Lo scorso 13 maggio la Corte Suprema degli Stati Uniti, il terzo livello di giudizio del sistema giudiziario statunitense, ha confermato la condanna inflitta a Mr. Bowman, un agricoltore dell'Indiana, per aver utilizzato come semente parte del raccolto ottenuto seminando una varietà di soia Roundup-ready (resistente al glifosate), regolarmente acquistata da un distributore Monsanto della sua zona

 L'ingegnoso agricoltore è stato condannato al pagamento di 84.456 dollari in quanto non ha rispettato il contratto di licenza che ogni acquirente di semente Ogm sottoscrive quando acquista la merce, e precisamente che la deve utilizzare nell'arco di un'unica annata.
L'agricoltore, invece, aveva inizialmente tentato di aggirare il contratto che da anni era abituato a sottoscrivere puntualmente, utilizzando come semente per il suo secondo raccolto stagionale, anziché quella originale Monsanto (che supponiamo essere molto costosa), materiale molto più a buon mercato acquistato da un grossista che l'avrebbe solitamente destinato all'utilizzo nell'industria mangimistica e alimentare.

Poiché quella soia proveniva essa stessa da semente tollerante al glifosate (come la quasi totalità negli Stati Uniti), riuscì ad ottenere un raccolto accettabile anche utilizzando semente “piratata”.
Dopo l'ottavo anno di questa pratica da parte dell'agricoltore, attuata anche destinando parte della produzione alla semina successiva (pratica peraltro legata al concetto stesso di agricoltura) gli avvocati della multinazionale, danneggiata nel vivo (portafoglio) da questo comportamento, l'hanno accusato di infrazione di brevetto e di mancato rispetto del già citato contratto di licenza.
La controversia ha raggiunto nientemeno che la Corte Suprema degli Stati Uniti (la quale viene interessata solamente per casi giudicati molto importanti, altrimenti il ricorso viene bloccato ai livelli inferiori di giudizio), che ha confermato quanto inflitto all'agricoltore in primo grado che quindi sarà condannato al risarcimento e – presumiamo – al pagamento delle spese processuali, che immaginiamo essere tutt'altro che insignificanti per una causa portata sino alla Corte Suprema.

Anche le argomentazioni dell'agricoltore che aveva invano invocato la dottrina del “patent exhaustion” (i diritti del titolare di un brevetto di una particolare merce cessano quando essa viene venduta all'utilizzatore, che può appunto utilizzarla come meglio crede) che non si applicherebbe ai casi in cui il prodotto è in grado – come la semente – di autoreplicarsi.

Tornando al parallelo tra industria sementiera e settore del software, che ci sembra particolarmente azzeccato, gli agricoltori potranno fronteggiare la crisi riducendo i costi delle sementi quando sarà disponibile materiale “open source”, da utilizzare liberamente. Chissà che non si preparino delle sorprese per il futuro...


Per saperne di più
Il sito della Corte Suprema degli Stati Uniti (www.supremecourt.gov)
Causa 11-796 Bowman vs. Monsanto (sentenza del 13 maggio 2013)