usda) prevedono che nella campagna in corso (2022-2023), il raccolto dei cereali in Usa - per effetto della siccità che sta colpendo la parte centrale del Paese - non raggiunga i 349 milioni di tonnellate, il livello più basso degli ultimi quattro anni, mentre l'export dovrebbe arretrare a 51 milioni di tonnellate.
Al contrario, in Brasile si registrano condizioni climatiche favorevoli, che - unite all'aumento delle superfici coltivate e alle rese in crescita - dovrebbero portare la produzione cerealicola su valori record di 125 milioni di tonnellate, permettendo al Paese sudamericano di toccare un export record di 48,5 milioni di tonnellate. E così, dicono gli analisti, "sebbene il livello stimato rimanga per ora inferiore alle previsioni americane, diversi analisti ritengono che il Brasile potrebbe raggiungere gli Stati Uniti entro la fine della stagione, il prossimo settembre".
L'India non assicura certezze, almeno sul breve periodo. Gli studi indicano una crescita della produzione cerealicola dell'India nel prossimo decennio, ma non è possibile definire ad oggi una progressione lineare, a causa di fenomeni climatici estremi e di politiche protezionistiche che potrebbero innestarsi anche in futuro, a tutela della sicurezza alimentare di quello che è diventato da pochi mesi il Paese più popolato al mondo. Le previsioni dell'Usda riportate da Teseo.Clal.it, indicano un calo delle produzioni a 103 milioni di tonnellate (terzo player mondiale dopo Cina e Ue-27), con una flessione del 6%, e una brusca frenata delle esportazioni (-26,6%), per effetto dei divieti all'export definiti dal Governo di Modi lo scorso maggio.
In un simile contesto si inserisce la situazione incerta dell'Ucraina. Secondo Dan Basse di AgResource Company, "vedremo probabilmente una produzione di mais e girasole dal 40% al 50% inferiore al normale e il raccolto di mais sarà probabilmente nell'ordine di 18 o 20 milioni di tonnellate".
L'Usda stima che le aree di conflitto dell'Ucraina rappresentino il 46% della produzione agricola complessiva e che in quell'area siano stati seminati circa 6,84 milioni di ettari di cereali invernali rispetto ai 10,3 milioni del 2021. Soia e girasoli sembrano essere preferiti al grano e al mais, perché non richiedono molto fertilizzante.
Secondo quanto affermato pochi giorni fa dal commissario europeo all'Agricoltura, Janusz Wojciechowski, "prima dell'invasione russa la produzione di cereali e semi oleosi si attestava attorno a 100 milioni di tonnellate, mentre ora i raccolti si sono dimezzati".
Una delle missioni è ora consolidare il corridoio del grano attraverso il Mar Nero, giudicato strategico per gli agricoltori ucraini, per quanto i volumi esportati nel 2022 siano stati inferiori alle quantità pre invasione.
"L'iniziativa - spiegano dalle Nazioni Unite - va prorogata in modo automatico alla scadenza fissata del 18 marzo", anche se la situazione non sembra così agevole, in quanto la Federazione Russa, per garantire la rotta marittima dai porti dell'Ucraina, chiede come contropartita una maggiore flessibilità per l'export di fertilizzanti, colpiti dalle sanzioni occidentali.
E se le rotte commerciali del grano sono lontane dall'essersi stabilizzate, l'approvvigionamento mondiale di grano non è ancora completamente assicurato e molti Paesi dell'Africa, del Maghreb e del Medio Oriente non possono dirsi tranquilli sul versante dell'approvvigionamento.
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