Il valore della sostenibilità è sempre più importante per i consumatori, che alle aziende chiedono rispetto dell'ambiente, ma anche dei lavoratori e del territorio in cui operano. Per questo motivo molte imprese negli ultimi anni hanno rafforzato i propri sforzi per essere più sostenibili. Talvolta, tuttavia, tale impegno è solo di facciata o è sovrastimato nella comunicazione con il pubblico. In questi casi si può parlare di greenwashing (traducibile in "lavaggio verde"), un termine nel quale ci imbattiamo sempre più spesso.

 

I settori in cui si concentrano le aziende fintamente green sono quelli più inquinanti, come ad esempio il settore petrolifero o quello dei trasporti. Ma anche il comparto agroalimentare è oggetto di questo fenomeno. Nel settore food il vino è certamente all'avanguardia nel campo della sostenibilità, ma non è esente da scivoloni.

 

I consumatori vogliono più sostenibilità (a torto o a ragione)

Il fenomeno del greenwashing nasce come il tentativo delle aziende di accontentare i consumatori senza cambiare i prodotti o il modo di operare. Ma cosa intendono le persone con sostenibilità? Il 50% della popolazione italiana, ad esempio, pensa che la plastica sia un problema molto serio, il 46% lo ritiene un problema, mentre solo il 3% pensa che non lo sia (dati Ipsos 2019).

 

Il termine "plastica" d'altronde è uno dei più associati, nelle campagne di marketing, al tema della sostenibilità, insieme ad "ambiente", "riciclo" e "Pianeta". Secondo EG Media nel 2019 le marche che hanno affrontato i temi di sostenibilità ambientale sono cresciute del 33% anno su anno. E il trend è crescente.

 

Sempre secondo Ipsos il 68% degli intervistati sarebbe disposto a pagare di più per un prodotto realizzato da una azienda che attua politiche ambientali serie e rigorose. Il 53% è disposto ad acquistare prodotti fatti con materie prime riciclate, mentre il 41% si è detto disposto a non comprare più prodotti con imballaggi non riciclabili.

 

Anche nel mondo dell'agrifood il tema della sostenibilità è centrale. Il consumatore vuole cibi sani e genuini, prodotti nel rispetto dell'ambiente e senza l'uso della "chimica". Una delle preoccupazioni più sentite dai consumatori (anche se si tratta di una percezione errata) riguarda la presenza di residui di fitofarmaci nei cibi (foto sotto).

 

Nonostante i dati scientifici ci dicano che il rischio derivato dalla presenza di residui di agrofarmaci nel cibo sia molto basso, nella percezione del consumatore è in testa alla classifica. Ecco allora che si moltiplicano le pubblicità di prodotti a "residuo zero" oppure di carne "senza antibiotici".

 

La percezione del rischio

La percezione del rischio

(Fonte Foto: Arpa Piemonte)

 

Queste tendenze sono amplificate nel mondo del vino, caratterizzato da un prodotto fortemente identitario, cool, che definisce lo stile di vita di una persona. "Sono ciò che bevo", si potrebbe dire. Un settore dove spesso c'è un legame diretto tra azienda produttrice e consumatore finale.

 

Le cantine sono dunque quelle più innovative sul tema della sostenibilità, avendo i maggiori interessi ad accontentare i clienti e avendo anche, spesso, le risorse per farlo. E così al supermercato si vedono molte etichette in cui vengono rivendicate le virtù del produttore in termini ambientali.

 

Qualche caso di greenwashing

Ma facciamo un passo indietro. Il greenwashing è un fenomeno abbastanza recente, che coinvolge i settori che tradizionalmente sono più inquinanti. In Italia una importante Compagnia petrolifera è stata multata nel 2021 dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) per alcuni claim green che riguardavano un combustibile presentato come "sostenibile", in grado addirittura di abbattere le emissioni di anidride carbonica del 40%. Qualità che poi è emerso non essere veritiera.

 

Anche una famosa marca di bevande gassate è finita sul banco degli imputati, questa volta negli Usa. L'Azienda infatti affermava che le sue bottiglie di plastica erano 100% riciclabili quando invece non era vero. Anche un noto brand di vestiti svedese è finito sotto accusa per quanto riguarda i suoi claim green riguardanti una linea di abbigliamento prodotto con almeno il 50% di materiali riciclati o organici. Una campagna non sanzionata, ma giudicata troppo vaga.

 

Il greenwashing arriva anche al mondo dell'arredamento. In questo caso un marchio svedese è stato accusato da un'Associazione ambientalista di adottare claim green e al contempo di usare legname tagliato in maniera illegale in Russia e Ucraina. E una Compagnia aerea europea che millantava di essere ad impatto zero è stata chiamata in causa per le sue politiche di compensazione delle emissioni.

