Vespa velutina, il calabrone asiatico che dal 2012 sta invadendo l'Italia ad un ritmo che sembra inesorabile, sta mettendo a dura prova le api da miele e quindi l'apicoltura.

 

Questo insetto infatti è un efficientissimo predatore delle api bottinatrici e i suoi attacchi possono mettere in crisi in poco tempo un alveare provocando indebolimenti, maggior incidenza di malattie e anche spopolamenti spesso fatali. 

 

Oltre ovviamente ad importanti ripercussioni sulla produzione e quindi ad elevati danni economici per l'apicoltore.

 

Un problema che, oltre ad essere in espansione, si sta mostrando molto grave, tanto da essere paragonato alla varroa, che dagli anni '80 ha stravolto il modo di fare apicoltura in Italia e in gran parte del mondo.

 

Ma come cambierà l'apicoltura nelle zone dove il calabrone si stanzierà stabilmente? Quali sono i danni, le conseguenze sulle attività apistiche e le nuove problematiche da affrontare?

 

Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Zagni, apicoltore e tecnico apistico della provincia di Imperia, la prima zona di Italia ad essere invasa, che da oltre 10 anni lotta e cerca di convivere con questo problema.

 

Signor Zagni, quali sono i principali danni che Vespa velutina causa agli alveari?
"Il problema principale, contrariamente a quello che si può pensare, non è solamente la predazione delle api. Il danno maggiore è rappresentato dal blocco delle attività di volo e di bottinamento che ha effetti devastanti sugli alveari. Non raccogliendo nettare e polline le famiglie si indeboliscono giorno per giorno, le problematiche sanitarie aumentano e si sommano a quelle già presenti dovute alla varroa, alle virosi, al nosema.

 

Il grosso della predazione avviene da agosto a fine ottobre, quando il prezioso polline autunnale è necessario alla popolazione di api destinate a passare l'inverno e a riprendere l'attività della colonia in primavera. Le api invernali non riescono a formarsi un 'corpo grasso' adeguato a causa delle carenze alimentari, ne consegue una risposta immunitaria compromessa che apre l'accesso a virosi, limita le capacità di termoregolazione e quindi la durata della vita delle api e della colonia è compromessa.

 

In provincia di Imperia ormai è presente ovunque dal livello del mare fino ad oltre i mille metri. Anche in zone con poche vespe in caccia davanti all'alveare, a volte anche con una sola vespa, l'attività di volo si riduce drasticamente. Questo da luglio a novembre, dall'alba al tramonto. Non si riesce più ad invernare nuclei estivi e svernare alveari sani e forti senza spendere un'enormità di energie e risorse per il contrasto alla velutina, che siano ore passate a mettere trappole, esche con colla o ore passate ad uccidere vespe, ecc. Da qui una mortalità invernale e primaverile che diventa elevatissima ed i costi di gestione che diventano insostenibili".

 

Voi in Liguria, dopo quanto tempo dall'arrivo del calabrone avete sentito pesantemente il suo effetto?
"Praticamente, nei miei apiari che sono al confine con la Francia, ho visto l'effetto della caccia dei calabroni negli apiari fin dall'anno seguente alla prima segnalazione in Italia, che raccogliemmo come associazione Apiliguria, nel 2003. Sapevamo che sarebbe arrivata anche da noi in quanto era al di là del confine ed un giorno, mentre ero al telefono con il mio amico e collega Nuccio Lanteri, accesi la macchina fotografica per girare un video in diretta che diventò molto popolare.

 

Già con poche velutine, 1-2 davanti all'arnia, l'attività di volo si blocca. Gli apiari sono assediati da metà luglio fino a fine novembre. In alcune località le vespe sono presenti ancora a Natale e negli ultimi anni con gli inverni caldi, alcune, volavano anche a gennaio.

 

Per dare un'idea dello sviluppo del problema posso dire che il primo anno abbiamo distrutto 3 nidi, il secondo anno 100 nidi, ed ogni anno la curva si impennava in maniera esponenziale. Oggi praticamente non si hanno dati che rappresentano la realtà in quanto ufficialmente la Regione Liguria riceve le segnalazioni e finanzia le squadre delle protezioni civili che neutralizzano i nidi, ma molti dei nidi trovati dalla popolazione sovente non vengono nemmeno più segnalati, questo perché ormai vedere in giro dei nidi appesi alle piante, ai sottotetti e nei posti più impensabili non fa più notizia. Gli articoli di giornale sulle rimozioni con autoscale dei pompieri non fanno più tanto clamore, è passato l'allarme e ora vedere un nido è quasi una consuetudine".

