In occasione del voto in Commissione agricola del Parlamento europeo (Comagri) sugli emendamenti alla riforma della Politica agricola comune (Pac), il suo Presidente Paolo De Castro ha concesso un’intervista ad Agronotizie.

Per spiegarci cosa cambia per i produttori, grazie alle modifiche introdotte dal Parlamento rispetto alla proposta originaria della Commissione.
Ma anche per fare il punto sul destino della riforma, che nei prossimi mesi dovrà passare attraverso l’assegnazione delle risorse e il voto nella sessione plenaria del Parlamento stesso.


Quali, tra gli emendamenti votati, hanno maggiore impatto sugli agricoltori italiani? In quali ambiti quel che propone il Parlamento europeo è più favorevole agli agricoltori italiani rispetto alla proposta iniziale della Commissione?

"Con questa nostra maratona di voti (8mila emendamenti, ridotti a 200 di compromesso) abbiamo sensibilmente migliorato la proposta della Commissione europea, una proposta che preoccupava gli agricoltori, soprattutto per un aumento dei costi burocratici, stimato dalla stessa Commissione intorno al 15%.
Come Parlamento europeo, fin dall’inizio ci siamo schierati per ridurre l’onere amministrativo. E con questo voto, proponiamo di escludere completamente dal greening
(le misure eco-compatibili a cui è condizionato il 30% degli aiuti diretti, ndr) i produttori che coltivano superfici inferiori ai 10 ettari, aumentando la dimensione minima rispetto alla proposta della Commissione, che era di 3 ettari, che comportava un costo burocratico molto alto anche a imprese molto piccole.
Per l’Italia, dove le aziende agricole sono grandi 9 ettari in media, la nostra modifica significa che l’80% dei beneficiari di pagamenti diretti, che corrispondono al 50% circa della superficie coltivata, non saranno toccati da queste regole e quindi non avranno costi aggiuntivi.
Un’altra modifica di fortissimo impatto per l’Italia è quella che permette a frutteti, agrumeti, vigneti e oliveti di essere considerati automaticamente adempienti alle regole del greening: un questione che, a livello di superficie, ne concerne quasi 4 milioni di ettari nel nostro Paese.
Il documento della Commissione riguardava solo le risaie (tra l’altro, abbiamo modificato la dicitura “completamente sommerse” in “parzialmente sommerse”, visto che le coltivazioni di riso non sono totalmente sommerse dall’acqua). Ora abbiamo esteso lo stesso principio ai produttori di colture arboree: coloro che di fronte alla proposta originaria temevano di dover abbattere i propri alberi, ora non dovranno più preoccuparsi. D’altronde, le coltivazioni arboree diminuiscono l’anidride carbonica ben più di quanto fanno prati e pascoli, mentre le culture leguminose arricchiscono il terreno di azoto: ecco perché queste produzioni vanno considerate conformi al greening per definizione.
Infine, con la nostra proposta, rispetto a quella della Commissione, l’Italia risparmia 44 milioni di euro per la questione della convergenza esterna
(il riequilibrio tra i livelli di pagamenti percepiti nei diversi Stati membri, ndr). Con i criteri proposti dalla Commissione, gravava sull’Italia ben il 30% del costo di ridistribuzione degli aiuti diretti a vantaggio di quei Paesi dove il livello di pagamenti agli agricoltori è ancora molto basso.
Abbiamo fatto in modo che l’Italia pagasse un conto meno salato, riequilibrando con Francia e Germania, che daranno invece un contributo maggiore.








Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura del Pe
durante il voto 
sulla riforma della Politica agricola comune
© European Union 2013 - European Parliament 
(Foto © Pietro Naj Oleari)


 

In generale, lei e i relatori vi siete detti soddisfatti del voto, restano però  un paio di questioni su cui migliorare il tiro in sede di voto nella sessione plenaria del Parlamento europeo. Quali?

"La prima riguarda il doppio finanziamento. Dobbiamo fare in modo che venga mantenuta l’equivalenza, ovvero la possibilità, per chi adotta già misure agroalimentari all’interno del secondo pilastro (programmi di sviluppo rurale, ndr) di essere considerato adempiente alle regole del greening, da cui dipende il 30% degli aiuti.
Però, l’agricoltore non può essere pagato due volte per le stesse misure, come è risultato invece finora dal voto in sede di Comagri. Dobbiamo eliminare questo doppio finanziamento.
L’altra questione è quella della trasparenza sulla pubblicazione online dei beneficiari di sostegni al reddito: il relatore, Giovanni La Via, aveva trovato un compromesso tra chi voleva trasparenza (i socialdemocratici, a cui appartengo) e chi aveva a cuore la privacy, ma a scapito della trasparenza (i Popolari): la sua idea era pubblicare su internet i nomi di chi riceve aiuti diretti, ma rendere possibile la consultazione solo dietro richiesta di codici di accesso.
Purtroppo non abbiamo potuto votare questo emendamento perché, per regole tecniche, si votano prima gli emendamenti più distanti dalla proposta della Commissione. È passato, dunque, l’emendamento dei Popolari, contrario alla pubblicazione dei nomi dei beneficiari: così facendo, però, non si garantisce la trasparenza sull’assegnazione delle risorse comunitarie".



