Con una mano si vogliono ridurre le risorse finanziarie e con l’altra si chiede di aumentare la produzione agricola per far fronte alla crescente domanda mondiale di materie prime agricole.

E ancora, da una parte si vogliono riequilibrare i finanziamenti tra i diversi Stati membri, ma per far questo ci si affida solo alla superficie coltivabile e non anche alla produzione lorda vendibile.

Come non bastasse, tutto questo deve avvenire riducendo l’impatto dell’attività agricola sull’ambiente, ricorrendo al famoso greening: una mano di verde al quale è agganciato il 30% dei del budget per gli aiuti diretti.

Messa così, quella affidata alla futura Pac sembra oggettivamente una missione impossibile.

Per ora siamo solo agli inizi del negoziato, ma gli assi calati dalla Commissione europea sul tavolo della trattativa, messi nero su bianco nelle proposte di regolamento, sembrano un sasso lanciato nel paludoso stagno della Pac, in grado di disegnare cerchi concentrici sempre più ampi, fino ad assumere con l’ultimo anello, quello della regionalizzazione finale, la forza d’urto di uno tsunami.

Di fronte a questa parete di terzo grado, anche gli sherpa che vantano una lunga esperienza nei rituali dei negoziati agricoli comunitari, sembrano disorientati e pessimisti sulle possibilità di portare a casa un risultato apprezzabile, in grado di rispondere alle legittime richieste degli agricoltori di quei Paesi, come l’Italia, che nel complicato incastro dei tanti tasselli corrono il rischio di subire le perdite più pesanti. Qualche contentino si riuscirà a portarlo a casa, ma la stangata è in agguato.

Tra gli storici delle tante riforme Pac, c’è già chi afferma che questo negoziato si annuncia, per grado di complessità, paragonabile alla riforma MacSharry del '92, la madre di tutte le riforme.

Il confronto ci può stare, ma con le debite considerazioni.
Allora l’obiettivo era chiaro e il cambio di rotta netto: disinnescare la mina delle grandi eccedenze di carne, latte e cereali, trasformando in aiuto a ettaro i vecchi meccanismi dei prezzi garantiti e degli ammassi.
Ora, invece, è evidente che c’è una sorta di testa coda tra obiettivi più ambiziosi e contraddittori,con mezzi finanziari sempre più scarsi.

Allora, si corressero gli ingredienti che avevano fatto impazzire la maionese. Ora, si pretende di fare le nozze con i fichi secchi.

Così, si è introdotta l’evanescente figura del cosiddetto 'agricoltore attivo', al quale riservare l’esclusiva degli aiuti comunitari.
Un identikit basato, secondo le proposte della Commissione, sulla quantità di aiuti Pac, che deve superare il 5% dei ricavi derivanti dalle attività extra-agricole.
Una definizione che sembra muoversi nella direzione opposta all’obiettivo che si vuole raggiungere: selezionare il target dei beneficiari, visto che i soldi saranno sempre meno.

Ma non sarebbe meglio allora abolire il disaccoppiamento? Con un semplice tratto di penna si potrebbe cancellare la madre di tutte le 'rendite fondiarie' che dal 2004 riconosce l’aiuto comunitario anche all’agricoltore che rinuncia a coltivare milioni di ettari.