Presidente, qual è dal suo punto di vista lo stato di salute attuale dell'agricoltura italiana?
“I miei cinque anni di presidenza di Confagricoltura hanno coinciso con l'apice della crisi economica. Sono stati quelli più difficili, non solo per le aziende agricole, ma per tutto il Paese.
Una crisi che ancora prosegue, dopo aver spazzato via i vecchi punti di riferimento, senza indicare nuovi modelli.
Come imprenditore, però, ho sempre pensato che avevo il dovere di non farmi prendere dallo scoraggiamento e dal pessimismo, cercando invece di cogliere il buono: è quello che cerco di fare in azienda ed è quello che sto facendo in Confagricoltura.
Alla fine ciò ha portato risultati importanti. Sono state introdotte novità relative alla flessibilità nei rapporti di lavoro, per la sburocratizzazione, una tassazione più equa, a partire dall'abolizione dell'Irap e dell'Imu sui terreni agricoli, con la recente Legge di stabilità. C'è ancora molto lavoro da fare, soprattutto per superare le difficoltà di mercato in cui versano particolari settori, ma, anche grazie ad Expo, credo si sia finalmente compreso il ruolo dell'agricoltura, e questo è un fatto molto positivo”.
Questione made in Italy: qual è la rilevanza dell'export agroalimentare e quanto sarà importante per i fatturati delle nostre imprese in futuro?
“L'agroalimentare, con oltre 170 miliardi di fatturato, è il secondo settore del Paese ed è soprattutto l'export il vero motore, con oltre 33 miliardi di euro e un trend in continua crescita.
La staticità dei consumi interni, e anche di quelli del mercato europeo, che sta diventando sempre più domestico, spingono le aziende ad investire sui mercati extraeuropei dove il made in Italy è molto apprezzato.
Non mancano problemi sia strutturali che logistici, fino a quelli provocati dalle contraffazioni. Su questo aspetto vorrei però fare una riflessione, invitando a guardare oltre la dimensione dei danni economici che il fenomeno comporta e pensando agli spazi di questa "voglia di italiano" che potremmo coprire con i nostri prodotti veri”.
Come procede il ricambio generazionale nel settore agricolo italiano? I bandi per i giovani agricoltori nella nuova programmazione dei Psr possono aiutare?
"Sicuramente a rilento. Un giovane s'insedia e può farlo solo in un'impresa economicamente sostenibile.
I nodi all'ingresso sono sempre gli stessi: mancanza del bene "terra" e difficoltà sul credito. I dati, ormai quasi definitivi, dell'anno accademico 2014-2015 confermano una diminuzione complessiva delle immatricolazioni universitarie e registrano una ben più forte flessione quelle ai corsi di laurea in Agraria. E' un segnale inequivocabile. Molti giovani però stanno riscoprendo il ritorno alla terra.
Per questo c'è sempre maggiore necessità di formazione e di supporti mirati per i ragazzi che iniziano a lavorare in agricoltura. Supporti non solo economici diretti, come quelli dei Psr, ma anche di tipo gestionale, come favorire le aggregazioni e l'accorpamento fondiario tramite i contratti di rete".
Mancano due giorni alla chiusura di Expo. Qual è il bilancio della manifestazione secondo lei? Che effetti può avere per l'agroalimentare italiano?
“Un bilancio positivo per l'Esposizione e anche per Confagricoltura.
Sono stati sei mesi intensi, preceduti da un lungo periodo di preparazione, e credo che possiamo essere soddisfatti. Dal campo di grano a Milano all'orto urbano, passando dai convegni a Palazzo Italia al nostro Cubo multimediale, fino al vigneto di Leonardo da Vinci. Ora va gestita attentamente la fase del “dopo-Expo”. Proseguiremo a fare eventi alla Vigna di Leonardo, perchè si spengano i riflettori su Expo, ma non sull'agricoltura. Come Confagricoltura sollecitiamo un ruolo propositivo del nostro Paese”.
Ricerca e innovazione in agricoltura: qual è il suo parere sulla questione degli Ogm?
“Ovunque, nel mondo, la ricerca e l'innovazione genetica in agricoltura sono viste come una soluzione alle sfide globali del pianeta, piuttosto che come un problema.
