I prossimi 6-9 giugno si voterà in Europa per rinnovare il Parlamento Europeo. In Italia si voterà sabato 8 e domenica 9 giugno. Saranno eletti settantasei parlamentari dall'Italia, su un totale di 705 eletti.

 

Da tempo è iniziato il toto-liste, cioè il dibattito su chi sarà in lista, chi non ci sarà, chi ci sarà e in quale posizione, se le due donne di spicco della politica italiana (la premier, anzi, il premier, Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein) si candideranno, se saranno o meno capolista, eccetera.

 

L'approccio è quanto di più sbagliato si possa fare, cioè applicare una trasposizione fra la politica nazionale interna e quella europea. Significa che non abbiamo capito nulla del ruolo dell'Unione Europea (Ue), del Parlamento Europeo e di chi dovremmo cercare di eleggere. Non è una questione di partito, ma di rappresentanza politica.

 

I cittadini italiani mandano in Europa dei parlamentari che dovranno confrontarsi con i colleghi di altri ventisei Stati membri e, possibilmente, agire con una visione comune, per far crescere l'Ue e non per portare avanti una fase di stallo, fomentare l'immobilismo, tutelare gli interessi della Nazione o, addirittura, della propria rappresentanza di partito. Beninteso, e a scanso di equivoci, gli europarlamentari eletti dai cittadini italiani dovrebbero portare la voce dei connazionali a Bruxelles e a Strasburgo, dove ci sono le due sedi del Parlamento Ue. Sta poi ai cittadini rapportarsi con quella settantina di uomini e donne così da creare una connessione fra le volontà e le sensibilità del proprio Paese con l'iter dell'Esecutivo Ue.

 

Altro errore da non compiere: considerare i risultati delle europee come lo specchio di quanto accade o quanto si pensa possa accadere politicamente in Italia. Sono due mondi differenti. Un conto sono le elezioni europee, un altro le elezioni del comune, della regione, delle due Camere del Parlamento.

 

Di cosa ha bisogno l'agricoltura europea?

Veniamo all'Agricoltura, con la A maiuscola. Perché è a Bruxelles e non a Roma che si definisce la Politica Agricola Comune (Pac), con durata solitamente settennale, soggetta a revisioni e riforme programmate (o non programmate, come abbiamo visto negli ultimi mesi).

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Di cosa ha bisogno l'agricoltura europea? Di dibattito, innanzitutto, che deve essere condotto dal mondo agricolo su più livelli: territoriale, nei singoli Stati membri, e sul piano europeo. Le modalità con cui si dialoga sono irrilevanti, purché si mantenga un tono civile e pacifico. Singoli agricoltori, delegazioni, rappresentanze sindacali o istituzionali, dirette o mediate. Il tema è un altro: gli agricoltori devono nell'esercizio della democrazia potersi esprimere e i parlamentari in Europa hanno il dovere di ascoltare. E poi, magari, operare per i migliori risultati possibili per gli agricoltori (che sono 8,9 milioni di aziende agricole) per quasi 450 milioni di abitanti. La percentuale non la calcolo, perché non vorrei che passasse il messaggio che, siccome in termini numerici gli agricoltori sono scarsamente rilevanti rispetto al totale dei cittadini comunitari, la loro voce può essere legittimamente trascurata.

 

L'Unione Europea è la prima potenza agroalimentare d'Europa per qualità e quantità prodotte ed esportate. È merito degli agricoltori e della catena agroalimentare se maciniamo record e siamo osservati speciali per la sicurezza alimentare che esprimiamo. Non deve essere dimenticato.
Né, allo stesso tempo, si deve dimenticare che gli agricoltori europei percepiscono contributi pubblici che potrebbero essere destinati ad altre politiche e che sono, appunto, soldi di tutti. Né, oggi più che mai, possiamo dimenticare che vi sono anche altre priorità da trattare, a partire dalla voce "difesa comune" e "sicurezza". Per attuarle servono idee, volontà politiche e risorse.

 

Come possono gli agricoltori difendere le risorse legittimamente loro destinate? Sempre col dialogo. Sapendo bene ciò che fanno sul piano produttivo, ambientale, sociale, del ruolo che rivestono nella tutela dell'ambiente e del paesaggio e per la vitalità delle comunità rurali stesse. Tutto questo merita sostegno economico e, magari, meriterebbe anche l'apprezzamento della società.