 

Guarda il video degli attacchi di Vespa velutina in Liguria

 

Quindi se nei primi tempi dopo l'arrivo non sembra che stia succedendo granché non bisogna star tranquilli?
"A volte è capitato che in alcune zone di neo infestazione, il primo anno non venga nemmeno rilevata la presenza della velutina, a volte alcune segnalazioni non hanno dato seguito ad un insediamento stabile e definitivo, ma a parte le eccezioni, dove arriva è destinata a rimanere e a fare danni. Forse in zone differenti dalla nostra con meno risorse pollinifere e con bassa biodiversità è probabile che i danni siano molto più impattanti sulle api, sul lavoro dell'apicoltore e sull'ambiente.

 

Sicuramente non si deve star tranquilli. E anche se le dinamiche possono essere leggermente diverse da zona a zona, sarebbe il caso di sostenere concretamente i metodi di lotta che hanno dato prova di efficacia, ma se devo essere onesto, sono molto pessimista sulla nostra capacità di lavorare insieme per prevenire i problemi. Abbiamo il brutto vizio di aspettare che il problema arrivi per poi spendere molte più risorse in progetti emergenziali, invece che in prevenzione, adottando le strategie che si sono rilevate realmente efficaci, ma questo vale un po' per tutti gli ambiti."

 

Oggi come è cambiata l'apicoltura da voi? Sono diminuite le aziende, le produzioni, il modo di lavorare?
"È cambiata enormemente. Gestire Vespa velutina da noi oggi è più complesso che gestire la varroa. Chi alleva le nostre api nere del Ponente Ligure è forse un po' più agevolato in quanto sono api molto più rustiche, meno selezionate dall'apicoltura, meno dipendenti dall'apicoltore e probabilmente con margini maggiori di resilienza. Non ne faccio una questione prettamente ideologica, ma condivido semplicemente questa opinione con molti apicoltori della mia associazione che da decenni allevano sempre le stesse api e dai quali ricevo continui feedback.


Oltre a questo c'è un enorme aumento di costi e di lavoro, inteso come ore di attività di contrasto a Vespa velutina, viaggi in apiario, di aumento di spese vive, in particolare per la predisposizione di trappole, l'acquisto e gestione delle arpe elettriche, la nutrizione di soccorso, la maggior gestione per le quote di rimonta degli alveari che sono salite enormemente a causa della mortalità invernale e primaverile.


Molti apicoltori anche di vecchia data smettono. Molte persone continuano a iscriversi e a fare i corsi di avviamento all'apicoltura, ma dopo uno o due anni smettono. Il turnover degli iscritti alle associazioni è alto, nel giro di due anni i nomi dei soci cambiano spesso e spesso cala anche il numero degli iscritti.


Inoltre c'è anche l'aspetto psicologico che può essere diverso da persona a persona, ma che non è da sottovalutare. Quando in piena estate si iniziano a vedere decine di vespe in azione e sai che il giorno dopo sarà nuovamente così, senza di fatto poter fare quasi nulla, dal punto di vista emotivo e motivazionale è devastante. Tanti, stanchi, smettono, soprattutto per non vedere più le api assediate e divorate dalle vespe".

 

E cosa si può fare, oltre al monitoraggio e alla distruzione dei nidi?
"Il monitoraggio e la distruzione dei nidi può essere importante nei primi tempi per cercare di rallentare l'invasione, ma poi rischia di diventare totalmente insufficiente. Lo sviluppo di strategie per la ricerca dei nidi con strumentazioni sofisticate come radar o droni, in passato ha assorbito molte risorse, alcuni metodi potrebbero essere usati ma è molto difficile e dispendioso in termini di tempo e di costi. I nidi che si trovano in inverno, quando gli alberi perdono le foglie, hanno già fatto i loro danni in termini di predazione di api, di blocco delle attività di volo e di produzione di nuove regine di vespe svernanti.