 

Greenwashing e percezione della sostenibilità nel consumatore di vino

"Oggi per i consumatori di vino due valori molto importanti sono la naturalità e la sostenibilità", spiega Vincenzo Russo, docente di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing alla Iulm e direttore del Centro di Ricerca Behavior and Brain Lab. Proprio il professor Russo ha studiato la risposta emotiva dei consumatori che interagiscono con il prodotto vino utilizzando metodologie scientifiche, come l'encefalogramma.

"Nonostante tra i consumatori ci sia tanta voglia di sostenibilità, bisogna sottolineare come ci sia ancora molta confusione su che cosa voglia dire e 

alcuni si lasciano ingannare da claim e finte certificazioni". Insomma, anche nel campo enoico il rischio di greenwashing è dietro l'angolo.

 

"Le nuove generazioni ricercano in una bottiglia di vino i valori dell'autenticità, della storia e del legame con la natura. E per ottenere appagamento sono disposti anche a spendere di più".

 

Le analisi svolte da Russo svelano anche qualche contraddizione tra la parte emotiva e razionale del consumatore. Ad esempio, per quanto riguarda le bottiglie. Se da un lato il consumatore dichiara di preferire le bottiglie leggere, che utilizzano meno vetro e sono quindi più sostenibili, dall'altro quando prende in mano una bottiglia pesante prova emozioni maggiormente positive.

 

"Emozioni positive che sono legate ad altri aspetti del packaging, come un tappo in sughero rispetto ad uno di plastica o una etichetta fatta con carta riciclata", sottolinea Russo. "Bisogna però sottolineare come il tema della sostenibilità sia talvolta qualcosa di astratto, una valore da ricercare, ma che il consumatore non riesce a quantificare".

 

La sostenibilità nel settore del vino

Ma che cosa significa fare sostenibilità nel settore del vino? Approcciarsi a questo tema non è affatto semplice in quanto il vino è di fatto una filiera, che parte dal campo fino ad arrivare sulla tavola del consumatore. E ogni anello di questa catena del valore deve essere sostenibile sotto diversi punti di vista.

 

La sostenibilità deve riguardare la parte di campo e in questo frangente un punto importante è la gestione del suolo, ma anche la promozione della biodiversità, un uso consapevole degli agrofarmaci e l'impiego oculato dell'acqua. Ci sono poi le emissioni legate all'impiego di combustibili fossili, come ad esempio il gasolio per i trattori. In cantina deve essere prestata attenzione all'uso dell'acqua, al consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili, all'adozione di bottiglie "leggere" e di un packaging riciclabile. Senza contare i veicoli per il trasporto delle merci.

 

I fronti su cui occorre essere sostenibili sono moltissimi e per essere credibili ed efficaci la strada migliore è quella delle certificazioni. Abbiamo dedicato un articolo a Viva ed Equalitas, le principali due certificazioni che i produttori di vino possono adottare per avere una guida sicura in questo frangente.

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Viva la sostenibilità del vino

Viva la sostenibilità del vino

(Fonte foto: Ministero della Transizione Ecologica)

 

La certificazione Viva nasce a seguito di un progetto lanciato nel 2011 dal Ministero dell'Ambiente, con la collaborazione scientifica del Centro di Ricerca Opera (Osservatorio dell'Università Cattolica) e AgroInnova dell'Università di Torino, che aveva come obiettivo quello di valutare la sostenibilità del vino. Dopo anni di lavoro si è arrivati alla definizione di un protocollo che prende in considerazione quattro indicatori: Aria, Acqua, Territorio e Vigneto, definendo delle azioni da compiere per migliorare la sostenibilità dell'azienda.

 

Equalitas invece è un disciplinare volontario che valuta la sostenibilità secondo tre indicatori: l'impresa, il prodotto finale e il territorio. Tali indicatori prendono in considerazione la sostenibilità a livello ambientale, sociale ed economico. Vengono ad esempio valutate le pratiche agronomiche, la tutela dei lavoratori, la correttezza verso i fornitori, la trasparenza e altro ancora.

 

Una bottiglia (di vetro) è per sempre

Un aspetto importante per perseguire la sostenibilità della filiera vitivinicola riguarda il riciclo del vetro delle bottiglie. L'acquisto di questo imballaggio rappresenta una voce di costo importante per le aziende e ha un'impronta ambientale elevata, se si considera l'energia impiegata per la produzione del vetro e la sua movimentazione.

