Facciamo un passo indietro. Ad Expo sono presenti più di 140 Paesi, rappresentativi di tutto il mondo. Quasi tutti i padiglioni hanno al loro interno piante, semi e cibi, molti dei quali acquistati in Italia, ma molti altri provenienti dalle zone di origine. Se si conta che nei giorni di punta entrano in Expo più di 200 mila persone è facile intuire come microrganismi non autoctoni possano penetrare all'interno di Expo e da lì espandersi a tutta l'Italia. Ma è vero anche il contrario, visto che già il territorio lombardo è contaminato da alcune specie (come la Popillia japonica, il tarlo asiatico o la diabrotica) che potrebbero attaccare le piante dei padiglioni e poi essere "esportate".
“Per questo abbiamo steso una rete di 150 trappole lungo tutto il perimetro di Expo”, spiega Mariangela Ciampitti, ispettore fitosanitario Ersaf, l'Ente regionale per i servizi all'agricoltura e alle foreste, agenzia che ha proprio il compito di monitorare la presenza di organismi alieni. “Siamo partiti da una analisi del rischio, andando a controllare tutti i possibili veicoli per insetti, muffe, virus e batteri. Ovviamente ci sono le piante, ma anche gli imballaggi, il legno dei bancali, fino ad arrivare a semi e prodotti alimentari introdotti ad Expo”.
E' la prima volta che viene fatto un lavoro del genere e non esistono delle linee guida da seguire. Europhyt (European union notification system for plant health interceptions), il sistema di allerta rapida europeo, fornisce una sorta di mappa del rischio. Mentre l'Organizzazione europea per la protezione delle piante, a cui partecipano quasi cinquanta Stati, aggiorna le liste di organismi nocivi che potrebbero arrivare sul territorio lombardo. A rischio c'è un intero settore economico, visto che i danni causati dagli artropodi alle colture ammontano a circa 10 bilioni di euro all'anno in Ue.
La parola chiave è "early detection", il riconoscimento precoce dei microrganismi alieni, passo essenziale per poi mettere in campo efficaci pratiche di contenimento e debellazione. Le trappole dentro Expo servono proprio a questo. “Nei corsi d'acqua sono state depositate delle gabbie contenenti mele”, spiega Chiara Patti, dell'Ersaf. “Servono come terreno fertile per la fitoftora, le cui spore si attaccano alla mela in decomposizione”.
Esistono anche strumenti più sofisticati, come il captaspore. “E' uno rilevatore automatizzato, alimentato con dei pannelli fotovoltaici, che aspira le spore presenti nell'aria. Ogni settimana eseguiamo le analisi del filtro in modo da sapere quali microparticelle sono in sospensione intorno a noi”, spiega Francesca Siena, anche lei dell'Ersaf. Ma le trappole sono moltissime, ognuna studiata per un determinato microrganismo.
Passeggiando per Expo si possono notare dei prismi attaccati agli alberi che contengono feromoni, impercettibili per l'uomo, ma un richiamo irresistibile per alcuni tipi di artropodi che poi rimangono intrappolati in uno stato di colla. Nel padiglione dell'Oman o della Colombia, tra le palme, è posizionata una trappola per il punteruolo rosso. Ma sparsi un po' ovunque ci sono pannelli cromotropici e multifunnel. Ad Expo non mancano neppure le piante spia, specie particolarmente ghiotte per gli insetti che vengono attaccate per prime rivelando la presenza degli alieni. E poi ai giardinieri vengono fatti corsi ad hoc per avere delle "sentinelle" aggiuntive.
Con quello che sta succedendo in Puglia il microrganismo numero uno della lista dei ricercati è certamente la Xylella fastidiosa. Tutte le 92 piante di caffè presenti ad Expo sono state analizzate, così come le piante di ulivo, proprio per intercettare il batterio.
“Il personale all'interno dei padiglioni è sensibile a queste tematiche”, spiega la dottoressa Ciampitti. “D'altronde l'introduzione di un microrganismo alieno può causare danni per milioni di euro. Il problema è che tra la popolazione c'è ancora poca consapevolezza dei rischi. Nei bagagli dei turisti si possono trovare "souvenir" potenzialmente pericolosi”.