Il Joint research committee (Centro comune di ricerca, con sede ad Ispra), una delle autorità scientifiche che lavora per conto della Commissione europea, ha provato a valutare quanto "pesa" il settore agroalimentare nel bilancio totale delle emissioni di gas climalteranti (Ghg). Quei gas cioè che una volta in atmosfera contribuiscono al surriscaldamento del pianeta.

Nella definizione di questo nuovo database (denominato Edgar-Food) non sono state prese in considerazione solo le attività strettamente agricole, ma tutte quelle connesse, dalla lavorazione del cibo al suo trasporto fino allo smaltimento in discarica di avanzi e packaging.

Il database, che prende in considerazione i dati per il periodo 1990-2015, analizza il settore a livello globale, dove si stima che il comparto agroalimentare pesi per un terzo delle emissioni di Ghg, stilando una classifica dei Paesi che impattano di più nei confronti del clima.

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Dallo studio emergono cinque tendenze interessanti:
  • Un terzo delle emissioni globali di gas serra proviene dal settore agroalimentare. Nei Paesi Ue la quota è variabile, si va da un 25 al 42%.
  • Quasi un terzo delle emissioni proviene direttamente dal consumo di energia (gasolio per i trattori e i camion, metano per la produzione di fertilizzanti, elettricità per le industrie di lavorazione, etc.). Inoltre anche il consumo di energia nelle aziende agricole è in aumento a livello globale.
  • In media, il sistema agroalimentare produce ogni anno 2 tonnellate di anidride carbonica equivalente (è questo un modo per poter equiparare gas differenti) per persona. Significa che ogni persona, alimentandosi, immette indirettamente in atmosfera gas ad effetto serra equivalenti a percorrere in automobile circa 15mila chilometri (considerando una utilitaria media alimentata a benzina che emette 130 grammi di CO2 al chilometro).
  • La metà delle emissioni globali di Ghg è di anidride carbonica, principalmente prodotta dalla gestione dei terreni e dal consumo di energia. Un terzo è metano, proveniente dal comparto zootecnico e dalla risicoltura, ma anche dalla gestione dei rifiuti. Il restante si divide tra protossido di azoto (proveniente ad esempio dai fertilizzanti azotati) e gas fluorurati (in percentuali minori ma con un effetto serra fino a 23mila volte superiore alla CO2).
  • La catena del freddo rappresenta attualmente il 5% delle emissioni globali di gas serra, ma è in rapida crescita e ha ampi margini di aumento, visto che oggi solo una frazione della popolazione mondiale ha un frigorifero in casa o è raggiunta dalla catena del freddo.

I dati raccolti dal Jrc e quelli provenienti da altre fonti sono alla base delle decisioni che l'Unione europea sta prendendo per rendere l'Ue ad impatto climatico neutro entro il 2050. Significa che entro quella data ogni attività umana non dovrà immettere in ambiente gas ad effetto serra e se lo farà dovrà compensare le sue emissioni. Questo principio richiede una rivoluzione del settore primario, ma apre anche importanti opportunità.