Da qualche tempo le coltivazioni agricole non alimentari sono sotto accusa. Il capo di imputazione principale è l'ipotetica responsabilità dell'aumento dei prezzi dei cereali e quindi dell'aggravarsi del problema della fame nel mondo.
In realtà le cose non stanno così. In primo luogo da circa un trentennio le riserve di grano di tutto il mondo si sono ridotte al minimo e a questa riduzione corrisponde una ingente e imprevista (modifica delle abitudini alimentari) richiesta di grano da parte di Cina, India e Nordafrica. In secondo luogo esiste una enorme sproporzione fra offerta e domanda di grano, ulteriormente aggravata dai cambiamenti climatici. Già nel 2007 le avverse condizioni meteorologiche hanno condizionato i raccolti che già superavano di poco quelli del 2006 e comunque insufficienti a ripianare le riserve e contemporaneamente a far fronte alla maggiore richiesta di paesi emergenti tradizionalmente non consumatori di cereali. Se a queste cause si aggiunge anche la cauta e speculativa attesa dei paesi tradizionalmente esportatori nell'autorizzare la vendita del grano prodotto, il quadro delle responsabilità risulta decisamente più chiaro. Andrebbe anche aggiunto che fino ad oggi il maggiore sviluppo di culture bioenergetiche si verifica in Paesi dove le superfici utilizzabili sono ingenti e possono tranquillamente permettere la convivenza delle colture alimentari con quelle energetiche. Come esempio di questa possibile convivenza si può prendere il Brasile con i suoi tre milioni di Km quadrati di terra coltivabile, di cui solo un quinto è attualmente coltivato e di cui solo il 4% produce etanolo, ma alle medesime conclusioni si potrebbe giungere per gli Stati Uniti, la Cina l'Ucraina, l'Australia e l'Argentina. E' quindi necessario attribuire ai biocarburanti le effettive responsabilità che essi hanno nell'ascesa dei prezzi dei prodotti alimentari e del pane in particolare, ma vanno anche ricordate le più rilevanti concause che determinano la crisi, anche perché insistere molto sulle responsabilità dei biocarburanti potrebbe effettivamente portare ad una riduzione delle superfici dedicate alle agroenergie. Il risultato poco entusiasmante sarebbe che i popoli ricchi continuerebbero ad andare in auto alimentate a benzina e quindi ad inquinare e quelli poveri ad avere fame perchè anche eliminando la produzione di biocarburanti il prezzo del pane continuerebbe a salire.