Un impegno di anni, costante e metodico. Così Coldiretti ha progressivamente “occupato” (legittimamente, è ovvio) i vertici di molte istituzioni agricole del nostro Paese, divenendo protagonista delle politiche agricole di alcuni comparti, come quello della zootecnia. Emblematico il caso della Associazione italiana allevatori (Aia) che per anni ha visto alternarsi ai vertici personalità dell'una e dell'altra organizzazione agricola. Stessa cosa nelle associazioni periferiche (le Apa e le Ara). Una sorta di gentlemen agreement però dimenticato e oggi la gran parte della struttura associativa degli allevatori è “governata” da chi aderisce ai “berretti gialli”. Accade la stessa cosa nella “potente” associazione degli allevatori della razza Frisona, l'Anafi, un tempo roccaforte di Confagricoltura. Già Confagricoltura e con essa Cia e poi Copagri, le altre sigle sindacali della nostra agricoltura che possono vantare iscritti e forza contrattuale di tutto rispetto. Oggi accomunate in numerosi e importanti progetti, ai quali il più delle volte non aderisce però Coldiretti.
Il “Palazzo” ringrazia
Una contrapposizione che non fa bene all'agricoltura, ma che torna comoda al “Palazzo” che può così scaricare altrove responsabilità di politica agraria altrimenti sue, ma giustificate dalle “divisioni” del mondo agricolo. Molti i possibili esempi, l'ultimo dei quali è venuto dalla Conferenza Stato Regioni dalla quale ha preso le mosse il decreto ministeriale per l'applicazione della riforma Pac. Qui si dovevano decidere fra l'altro i criteri relativi alla misura dei premi per il settore latte. Ed ecco comparire il vincolo di iscrizione degli animali al Libro Genealogico e ai relativi controlli funzionali, il tutto gestito dalla Associazione italiana allevatori. Pena l'esclusione dagli aiuti.
Contenti in Lombardia
Peccato che i controlli funzionali (un tempo pagati dallo Stato) impongano un costo per gli allevatori. C'è chi ha visto in questa decisione una abile mossa dell'assessore lombardo all'Agricoltura, Gianni Fava, perché è in Lombardia che si concentra quasi la metà del latte italiano, ma anche il maggior numero di capi iscritti ai Libri Genealogici, soprattutto della razza Frisona. Ne potrebbe derivare un vantaggio di non poco conto per gli allevatori lombardi che potrebbero così “drenare” una fetta importante dei 76 milioni di aiuti accoppiati della Pac.
Le ire degli altri
C'è chi, invece, vede prevalere le scelte di Coldiretti, che attraverso Aia si troverebbe in una posizione di vantaggio. E sono “volati gli stracci”, come si dice i questi casi. In casa Confagricoltura si parla di misure “subdole”, pensate per far quadrare i conti di Aia dopo la cura dimagrante degli aiuti di Stato che ha costretto alla riorganizzazione dell'intero settore, con la chiusura di numerose Apa. O di una Pac a uso e consumo di pochi eletti, come l'ha definita il presidente di Copagri, Franco Verrascina. Per Agrinsieme si tratta di una “restrizione inaccettabile” che si scontra con i principi che ispirano la stessa Pac. E come se non bastasse, si va aprendo un altro fronte di contesa per il Parmigiano Reggiano, con Coldiretti che da tempo chiede l'azzeramento dei vertici del Consorzio di tutela.
Scelta discutibile
Senza esprimere giudizi, è intuibile che legare gli aiuti accoppiati all'iscrizione ai Libri Genealogici presti il fianco a molte perplessità, non ultime quella della sorte di aziende ove non siano presenti animali in purezza e dunque non iscrivibili ad un Libro Genealogico. Ma non per questo meno “meritevoli” di accedere ai sostegni della Pac.
Smettetela, per favore
Un invito allora alle organizzazioni agricole, nessuna esclusa. Mettano da parte le loro pur comprensibili rivalità e si diano da fare per sostenere gli interessi di tutti gli agricoltori, non importa il colore dei loro berretti. Questa, crediamo, sia la loro “missione”, non altre. Tantomeno contendersi poltrone, seggiole e strapuntini.
23 febbraio 2015 Zootecnia