Ogni anno nel mondo vengono scambiate oltre 200 milioni di tonnellate di grano, 182 milioni di tonnellate di mais e 169 milioni di tonnellate di soia. Un business miliardario, variabile nei numeri sia per il valore della merce, soggetta a oscillazioni dei listini, sia nelle quantità. Molto dipende, infatti, da elementi indipendenti come le produzioni stagionali, gli stock, i dazi, i vincoli al commercio, misure liberistiche o protezionistiche.

 

Il grano, in particolare, è un prodotto universale, destinato tanto all'alimentazione umana quanto a quella animale, con una valenza strategica probabilmente senza eguali e una valenza simbolica altrettanto significativa. Non a caso, nel Cristianesimo, i simboli della vita chiamati a rappresentare il corpo e il sangue di Cristo sono il pane e il vino.

 

Ed è forse utile partire da questa immagine sacra e dalla spiritualità che emana per rivalutare la valenza salvifica del grano. Senza pane non si costruisce un futuro. Lo abbiamo imparato fin dai tempi degli antichi Romani, con l'autorità preposta che per allisciare il popolo aveva coniato l'espressione "Panem et circenses", pancia piena e divertissement (se perdonate questa liberissima traduzione), per poter governare senza intoppi e senza correre i rischi di rivolte scatenate dalla fame. Leggendaria, e probabilmente falsa, la fulminea e sprezzante risposta di Maria Antonietta all'epoca della Rivoluzione Francese, quando anche allora il popolo chiedeva il pane: "Che mangino brioche".

 

Come nel 2008, all'epoca delle Primavere Arabe, le rivolte furono innescate dalla difficoltà di accesso al pane, a causa della grande siccità, di raccolti scarsi e di prezzi schizzati alle stelle.

 

Il copione rischia di ripetersi. C'è da sperare che i corridoi per il transito del grano dal porto di Odessa possano essere percorsi senza ulteriori rischi, in una fragilissima tregua già calpestata dalle solite bombe russe, mentre l'Africa attende i container per evitare la grande fame trasversale e un nuovo maxi esodo verso l'Europa.

 

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È il tempo delle risposte e delle azioni rapide, perché la guerra in Ucraina e la siccità non stanno certo giocando a favore degli scambi. Il caso indiano e lo stop all'export insegna e anche il blocco dell'Argentina alla farina di soia ha una genesi analoga.

 

Chissà se ancora oggi vale la massima attribuita all'economista francese Frédéric Bastiat "Dove non passano le merci, passano gli eserciti". La guerra in Ucraina ci fa propendere per il sì. E in uno scenario così altamente globalizzato e interdipendente, la questione è grave e pure seria, parafrasando Ennio Flaiano. Quello che sembra certo è che oggi, con una popolazione mondiale in aumento, le mappe termografiche che inondano di rosso l'Europa e vaste aree del Pianeta, oltre a questioni di logistica, trasporti e sicurezza, anche il clima giochi indiscutibilmente la propria parte sui prezzi.

 

Resta innegabile che la stabilità dei mercati, dei prezzi, la fluidità degli scambi sono argomenti che devono essere affrontati con consapevolezza a livello internazionale, magari ridefinendo ove necessario le regole al World Trade Organization (Wto) e pretendendone il rispetto. In un quadro internazionale forse anche la Fao potrebbe giocare un ruolo di pressione per evitare scenari apocalittici di carestia e fame.

 

Anche sulla questione dei trasporti è giunto il momento di affrontare strategie a livello mondiale, con la volontà di cooperare e non di sovrastare, occupare, soggiogare o influenzare. È tempo di affrontare gli scambi internazionali, sia di natura agricola, alimentare e di qualsiasi altra natura, con un piglio diverso, favorendo il libero scambio, la marginalità di tutti gli anelli delle catene di approvvigionamento, ma anche con maggiore etica.

 

Sui meccanismi della speculazione e sulla formazione dei prezzi abbiamo già trattato le dinamiche alla base in questo articolo. È forse giunto il momento di suggerire nuovi modelli in grado di contribuire alla formazione dei prezzi delle commodity agricole - e lo chiediamo anche ai lettori, sempre con regole di ingaggio ispirate alla serietà e al rispetto, per non degenerare nel caos delle urla selvagge -, così da farle uscire il più possibile dall'anonimato, sostenere le filiere locali e le catene di approvvigionamento territoriali (non dimentichiamo l'ambiente), accanto alle tratte intercontinentali, garantire la qualità e l'equità dei prezzi. Non significa con ciò uniformare, ma diversificare, valorizzare, distinguere e dare più forza ai produttori.

 

La prosperità significa pace, la pace guida il benessere e sostiene altri scambi. Non dimentichiamo che insieme alle merci hanno sempre corso le idee, la cultura, i sentimenti. E l'uomo, vogliamo crederlo, è nella sua essenza un animale pacifico.