Solo in Europa, e in Italia, si registrano forti resistenze. Ma dove gli Ogm sono utilizzati, aumentano i vantaggi per il settore e per la collettività. In Europa, invece, la coltivazione di Ogm è stata frenata dai bandi imposti dai vari governi. Ma il vero paradosso italiano, da noi sempre denunciato, è che mentre si vieta la coltivazione ai nostri imprenditori, si importa moltissima materia prima transgenica per produrre le nostre eccellenze agroalimentari.
Il problema dell'Italia è l'assenza di una politica a favore di una ricerca per l'innovazione e la genetica in agricoltura, una ricerca italiana che può superare la questione Ogm così come l'abbiamo vissuta finora, utilizzando tecniche nuove, perfette per la nostra agricoltura".
Le agroenergie possono rappresentare una valida integrazione al reddito agricolo o rischiano di competere con la produzione agricola minando il raggiungimento degli obiettivi riguardanti la food security?
“Considerare le agroenergie esclusivamente come uno strumento per la produzione energetica è limitante.
Le tecnologie oggi a disposizione degli imprenditori agricoli favoriscono l'instaurarsi di sinergie locali tra attori della filiera. Come ad esempio nel caso del biogas/biometano, che permette di sviluppare un modello agricolo avanzato, competitivo e sostenibile, capace di ottimizzare l'impiego dei fattori produttivi, aumentare le rese e l'efficienza d'uso del suolo e migliorare la fertilità del terreno con l'utilizzo del digestato (bio-fertilizzante).
Le agroenergie offrono una concreta alternativa rispetto al tradizionale modello agricoltura, permettendo di ridurre significativamente l'impatto ambientale del comparto e favorendo la capacità di produrre alimenti di qualità e foraggi per il settore zootecnico".
Questione quote latte: a sei mesi dalla fine delle quote, come hanno reagito i mercati?
"La difficile crisi economica che sta vivendo il settore lattiero-caseario con il crollo dei prezzi del latte alla stalla, è dipesa da più fattori, a cui si lega anche la fine del sistema delle quote latte.
L'euforia dei prezzi internazionali del latte fino alla metà del 2014 e l'approssimarsi della fine del regime delle quote ha portato molti allevatori europei ad implementare le proprie capacità produttive. La fine delle quote latte ha avuto un ruolo nell'attuale crisi del settore, ma non è l'unico fattore che condiziona l'andamento del mercato.
La vera perplessità rimane il disequilibrio tra le zone di produzione europee, dovuto a diversità climatiche e territoriali, che veniva regolato da un sistema di contingentamento. Mi domando come si possa mantenere un'omogenea distribuzione sul territorio comunitario della produzione lattiero-casearia, come auspicato dalla stessa Commissione, che però non ha trovato ancora valide soluzioni".
Questioni Ttip: può rappresentare una scelta strategica o una minaccia per l'export made in Italy?
"L'accordo di libero scambio tra Ue e Usa è sicuramente un'opportunità per l'export del nostro made in Italy, ma le implicazioni sul settore agricolo sono enormi.
Stabilire regole e ridurre barriere significa incidere in maniera determinante sull'agri&food trade, che rappresenta il 20% degli scambi mondiali di prodotti agricoli e agroalimentari. E non è affatto scontato che i vantaggi per l'Europa siano equilibrati rispetto a quelli che potrebbero derivare per le imprese statunitensi.
E' importante, dunque, che il negoziato si concentri sui capitoli offensivi e in particolare sulle barriere "non tariffarie" frapposte ai nostri prodotti, che vanno il più possibile eliminate, comprese quelle sanitarie e fitosanitarie. Senza puntare ad ottenere vantaggi solo sull'importante, ma spinoso, capitolo del riconoscimento delle nostre denominazioni".
Quali sono gli obiettivi futuri per Confagricoltura?
"Grazie all'impegno straordinario messo in campo per Expo, siamo riusciti a far comprendere che l'agricoltura è indispensabile e deve essere al centro delle politiche di progresso socio-economico. Produrre cibo per tutti ma con un'attenzione particolare all'ambiente, utilizzando meno chimica: è questa la sfida sancita anche dalla Carta di Milano, a cui ho dato il mio contributo. Vedremo se, dopo Expo, ci sarà davvero un cambio di passo. Il ministro Martina e il governo lo hanno promesso, per far sì che l'agricoltura sia veramente il settore primario, nei fatti e non a parole".