 

Abbiamo parlato di ambiente, aspetto che di solito fa rizzare i capelli agli agricoltori. E hanno ragione. Ma non perché gli agricoltori (e, scusate, aggiungo anche un'altra categoria vituperata: i cacciatori) non siano attenti alle questioni ambientali, ma perché ne hanno piene le tasche di essere sempre messi sotto accusa, tacciati di essere inquinatori dei suoli, delle acque e dell'aria. Non è vero. Certo, hanno vissuto la rivoluzione industriale in agricoltori nel Secondo Dopoguerra e hanno avuto le loro responsabilità, in passato, per utilizzi magari disinvolti dei prodotti chimici.

 

Oggi è un'altra storia. Sono tracciati - o possono esserlo - monitorati, le tecnologie digitali possono registrare e trasmettere ciò che fanno nei campi e nelle stalle. Benissimo. Pretendiamo il rispetto delle regole, ma l'Unione Europea non imponga visioni ideologiche irrealizzabili, traducendole in norme o ambizioni senza alcuna possibilità di realizzazione. Per questo serve un salto di qualità istituzionale, ma come?

 

L'Unione Europea sia consapevole del proprio ruolo anche a livello mondiale e agisca di conseguenza. Anche in questo caso, attraverso il dialogo, gli accordi, le visioni condivise e realizzabili.

 

Suggerimenti (a matita) per il prossimo Europarlamento

Qualche suggerimento (pochi, prometto) per il prossimo Europarlamento.

 

Affrontare il nodo della redditività e della competitività delle imprese e sostenere il ricambio generazionale. L'Ue si ritrova con imprenditori agricoli sempre più vecchi. Che significa: più stanchi, meno propensi a innovare e investire. Sicuramente meno "smart" e questa non è un'offesa, ma un dato di fatto generazionale. Chi è più giovane ha più entusiasmo e una visione più aperta al nuovo. Il Rinascimento dell'agricoltura europea passa da lì.

 

Snellire la burocrazia. I controlli devono essere fatti, in ballo ci sono soldi pubblici che, se male utilizzati, potrebbero spingere l'opinione pubblica a preferire un utilizzo diverso da quello agricolo.

 

Cambiamenti climatici. Serve un cambio di passo e serve sostenere la ricerca e l'innovazione. Sia pubblica o privata, poca differenza, purché anche in questo caso si favoriscano le procedure "open", per favorire un salto di qualità nella produttività e resilienza di fronte al climate change. Nelle scorse settimane il Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf) ha dato il via libera alla prima sperimentazione in campo delle Tecnologie di Evoluzione Assistita (Tea) per una varietà di riso, coordinata dall'Università degli Studi di Milano. Evviva. Bisogna accelerare.

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Accordi internazionali. La globalizzazione non è finita, solamente le variabili geopolitiche, la competizione fra grandi potenze, fra Nord e Sud del mondo hanno semplicemente complicato alcune dinamiche. L'Unione Europea deve essere consapevole del proprio ruolo e stringere nuove intese, accordi bilaterali e multilaterali, pretendere protezione e tutela dei propri prodotti agroalimentari, reciprocità, rispetto. Basta complessi di inferiorità e basta indecisioni.

 

Parlamento Europeo, Commissione e Consiglio nel prossimo quinquennio avranno l'onere di definire la Pac post 2027. Facciano tesoro degli errori del passato affinché non si ripetano in futuro. Un approccio green è necessario e le nuove generazioni di agricoltori - un altro motivo per auspicare il ricambio generazionale - ne sono più che consapevoli. Ma per passare dalla teoria alla pratica non si dimentichino di ascoltare le voci degli agricoltori.

 

Ho volutamente lasciato incompleto l'elenco dei compiti del prossimo Parlamento Europeo. Chiedo ai lettori, che possono scrivere a redazione@agronotizie.it, cosa si aspettano e come potrebbe l'Ue dopo le elezioni di giugno contribuire a migliorare la vita degli agricoltori. Astenersi leoni da tastiera.