Sono usciti nei giorni scorsi i primi dati dell'indagine statistica sul costo di produzione del miele in Italia, realizzati dal progetto Honey Cost, portato avanti dal Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia del Crea con la partecipazione dell'Osservatorio Nazionale del Miele.
Dati, che, come è stato scritto nel comunicato ufficiale del progetto, stimano il costo di produzione di 1 chilo di miele tra gli 8,90 e i 9,70 euro.
Ma come si è arrivati a stabilire queste cifre? E come può reggere il settore apistico se il prezzo medio all'ingrosso è decisamente inferiore?
Lo abbiamo chiesto al team di ricercatori che hanno coordinato lo studio: Milena Verrascina, Concetta Cardillo, e Antonio Giampaolo.
Dottoressa Verrascina, intanto cosa è il progetto Honey Cost e quale è il suo obiettivo?
"Da alcuni anni a questa parte come Crea stiamo approfondendo le dinamiche economiche del settore delle api e del miele. Nell'analisi della filiera abbiamo verificato la mancanza di informazioni accurate e affidabili sui fattori determinanti dei processi di produzione, molte volte affidati a stime o approssimazioni, non sempre sistematiche e capaci di dare certezze o solidità di analisi. In particolare, abbiamo verificato una difficoltà nella stima dei costi di produzione che sono invece indispensabili per comprendere la sostenibilità economica dell'azienda apistica. Anche nell'attività di affiancamento al Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste è emersa l'esigenza di avere maggiori strumenti di conoscenza del settore.
Da queste considerazioni nasce il progetto Honey Cost, ideato e sviluppato nell'ambito del nostro gruppo di lavoro, mettendo a punto una metodologia e strumenti di valutazione ad hoc per il settore delle api e del miele. Partner essenziale di Honey Cost è stato l'Osservatorio Nazionale del Miele con il quale abbiamo lavorato nella definizione degli strumenti di rilevazione, nell'animazione degli apicoltori, nell'avvio dell'indagine. Il contributo dell'Osservatorio è stato fondamentale per trasferire le nostre riflessioni e metodologie a livello operativo, sul campo, con uno scambio reciproco e proficuo che ha dato ottimi risultati.
L'indagine statistica Honey Cost sui costi di produzione del miele permette dunque di approfondire la conoscenza e le dinamiche economiche e produttive, le sfide, le opportunità legate all'apicoltura e mettere anche a fuoco la sostenibilità economica. Realizzata la prima fase di indagine, contiamo di far diventare Honey Cost un punto fondamentale di analisi del settore, per la metodologia scientifica e la puntualità della rilevazione, offrendo, anche negli anni a venire, un riferimento a medio termine per il mercato nazionale e internazionale, approfondendo i fattori determinanti nella formazione dei costi e identificando una serie di variabili e di rischi. Questo lavoro riteniamo sia utile al sistema nel suo complesso, alle imprese per meglio definire le proprie strategie, ai decisori politici per disegnare al meglio strumenti di supporto, a noi ricercatori per disporre delle informazioni corrette per determinare consistenza e andamento del settore e per costruire analisi di evoluzioni e scenari.
È bene sottolineare che questa indagine integra competenze e conoscenze provenienti dal mondo della ricerca, istituzionali (Masaf) e dei soggetti economici (enti ed organizzazioni apistiche rappresentative dell'apicoltura del nostro Paese). Mettere insieme ricerca, istituzioni e soggetti economici è, a nostro avviso, la via migliore per dare efficacia ad un percorso di sviluppo e valorizzazione del settore delle api e del miele".
Dottoressa Cardillo come siete arrivati alla stima del costo di produzione che avete pubblicato?
"Siamo arrivati alla determinazione del costo di produzione del miele attraverso la somministrazione di un questionario ad un campione di aziende opportunamente scelto tra tutte quelle presenti nella banca dati nazionale dell'Anagrafe Apistica. Il campione estratto era composto dalle sole aziende aventi una dimensione economica di almeno 8mila euro di standard output, pari a circa 40 alveari, ed è stato stratificato per regione e dimensione economica (3 classi), in modo da essere rappresentativo dell'intero universo scelto.
Il questionario si compone di 8 sezioni: dati generali, dati strutturali, forme di commercializzazione, composizione della manodopera, consistenza dell'allevamento, le produzioni, le spese e i costi dell'allevamento, l'impiego di lavoro e i trasferimenti.
Il questionario, disponibile sul sito internet dedicato al progetto poteva essere compilato direttamente registrandosi sull'applicativo online oppure con l'aiuto dei nostri colleghi delle sedi regionali, di persona o telefonicamente.
