La trama è alquanto claustrofobica, con dieci persone invitate in una misteriosa villa, sita su un'isoletta, da un ancor più misterioso ospite. Tutti e dieci verranno poi uccisi uno ad uno da un insospettabile assassino.
La narrazione di cui sopra ricorda molto l'agricoltura in generale e la fitoiatria in particolare.
La prima appare infatti sempre più isolata e pressata in un ambiente angusto, senza riuscire a trovare alcuna via d'uscita. La seconda altri non è che l'insieme degli ospiti morituri, viste le dipartite continue di sostanze attive che gli ultimi decenni ci stanno regalando, in ossequio a una chemofobia sempre più incistata nei media, nei social e perfino fra i decisori di carattere pubblico.
L'insospettabile "assassino", un giudice nel romanzo di Agatha Christie, è in tal caso l'insieme di normative che dalla metà degli anni '90 ha falcidiato lo scibile fitosanitario, rincorrendo richieste sempre più intransigenti di movimenti ecologisti e di lobby fra le più disparate. Il tutto, mentre la Fao ha eletto il 2020 ad anno della salute delle piante, visto che al mondo circa il 40% delle produzioni viene perso a causa dei parassiti.
Il risultato di tali pressioni anti-chimica è che oggi i problemi fitosanitari stanno crescendo progressivamente, anche a causa dell'arrivo di nuovi patogeni e parassiti che solo fino a pochi anni or sono erano percepiti come una curiosità aliena.
La diabrotica è ormai divenuta parte del paesaggio, ma dopo di lei sono arrivate altre "bestie nere" come Popilia, Drosofila suzukii e cimice asiatica, quella che più di ogni altro parassita sta preoccupando il comparto agricolo nazionale, inclusa quell'uva da tavola che la sta vedendo avvicinare ogni anno di più. Senza dimenticare la scarsità numerica di soluzioni contro la sputacchina degli ulivi, vettore di Xylella fastidiosa.
Nel frattempo, appartiene ormai al passato una molecola d'oro, in special modo per la viticoltura, come buprofezin, per il quale si spera un ritorno sulle colture edibili entro il 2023. Oppure sostanze attive strategiche nelle risaie come triciclazolo, con un oxadiazon che sta facendo anch'esso versare lacrime amare all'idea di come controllare le malerbe divenute resistenti ad altri diserbanti. In attesa ovviamente che la mannaia mediatica, vera padrona delle decisioni europee, cada anche sul collo di glifosate: il totem di ogni fobia allarmista.
Contro la Septoria dei cereali molte sono le molecole che stanno cadendo sotto i colpi delle resistenze, ma usare clorotalonil nei programmi di difesa pare ormai divenuto motivo di vergogna.
Nella cipolla sono spirati oxyfluorfen e i formulati a base di ioxynil, rendendo i diserbi più ardui e spesso insoddisfacenti.
Pure in certe zone di produzione della patata si arriva a superare il 50% di perdite di produzione a causa degli elateridi, come accade nel vogherese, ove gli attuali geoinsetticidi permessi nei disciplinari pare siano ormai efficaci quanto le male parole dette a voce alta.
In Emilia-Romagna, invece, l'alternaria sta diventando un mostro a sette teste nei pereti, a causa della penuria sempre più spinta di prodotti efficaci, andando ad aggravare ulteriormente i danni dovuti alla summenzionata cimice asiatica, al momento incontenibile. Una combo micidiale fungo/insetto che sta facendo perfino meditare molti produttori di pere a espiantare i frutteti.
Una mazzata micidiale al made in Italy, visto che la pericoltura italiana è da sempre uno dei fiori all'occhiello nazionali.
La saga dei neonicotinoidi è anch'essa proseguita, andando a limitarne sempre di più l'uso fino a renderlo un'ombra rispetto a quello degli anni ruggenti, cioè dal 1996 in poi, quando non vi era praticamente un ettaro di meleti o pescheti che non venisse trattato in pre-fioritura senza che peraltro si parlasse di Colony collapse disorder delle api, tema esploso solo nel 2007.
