In principio la Terra era ricoperta da boschi. Nel corso dei secoli l'uomo ha tagliato gli alberi per fare posto ai campi e ha estratto dal sottosuolo petrolio e carbone per alimentare il proprio sviluppo economico. Questo ha garantito all'umanità un benessere generale di cui però oggi stiamo pagando il prezzo.
Compiendo un percorso a ritroso nel tempo alcuni operatori economici stanno cercando di mitigare la propria impronta ambientale piantando alberi per compensare le proprie emissioni di anidride carbonica.
Boschi per essere più sostenibili
Un caso eclatante è quello di Woodside, il primo produttore australiano di gas metano. Un colosso dell'energia che nel corso degli ultimi anni ha acquistato 11mila ettari di terreni agricoli nella Regione del Western Australia e ha iniziato a piantare alberi con l'obiettivo di mitigare la propria impronta ambientale.
Il concetto di partenza è piuttosto semplice. Se estrarre e bruciare gas metano libera anidride carbonica nell'aria, promuovere la crescita di intere foreste permette di riassorbire tale CO2 sequestrandola nei tessuti vegetali degli alberi.
L'operazione, costata diversi milioni di dollari australiani, è solo agli inizi in quanto la società ha come obiettivo quello di diventare carbon neutral entro il 2050. Significa che tutta l'anidride carbonica prodotta da Woodside entro quella data sarà riassorbita dagli alberi.
Dai campi agricoli ai boschi
Per ora le attività di Woodside non impensieriscono troppo gli agricoltori locali. L'Australia è infatti uno Stato di dimensioni smisurate in rapporto alla sua popolazione e il terreno certo non manca, anche perché l'azienda ha acquistato ettari in aree marginali o comunque su terreni non particolarmente vocati all'agricoltura.
Tuttavia se questa tendenza dovesse prendere piede e altre aziende dovessero decidere di perseguire in proprio la neutralità climatica, acquistando terreni agricoli e piantandoci alberi, è probabile che i prezzi dei campi saliranno e che l'agricoltura dovrà fare i conti con un nuovo competitor, il sequestro del carbonio.
Il business dei carbon credit
Ci sarebbe però un'altra soluzione, cioè quella rappresentata dei crediti di carbonio. In estrema sintesi con il termine carbon farming si intende la possibilità per gli agricoltori di adottare pratiche in grado di sequestrare all'interno dei terreni agricoli l'anidride carbonica presente in atmosfera, contribuendo in questo modo a ridurre l'impatto dell'uomo sul clima.
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Per ricompensare gli agricoltori di questo servizio negli Usa (e ora in Europa) è nato il mercato dei carbon credit, certificati che gli agricoltori virtuosi possono vendere alle aziende inquinanti per compensare le proprie emissioni. Nel caso di Woodside l'azienda avrebbe quindi potuto pagare dei grower locali per sequestrare presso i loro campi anidride carbonica, invece di affidare questo compito agli alberi.
Strada in salita per gli agricoltori
D'altronde quello dei carbon credit è un mercato enorme e appena agli albori, dove l'agricoltura gioca ancora un ruolo marginale. Secondo i dati del Berkeley Carbon Trading Project solo l'1% dei crediti di carbonio generati a livello globale è attribuibile al settore primario, mentre quasi il 46% è affidato alle foreste.
Questo per un semplice motivo. Convincere un agricoltore a modificare il proprio modello produttivo abbracciando il carbon farming è un lavoro impegnativo e costoso, mentre acquistare terreno in aree marginali e piantare alberi è un'attività che richiede un basso sforzo e assicura un'alta resa, anche sul lungo periodo.
Tuttavia il rischio concreto è che si perda di vista l'obiettivo prioritario dell'agricoltura e dei terreni agricoli, che è quello di produrre cibo per una popolazione che a livello globale sta crescendo. L'auspicio è che dietro la spinta di istituzioni pubbliche e player privati il settore faccia un passo avanti e adotti tutte quelle pratiche per aumentare il sequestro di carbonio e garantire agli agricoltori una percentuale più alta rispetto all'1% dei carbon credit emessi.