Dai dati rilevati è stato possibile definire 3 livelli di costo, un primo livello riferito alle sole spese correnti, un secondo livello, nel quale si aggiungono altre spese generali, e infine, un terzo livello a cui si aggiunge il costo della manodopera familiare.
Per questa prima edizione saranno diffusi solo dati campionari in quanto la copertura del campione, in alcune regioni, non era tale da garantire la rappresentatività statistica. Per gli esercizi successivi riusciremo a fornire un'analisi più puntuale e rappresentativa dell'universo delle aziende apistiche."
Dottor Giampaolo nell'analisi dei costi cosa emerge?
"Prima di tutto occorre precisare che i costi di produzione del miele sono fortemente influenzati da fattori esterni alla gestione dell'allevamento (clima, parassiti, pesticidi, inquinamento atmosferico, ecc.) quindi è difficile individuare un costo unitario medio complessivo su cui si possono riconoscere tutti gli apicoltori.
Dall'analisi emerge che tra i costi variabili (poco più di 4 euro al chilo), al netto dei costi per i trasferimenti degli alveari, le spese sostenute per il confezionamento e commercializzazione rappresentano, in percentuale, la voce più importante (tra il 25% e il 45%), seguita dalle spese per l’alimentazione (tra il 15% e il 40%). L’incidenza di queste categorie di costi variabili varia in funzione del tipo di allevamento e soprattutto dalla dimensione economica. Le aziende grandi presentano una minore variabilità e un livello dei costi più contenuto rispetto alle aziende con un numero di alveari inferiore a 120, per effetto delle cosiddette economie di scala.
Anche tra le componenti dei costi generali (ammortamenti e altre spese non dirette) è stata riscontrata una forte variabilità nel campione rilevato, variabilità che si attenua passando dalle piccole alle aziende di grandi dimensioni (con più di 240 alveari). La voce degli ammortamenti raggiunge, in alcune tipologie aziendali, anche il 50% dei costi fissi sostenuti dall'azienda, soprattutto in quelle medio piccole.
In sintesi, considerate anche le condizioni di mercato e gli eventi climatici avversi che si sono manifestati nel periodo a cui si riferiscono i dati rilevati (2021 e 2022), si evincono comunque delle buone performance economiche. Il livello di produttività unitaria degli alveari, espressa in termini di resa in miele, rispetto al prezzo riconosciuto agli apicoltori per il proprio miele, si posiziona sopra la soglia minima delle rese unitarie che consentono di coprire i costi di produzione".
Il prezzo del miele all'ingrosso però è nettamente più basso. Secondo i dati Ismea, l'acacia quest'anno non ha superato gli 8 euro al chilo e in certe zone il millefiori è stato trattato a 4,80 euro al chilo. Come fanno le aziende apistiche a non fallire vendendo il grosso della produzione ad un prezzo nettamente più basso del costo di produzione?
"Dai risultati ottenuti dalla nostra indagine statistica, emerge, al netto delle situazioni anomale, che il prezzo di vendita del miele, franco azienda, varia moltissimo in funzione di diversi fattori sia interni che esterni all'azienda. Ad esempio, le aziende di grandi dimensioni realizzano un prezzo medio di circa 7,6 euro al chilo con estremi che variano dai 6 ai 13 euro. Non è quindi possibile stimare, con le sole medie campionarie, un prezzo medio nazionale; lo si potrà fare con l'applicazione dei pesi statistici non impiegati nelle analisi pubblicate nel report.
Da evidenziare invece, che dalle analisi pubblicate in questo primo report, emerge che per circa l’8% degli apicoltori il prezzo del miele venduto è nettamente inferiore al costo di produzione di primo livello (le sole spese variabili). Percentuale che sale a circa il 30% di apicoltori il cui prezzo di vendita del proprio miele non copre il secondo livello dei costi di produzione calcolato dai risultati ottenuti nell'indagine chiusa nel primo semestre del 2023 e riferita alle attività produttive del 2021 e del 2022. Se a questo aggiungiamo anche i costi della manodopera familiare, che non sempre vengono considerati e contabilizzati, il numero di aziende che produce sottocosto aumenta ulteriormente.
Gli apicoltori che si sono trovati nella situazione con i costi di produzioni superiore al prezzo di vendita sono in prevalenza allevamenti con rese nettamente inferiori alla media del campione rilevato. Quindi non attribuibili alla capacità di gestione dell'azienda quanto ai fattori ambientali e ad altre componenti non controllabili da parte dell'imprenditore apistico".