Del resto, imidacloprid aveva a sua volta sancito la morte nei disciplinari peschicoli di due pilastri della fitoiatria come acephate e metamidofos, applicati come aficidi a caduta petali. Peccato che pochi anni dopo iniziò a rifarsi vedere Anarsia lineatella, la cui generazione svernante veniva controllata appunto dai due esteri fosforici, mentre imidacloprid risultava verso di essa assolutamente inefficace. Così, si finì in certi campi a dover applicare contro Anarsia due o tre insetticidi in più d'estate, inclusi esteri come azinfos metile.
Perché le coperte sono sempre troppo corte: se si tira da una parte, se ne scopre un'altra.
Proprio in tal senso, le molecole sopravvissute al fuoco sacro dei bandi europei sono state poi ulteriormente limitate, purtroppo, anche da disciplinari di varia natura, come pure su di esse ha esercitato ulteriore pressione il Pan.
Esteri fosforici: specie in via di estinzione
Tra le famiglie chimiche più massacrate compare quella degli esteri fosforici.Sicuramente queste molecole avevano e hanno tutta una serie di criticità, ed effettuare una selezione poteva sembrare cosa saggia negli anni addietro. Ma selezione non vuol dire estinzione, come invece di fatto sta avvenendo. E v'è da dire purtroppo: da almeno una ventina di molecole comunemente impiegate, oggi ne sono ormai rimaste davvero poche, tra quelle che sono già sparite e quelle ormai nel braccio della morte.
Sono infatti un lontano ricordo i succitati acefate e metamidofos, ma nel girone delle "molecole cattive" sono finiti, solo per citarne alcuni fra i tanti: parathion, fenitrotion, clorfenvinfos, quinalfos, cadusafos, fosalone, azinfos, fenthion, eptenofos, metidathion, phorate, terbufos, tetraclorvinfos, diazinone e più di recente sono stati condannati al futuro oblio anche etoprofos, dimetoato, malathion (era da poco ritornato sulle scene) e infine clorpirifos etile. Non che i "cugini" carbammati se la siano passata meglio, finendo anche loro quasi tutti all'indice, con metiocarb ingiustamente accusato pure di aver causato stragi di api in Friuli.
Se quindi l'uso degli insetticidi in generale è circa dimezzato in Italia dal 2000 a oggi (dati Istat), la presenza di esteri fosforici nei programmi di difesa è stata ridotta praticamente all'osso. Non sempre però le molecole nuove stanno del tutto a proprio agio se non accompagnate da solidi veterani, magari meno gentili, più ruvidi, ma certamente più risolutivi.
E così adesso il comparto agricolo si sta accorgendo che, se gli levano anche le ultime molecole "toste" rimaste, saranno guai seri per tutti o quasi. V'è infatti da chiedersi, per esempio, come faranno molti olivicoltori in futuro, in annate favorevoli alla mosca, a proteggere le proprie drupe perdendo un citotropico altamente efficace come dimetoato, talmente idrofilo da non causare problemi di residui nell'olio, peraltro. Tutto si può fare, o quasi. Dicono. Quindi in qualche modo si farà anche senza dimetoato.
Ma tra ottenere risultati pieni e "fare in qualche modo" corre una discreta differenza.
Ed ecco che ora anche il clorpirifos metile, fratello minore di clorpirifos etile, rischia grosso, patendo di rimbalzo della pessima reputazione che grava sulle spalle del fratellone, dato ormai per spacciato.
Grandi le preoccupazioni soprattutto nel comparto frutticolo, data l'utilità di clorpirifos metile nei confronti di diversi parassiti. Ma, come detto, molto viva sta diventando anche l'apprensione dei viticoltori di uva da tavola, i quali vedono avvicinarsi al Sud la cimice asiatica e stanno già pensando a cosa utilizzare per contrastare anche questo di parassita, come se già non bastassero tripidi e tignole.