 

Ma sarebbe riduttivo definire la bottiglia di vetro un mero imballaggio. Come sottolineato da Russo, la bottiglia fa parte dell'identità di un vino. Bottiglie "pesanti" comunicano al consumatore l'idea di un vino di pregio, mentre contenitori con il collo allungato trasmettono freschezza. All'opposto, in quelle basse e bombate, ci si aspetta di trovare vini liquorosi.

 

Fortunatamente in Italia la stragrande maggioranza delle bottiglie (oltre il 75%) viene riciclata. Questo significa che tre contenitori su quattro vengono depositati negli appositi cassonetti e dopo essere stati ritirati, lavati e sbriciolati, diventano nuova materia prima per realizzare altre bottiglie.

 

Su questo fronte la Commissione Europea è intervenuta il 30 novembre scorso con una proposta di Regolamento (2022/0396) proprio per diminuire il ricorso agli imballaggi in tutta Europa e per incentivarne il riciclo e il riuso.

 

Una proposta che ha sollevato qualche malumore nel settore enologico. Ad esempio per quanto riguarda il riuso delle bottiglie. L'idea della Commissione Ue è che le bottiglie, una volta svuotate, debbano essere raccolte (ad esempio con il vecchio concetto del vuoto a rendere) per essere lavate e riutilizzate.

 

L'obiettivo è quello di ridurre ulteriormente l'energia consumata durante il processo di riciclo. Ma le aziende del settore lamentano la farraginosità di questa proposta, in quanto sul mercato ci sono bottiglie di differenti fogge e colori. Senza contare che il vino è un prodotto vocato all'export. Insomma, se nel Dopoguerra era usanza comune ridare le bottiglie di vetro al lattaio, che le riempiva in bottega, oggi pensare ad un sistema di vuoto a rendere per il settore del vino è molto difficile. A meno di non uniformare tutti i contenitori a standard predefiniti.

 

Tuttavia, secondo una indagine dell'Associazione Comuni Virtuosi, l'83% degli intervistati sarebbe favorevole alla reintroduzione del deposito cauzionale per le bottiglie di vetro.

 

Altra proposta della Commissione riguarda l'obbligo di minimizzazione degli imballaggi, che dovrebbe spingere le aziende ad abbandonare le pesanti bottiglie tipiche di certi marchi di fascia alta. Come anche gli astucci in cartone o legno che avvolgono alcune bottiglie. Una proposta che per i produttori rischia di minare la libertà d'impresa e di inficiare la riconoscibilità di alcuni brand.

 

La normativa a contrasto del greenwashing

Se esistono in Italia e in Europa delle norme che sanzionano le comunicazioni pubblicitarie false o ingannevoli, nello specifico del greenwashing la Commissione Ue ha presentato una proposta di direttiva (2022/0092) per modificare l'attuale normativa in ambito di pratiche commerciali scorrette e diritti dei consumatori.

 

Anche le Nazioni Unite hanno preso parola su questo tema. Durante l'ultima Cop27 (quella di Sharm el-Sheikh, in Egitto) un gruppo di esperti ha presentato delle raccomandazioni pratiche per aziende e privati al fine di evitare il pericolo del greenwashing.

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Il gruppo di 17 esperti si è concentrato sulle emissioni di gas ad effetto serra, affermando che nessuna azienda si può definire net zero (quindi a "zero emissioni") se usa combustibili fossili o se contribuisce in qualche modo alla deforestazione. Inoltre gli esperti affermano che comprare crediti di carbonio per compensare le emissioni non è una strategia accettabile.

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Come evitare il boomerang del greenwashing

È interessante notare come molte aziende siano davvero intenzionate a perseguire la strada della sostenibilità, ma talvolta lo facciano in maniera disarticolata, senza una strategia definita, e comunicando in maniera opaca o eccessivamente enfatica i risultati raggiunti. Questo può portare al fenomeno del greenwashing e alla perdita di fiducia da parte dei consumatori.

 

Per questo motivo sarebbe utile seguire sei semplici regole per evitare il greenwashing:

  • Identificare chiaramente gli obiettivi di sostenibilità e spiegare al pubblico perché si sono scelti proprio quelli.
  • Stilare una strategia concreta e di lungo periodo per raggiungere tali obiettivi.
  • Stabilire degli indicatori (i Kpi) per misurare in maniera oggettiva il progresso fatto.
  • Adottare una certificazione indipendente per avvalorare gli sforzi fatti.
  • Dialogare con gli stakeholder del settore.
  • Comunicare in modo trasparente e accurato gli obiettivi raggiunti.