E a proposito di risorse, molto del futuro della riforma Pac dipende dal bilancio. Il Presidente stabile dell’Unione, Herman Van Rompuy, ha ufficializzato l’incontro del 7-8 febbraio sul budget pluriennale: segno che c’è fiducia sul fatto che le capitali possano trovare un accordo.
Ma la situazione ad oggi fa propendere verso un’ulteriore riduzione del budget totale, altri 15 o 20 miliardi rispetto al taglio di 80 miliardi proposto a novembre, che per alcuni Paesi non è ancora abbastanza. L’agricoltura è salva o c’è da aspettarsi altre sforbiciate?


"L’agricoltura rappresenta il 42% del budget europeo. Se i tagli, come pare dalle indiscrezioni, possono arrivare fino a 100 miliardi di euro, è probabile che tocchino in parte anche questo settore, proprio perché rappresenta una parte così consistente del bilancio.
È difficile oggi fare cifre, ma si può pensare che i tagli per l’agricoltura passino dai 18 già proposti a novembre a una ventina".







© European Union 2013 - European Parliament 
(Foto © Pietro Naj Oleari)

 


Ma il Parlamento europeo ha già chiarito che, se gli Stati membri tirano troppo i cordoni della borsa, al bilancio potrebbe anche essere rifiutato il via libera. Potrebbe davvero succedere? E soprattutto, ai fini della riforma Pac e tenendo conto dei ritardi che ne deriverebbero, converrebbe?

"È vero che il rischio che il Parlamento rifiuti un budget troppo basso c’è, d’altronde il Trattato di Lisbona ha dato agli eurodeputati il potere di veto sul bilancio. Quindi tecnicamente, giuridicamente e anche politicamente, questo può succedere.
Ma i parlamentari provengono pur sempre da quei Paesi che siedono in sede di Consiglio: e se gli Stati membri si mettono d’accordo su un dato compromesso, è possibile che un eventuale veto del Parlamento non tenga fino in fondo e che il bilancio venga quindi approvato.
Per quanto riguarda i ritardi, invece, in ogni caso non sono un grosso problema. Già oggi è assodato che la riforma Pac non entrerà in vigore nel 2014, come originariamente previsto. Ma questo, in realtà, non comporta nulla, se non che si vada avanti con il sistema esistente. Il rischio che vedo, però, è un altro".



Quale?

"In Comagri ben 11 deputati su 44 hanno votato la bocciatura totale della riforma. È un dato che ci ha sorpreso, corrisponde al 25% del totale. Questo, in sede di sessione plenaria del Parlamento europeo, non può più succedere perché, una volta votata nella Comagri, la riforma non può essere rigettata in toto.
Ma potrebbero essere bocciati interi capitoli, come il greening, sul quale abbiamo trovato un buon compromesso e che, con gli aggiustamenti che illustravo, è favorevole al nostro Paese. Allora, c’è il rischio che i deputati conservatori più contrari, che non vogliono questi cambiamenti, coagulino sempre più consenso, a maggior ragione se a livello di budget gli Stati membri si accordassero su tagli pesanti. In quel caso, temo che potrebbero raggiungere un consenso sufficiente a far saltare il greening, che di fatto è la parte più innovativa di questa riforma".



Nella vostra posizione c’è anche un capitolo riguardante il vino, per cui proponete il mantenimento dei diritti d’impianto. Anche il gruppo di alto livello era arrivato, a dicembre scorso, alla stessa conclusione: c’è ormai un consenso generalizzato su questa questione?

"Sicuramente in Italia c’è molta attesa affinché la questione si chiarisca, e da parte nostra siamo sempre stati chiari: vogliamo mantenere il sistema esistente. Il meccanismo dei diritti d’impianto ha sempre funzionato, non costa e tutti lo vogliono: perché cambiarlo, allora? C’è grande volontà del Parlamento europeo e del Consiglio per andare avanti in questo senso, avremmo anche evitato di creare un gruppo ah hoc per valutare la questione.
In ogni caso, certamente studieremo la proposta che il Commissario all’agricoltura, Dacian Ciolos, formulerà nei prossimi mesi".






"Avviare accordi di libero scambio rappresenta un’opportunità"
© European Union 2013 - European Parliament 
(Foto © Pietro Naj Oleari)

 


Cambiando completamente argomento, l’Europa intende investire maggiormente nel commercio, anche come stimolo all’economia a seguito della crisi, puntando ad accordi di libero scambio, con gli Stati Uniti in primo luogo, e poi con l’America latina.
Bisogna vedere più le opportunità o i pericoli, dal punto di vista dell’agricoltura?


"Sicuramente le opportunità. L’Italia è un grande Paese esportatore e l’agroalimentare è la prima tra le industrie manifatturiere quanto all’export: corrisponde a circa il 12-13% del totale, un volume pari a 32 miliardi di euro.
Per questo avviare accordi di libero scambio rappresenta certamente un’opportunità.
E, a chi fatica a vedere il quadro generale e teme per la propria filiera o per il proprio prodotto, dico che naturalmente negoziando questi accordi bisognerà stare attenti alle distorsioni: ci devono essere regole, a livello di singoli prodotti, che proteggano dalla concorrenza sleale.
Faccio l’esempio del pomodoro cinese: certo Pechino non potrà esportarlo in Italia, se i produttori cinesi non rispettano le stesse regole a cui sono sottoposti i nostri agricoltori. Il commercio deve essere leale, e alla base di questo c’è la parità di regole".