A fronte di ciò, la valutazione di clorpirifos metile non andrebbe quindi sviluppata come fosse una molecola qualunque della famiglia, perché la famiglia quasi non c'è più. Proprio come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie, le diverse molecole sono state cancellate una ad una. Quindi i pochi rappresentanti rimasti dovrebbero essere guardati con la stessa apprensione con cui si guarda a una specie in via di estinzione. La loro utilità marginale è infatti cresciuta a dismisura, perché morti loro, appunto, non resterebbe più nessuno.
Ci si sarebbe augurati quindi che le posizioni palesate dai produttori italiani, e in generale mediterranei, avessero la meglio sulle pressioni esercitate come spesso accade dai Paesi centro-settentrionali della Ue. Quelli ove di solito i problemi fitosanitari appaiono ben minori e diversi rispetto ai nostri. Difficilmente a un danese o a un tedesco importerà infatti dei danni che l'agricoltura italiana subirebbe - perché li subirebbe - a seguito dell'esclusione di clorpirifos metile a livello continentale.
Un punto sul quale, se proprio si vuole applicare un fiero nazionalismo, sarebbe giunto il momento di agire in modo deciso.
Invece, nella riunione svoltasi la settimana scorsa fra i Paesi membri, i pareri a sostegno di clorpirifos metile sono giunti da Grecia e Portogallo, mentre la Spagna ha preso tempo, astenendosi sul momento. Dall'Italia nulla: assente alla riunione, fra lo stupore generale di chi contava invece su una posizione a difesa. A vincere sono stati quindi i voti di tutti gli altri, quelli che di solito vengono additati come nemici del Belpaese, quando invece sono semplicemente presenti quando vi è da decidere qualcosa di importante.
E quindi vincono.
Ora i prossimi appuntamenti sono al 31 ottobre, per Efsa, e al 6 novembre, quando la palla tornerà per l'ultima volta ai rappresentanti degli Stati membri dell'Unione. Sarà l'ultimo appello possibile per salvare la molecola. Altrimenti a gennaio potremo dirle addio, non arrivederci. Sperando che almeno in tali occasioni l'Italia sia presente e, soprattutto, si opponga al bando motivando adeguatamente i perché.
Che sono tanti.
Si comprende bene che tale posizione attirerebbe su chi la prende ogni possibile strale ambientalista. Ma qui si sta ormai avvicinando sempre più il bivio fra assecondare una metamorfosi, a tratti condivisibile, o sancire la frana definitiva di ciò che resta della fitoiatria che ha difeso le colture per decenni, senza che peraltro nessuno abbia davvero stimato le potenzialità delle poche alternative "ecologiche" spacciate spesso come sufficienti anche in caso restassero da sole a fronteggiare tutte le avversità, attuali e future.
Un'ipotesi che si teme possa essere foriera solo di pessimi risvegli in un futuro nemmeno tanto lontano.
Gestire, non abolire
Chi scrive sono almeno vent'anni che sollecita i decisori pubblici a gestire le molecole più attempate secondo una logica di razionale riduzione e di oculato impiego in campo, anziché seguire la traccia del bando totale senza ritorno. Perché a trovare soluzioni efficaci le multinazionali ci stanno mettendo sempre più tempo e stanno faticando sempre più a registrare nuovi prodotti che siano meno battagliati mediaticamente di quelli passati.Non a caso, anche grandi compagnie si stanno spostando su soluzioni microbiologiche, assecondando un mercato sempre più chemofobico. Poi, come detto, quando queste soluzioni dovessero restare sole a fronteggiare i parassiti e i patogeni, forse si capirà che anche tale scelta potrebbe rivelarsi miope e deleteria sul lungo periodo.
Continuare a decapitare l'uso di prodotti sicuramente efficaci, in nome di una supposta maggior sostenibilità delle pratiche agricole, può infatti sortire come risultato quello di rendere le suddette pratiche insostenibili dal punto di vista agronomico ed economico.
Una lezione che quando verrà finalmente imparata (forse) sarà troppo tardi per rimediare.
Perché a bandire ci vuole un attimo, a rimpiazzare ci vogliono molti anni. E viste le nuove sfide della fitoiatria attuale e futura, tale divario temporale rischia di divenire letale per un'agricoltura come quella italiana, tutt'altro che in salute per una molteplicità di motivi.