 

Altrettanto difficile e dispendiosa è la distruzione dei nidi, là dove sia possibile farlo. Infatti alcuni nidi possono essere a decine di metri di altezza sugli alberi, magari su pendii impervi o nella fitta boscaglia, rendendo di fatto impossibile qualsiasi intervento, dal momento che sarebbe estremamente oneroso in termini di logistica, di costi e di lavoro. E dalle nostre parti si parla di decine di nidi per chilometro quadrato.

 

Oggi nelle zone in cui Vespa velutina è presente stabilmente, ed in cui i nidi raggiungono una densità elevata a chilometro quadrato, la ricerca e la distruzione dei nidi è un'azione non economicamente sostenibile e che non dà risultati tangibili in termini di riduzione della presenza di vespe in apiario.

 

Se semplicemente analizziamo i dati francesi sulla densità dei nidi presenti in un territorio ormai colonizzato da Vespa velutina, si capirebbe che nel raggio di un 1,5 chilometri intorno ad un apiario possiamo potenzialmente avere anche 70 nidi attivi.


È quindi impensabile poterli neutralizzare tutti sia dal punto di vista pratico che economico. Infatti anche se ipoteticamente immaginassimo di poter conoscere l'esatta posizione di ogni nido (cosa impossibile ad oggi) non ci sarebbero poi le risorse umane ed economiche per intervenire manualmente alla neutralizzazione con le squadre, le pertiche e la permetrina. Stiamo parlando di decine di migliaia di nidi potenzialmente presenti sul territorio di cui ogni anno se ne individuano, per lo più casualmente, una piccolissima parte.

 

Altre soluzioni come le arpe elettriche ed il trappolaggio possono dare un sollievo agli apiari in cui vengono installate, ma oltre ad essere costose ed impegnative, non risolvono il problema della proliferazione dei nidi che vanno comunque a devastare l'ecosistema e gli altri insetti. Ed ogni anno si ricomincia da capo.

 

Penso che sarebbe più produttivo quindi concentrare le risorse, la ricerca e l'attenzione sulle metodiche di lotta e contenimento che, anche attraverso recenti progetti di ricerca, hanno dimostrato più efficacia, economicità ed applicabilità pratica. Mi riferisco principalmente al Metodo-Z senza escludere ovviamente le altre tecniche descritte sopra che si possono tranquillamente utilizzare in un'ottica di lotta integrata e condivisa.

 

Sia il Crea Agricoltura e Ambiente che l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D'Aosta hanno studiato negli anni passati gli effetti del Metodo-Z, di cui sono uno degli sviluppatori, e ne hanno dimostrato l'efficacia in alcuni progetti. Ma su questo è bene che ne parlino i ricercatori con i dati alla mano".

 

Veramente siamo di fronte ad una nuova svolta "epocale" per l'apicoltura?

"Non mi sento in grado di fare previsioni o usare definizioni così perentorie, quello che posso dire, rispetto alla mia limitata esperienza è che personalmente sono molto stanco e disilluso sul futuro e sulla nostra capacità di prevenire e risolvere i problemi dell'ambiente ed in particolare quelli delle api. Più passano gli anni e più la mia parte sognatrice e positiva lascia spazio alla constatazione di come le sfide future saranno sempre più difficili da affrontare e si potenzieranno sostenute e moltiplicate dal cambiamento climatico e dall'arrivo di nuovi patogeni ed avversità.

 

In generale ci manca la capacità di vedere i problemi nella loro complessità ed agire di conseguenza in maniera collegiale unendo le forze, prevenendo soprattutto e non solo in emergenza.

 

Per noi, nel Ponente Ligure la problematica della Vespa velutina è un problema primario ma non bisogna dimenticare che, questa nuova ed ulteriore avversità, va da aggiungersi alle moltissime che ormai affliggono gli alveari, contribuendo a quel fenomeno della multifattorialità di stress che crea un effetto sinergico, cioè un effetto negativo maggiore rispetto alla somma dei danni causati dalle singole problematiche.


Un effetto che spesso diventa letale sulle api da miele e sugli ecosistemi in genere.


Il risultato lo vediamo tutti i giorni ma siamo incapaci di applicare soluzioni concrete, ognuno con la propria visione, con le proprie certezze rinchiuse nel proprio orticello… avanti così in ordine sparso, ma forse è la nostra natura".