Missione Sqn per la suinicoltura italiana. Fuori dalle sigle, la missione promossa a gran voce da Guido Zama, presidente della Organizzazione interprofessionale (Oi) Gran suino italiano, riguarda il rilancio del progetto che idealmente eredita la missione del Gsp, quel Gran suino padano che avrebbe dovuto rappresentare un’etichettatura delle carni fresche e una certificazione Dop.

La missione del Gran suino padano, pompata dal ministero delle Politiche agricole allora guidato da Luca Zaia, venne cassata da Bruxelles, con le motivazioni di una presunta violazione di requisiti di carattere geografico. Disposizioni piuttosto eteree, che tuttavia hanno lasciato cadere l’opportunità di arrivare a definire l’unica Dop sulla carne suina.
Ad oggi, l’unica possibilità per valorizzare la carne fresca rimane il Sistema di qualità nazionale, che per essere riconosciuto come impianto necessita che almeno il 50%+1 dei suini allevati in Italia faccia parte del circuito.

Secondo Antenore Cervi, presidente della op emiliana Asser, che commercializza oltre 100mila suini, “l’operazione consentirebbe di fatto di arrivare ad un’etichettatura su base volontaria e di assicurare un’identificazione della carne fresca”. Tutto questo porterebbe un vantaggio riconosciuto al consumatore, “dal momento che le carni inserite nel Sistema di qualità nazionale, rispettando di fatto il disciplinare dei prosciutti Dop (con l’esclusione della delimitazione geografica su 10 regioni, essendo l’Sqn riferito all’intero territorio nazionale), avrebbero caratteristiche organolettiche superiori rispetto alla carne estera”.
Gli allevatori possono sostenere il progetto compilando il modulo a disposizione della oi e dei distretti suinicoli lombardi, che rappresenteranno i principali serbatoi per l’approvvigionamento dei maiali.
“L’obiettivo è quello di raggiungere una rappresentanza del 50% dei suini e degli impianti di macellazione che macellano il suino Dop – ribadisce Cervi -. Questo obiettivo ad oggi è stato raggiunto per l’80 per cento e possiamo contare su un numero di 4,5 milioni di capi”.
La fase successiva passa attraverso una Associazione temporanea di scopo (Ats), alla quale prenderanno parte l’Oi e i distretti suinicoli (o il distretto suinicolo lombardo, visto che a settembre si dovrebbe perfezionare l’unificazione delle due realtà). L’Ats potrà presentare il disciplinare di produzione al ministero delle Politiche agricole, che a sua volta intercederà presso Bruxelles, in un gioco di sponda che sarebbe interessante verificare quali oneri burocratici (di tempo e denaro) trascina con sé e soprattutto a chi giova questo gioco a rimpiattino.

“I tempi di esame della pratica e di autorizzazione non ho idea di quali tempi avranno – ammette Cervi – ma da Roma partiranno due domande contemporaneamente: quella del Sistema qualità nazionale dei suini e anche dei bovini da carne; speriamo che la doppia pratica possa rappresentare una leva temporale”.
L’identificazione delle carni in modo volontario potrà partire già dopo la validazione della pratica al Mipaaf.
Per il presidente di Asser (e vicepresidente di Unapros, l’associazione di op che rappresenta il 20% della produzione suinicola nazionale) “l’operazione sarà una garanzia di ulteriore informazione per il consumatore, che potrà contare su carne e salumi italiani certificati da un marchio collettivo pubblico. Per le caratteristiche di allevamento del suino italiano, che deve rimanere in azienda per un periodo di almeno 9 mesi, la bistecca di maiale made in Italy avrà caratteristiche organolettiche migliori rispetto alla carne estera, a partire da un minore contenuto di acqua”.

Le aspettative degli allevatori sono anche di strappare un prezzo superiore per i propri suini, grazie ai margini di redditività superiori che la vendita di carne fresca italiana certificata dovrebbe, almeno in linea di principio, garantire.