Il problema è noto e da tempo, come già AgroNotizie ha evidenziato in più occasioni, e le autorità sanitarie europee, e non solo, hanno sensibilizzato al problema gli operatori sanitari, invitandoli a contenere l'impiego degli antibiotici ai soli casi dove il loro uso è imprescindibile.
I risultati in campo veterinario
In ambito veterinario si è fatto molto in questa direzione e negli allevamenti l'uso di antibiotici è costantemente in calo. Lo ha evidenziato la sesta relazione dell'Agenzia europea per il farmaco (Ema) pubblicata a fine ottobre. Sotto la lente di ingrandimento dell'Ema sono finiti tutti i 28 Paesi della Ue, ai quali si è aggiunta anche la Svizzera.
In tutti è stato monitorato l'impiego di questi farmaci nel periodo compreso fra il 2011 e il 2014. Nel complesso si è registrato un calo del 2,4%, flessione calcolata facendo riferimento alla Pcu, acronimo che sta per Population Correction Unit, unità di misura che corrisponde alla popolazione animale che può essere trattata con antimicrobici.
Questo numero da solo non basta a dare la reale portata di questa flessione in campo veterinario. Il calo, infatti, sale al 12% se si esclude dall'esame il “caso” Spagna. In questo Paese si registra da una parte un elevato impiego di antibiotici, fra i più alti nella Ue, e dall'altro una correzione dei modelli di valutazione, che nei precedenti report sottostimavano la situazione spagnola.
One health
Un minor impiego di antibiotici nelle stalle, che coincide con un'analoga flessione in campo umano, fa parte della strategia che, sotto la sigla di “One health”, vede coincidere gli sforzi di tutti verso un comune obiettivo, in questo caso la lotta all'antibiotico-resistenza.
Lotta che si attua anche attraverso una maggior conoscenza del problema da parte di tutti e non solo degli allevatori.
Scarse conoscenze
L'ultimo sondaggio di Eurobarometro su questo argomento dimostra la scarsa comprensione che si ha del problema. Meno del 43% del campione esaminato si è dimostrato a conoscenza dell'inefficacia degli antibiotici nei confronti dei virus. Consapevolezza che scende al 23% nel caso dell'Italia.
Il che lascia supporre che anche in campo umano sia frequente un uso improprio degli antibiotici. La necessità di una attenta opera di sensibilizzazione dei consumatori è innegabile.
Si è tentata una risposta con la settimana mondiale di lotta all'antibiotico-resistenza, che si è conclusa il 20 novembre. Che però è trascorsa, almeno in Italia, senza particolare visibilità, salvo forse che negli ambienti medici. Occorrerà insistere.
Meno antibiotici, più guadagno
Intanto va ricordato che la riduzione dell'impiego di antibiotici e di farmaci più in generale, è salutata con favore dal mondo degli allevatori, anche per ridurre le spese sanitarie e non solo per motivi deontologici.
Meno antibiotici si traduce poi in maggiore attenzione alle condizioni di igiene degli allevamenti e in un più accurato management che aiuti a prevenire l'insorgere di patologie. E qualora queste si presentino, aumenta l'interesse per risposte alternative, come l'impiego di antimicrobici “naturali”, fra i quali ad esempio i derivati dell'acido butirrico o i tannini, ai quali si guarda con sempre maggiore interesse.
Severità italiana
E' opportuno rammentare che l'impiego di antibiotici in Italia, rispetto ad altri paesi, è più controllato e disincentivato dalla nostra legislazione. Oltre all'obbligo della ricetta, è imposto il vincolo di rifornirsi attraverso il canale delle farmacie.
Altrove sono gli stessi veterinari che possono vendere direttamente i farmaci agli allevatori, disincentivando così un loro uso prudente.
Verso la ricetta elettronica
Inoltre in Italia sta proseguendo la sperimentazione della ricetta elettronica veterinaria promossa dal ministero della Salute.
Quando sarà a regime, consentirà un monitoraggio preciso dei farmaci, dalla produzione al consumo.
Renderà più efficace la farmacovigilanza e di conseguenza più mirato il contrasto all'antibiotico-resistenza.