In questo articolo sulla pseudoscienza dei no biogas sono già stati disaminati alcuni dei fantomatici rischi per la salute pubblica, ma ogniqualvolta che viene proposto il progetto di un nuovo impianto di biogas si accendono le proteste popolari.

 

Nelle reti sociali, i gruppi no biogas rimandano talvolta al position paper dell'Isde, l'International Society of Doctors for Environment, argomentando "prove" che non ho disaminato nei miei articoli precedenti.

 

Non me ne vogliate, ma dovrebbe essere evidente per chiunque che disaminare uno ad uno gli argomenti contenuti nei 115 riferimenti bibliografici del citato documento va molto oltre le finalità divulgative di questa colonna. Ci sarebbe da scrivere un libro... Forse lo farò in un futuro non molto lontano, ma per ora mi limiterò a rispondere ai quesiti di un lettore che mi ha contattato privatamente.


Il primo quesito riguarda l'ipotetica pericolosità delle fughe di biogas. Secondo gli oppositori, il biogas sarebbe velenoso perché contiene idrogeno solforato (H2S). Il position paper dell'Isde cita come "prova" uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Repubblica Ceca (1). Analizzando in dettaglio il contenuto, il paper in questione si riferisce al calcolo del rischio di rilascio del biogas in caso di rottura del telo di copertura e analizza tale fattore per i diversi tipi di coperture. Nulla da dire sulla metodologia di calcolo, che è semplicemente un'analisi della probabilità di tale evento, comune a qualsiasi valutazione di rischio in ambienti industriali.

 

L'affermazione che il biogas sia pericoloso perché contiene H2S è però assurda e basata su una fallacia logica, risultante dal seguente sillogismo:

  • la concentrazione di H2S nel biogas può arrivare a 6mila-15mila parti per milione. Forse non è vero. Di certo l'autore non ha mai visto un impianto con tale concentrazione di H2S nei suoi 15 anni di attività professionale in questo settore. I ricercatori cechi, come spesso accade nelle pubblicazioni scientifiche, parlano per sentito dire, citano un caso particolare recuperato dalla "letteratura" e non verificabile (potrebbe trattarsi di un semplice errore tipografico, in quanto 600-1500 parti per milione è un range di concentrazione normalissimo per un impianto di biogas correttamente progettato e gestito). In genere, gli impianti di biogas sono dotati di sistemi di desolforazione che mantengono il tenore di H2S nel biogas a livelli minori di mille parti per milione;
  • concentrazioni di mille-2mila parti per milione sono tossiche per il sistema respiratorio. Vero, ma tale tossicità si manifesta in caso di inalazione per rilascio accidentale dell'H2S (puro) nell'aria.

Perfino ammettendo che la prima ipotesi sia vera, la fallacia logica sta nel fatto che il pericolo di inalazione di H2S, derivante da perdite accidentali, è limitato a pochissimi settori industriali: industria petrolchimica, produzione di acqua pesante, produzione industriale di zolfo col processo Claus. Tali processi avvengono in ambienti confinati dove l'eventuale fuga di H2S non si dissipa facilmente perché è un gas più pesante dell'aria, il che lo rende ancora più pericoloso.


Nel caso ipotetico di rilascio accidentale del biogas per rottura della cupola di contenimento, fenomeno che avverrebbe all'aperto, il biogas si diffonderebbe uniformemente in tutte le direzioni, perché la sua densità è vicina a quella dell'aria.

Dimostrazione: densità dell'aria in condizioni normali = 1,225 chili al metro cubo; densità di un ipotetico biogas avente 55% di CH4, 44% di CO2 e 1% di H2S nelle stesse condizioni, calcolabile per stechiometria: 0,55 x 0,707 + 0,44 x 1,977 + 0,01 x 1,43 = 1,273 chili al metro cubo). Poiché il volume di una semisfera aumenta col cubo del suo raggio, già a pochi metri di distanza dal punto di rottura del telo, il biogas sarebbe talmente diluito nell'aria da non costituire più un pericolo. Una rottura sufficientemente grande da provocare il rilascio di tutto il biogas lo diffonderebbe nell'aria circostante in pochi minuti, per cui al momento dell'arrivo della squadra di manutenzione l'H2S sarebbe ridotto a poche tracce appena percettibili. Dall'altro canto, è fisicamente impossibile che una persona inali biogas puro, così da venire intossicata dall'H2S.


Il secondo quesito riguarda l'affermazione contenuta nel position paper:

"Dal punto di vista microbiologico, la digestione anaerobica (Da) non è sempre in grado di rimuovere efficacemente germi patogeni presenti nelle frazioni organiche in ingresso all'impianto, compresi i clostridi. Una recente indagine sugli impianti di Da di tipo Wet (ad umido) ha dimostrato che questi non inattivano efficacemente i Firmicutes sporigeni. È stato rilevato che rischi particolarmente alti per i consumatori finali possono derivare dalla presenza di Klebsiella e Salmonella, rendendo indispensabili ulteriori trattamenti".


Per quanto riguarda la presenza di clostridi, va detto che gli unici patogeni eventualmente rilevanti sono il Clostridium botulinum ed il Clostridium tetani. Il primo è pericoloso solo nel caso in cui si consumano alimenti infetti tenuti per lungo tempo a temperature moderate, come purtroppo è successo in un recente caso di cronaca. Fatto che, per inciso, riguardava la scarsa igiene del furgoncino di street food e non ha avuto alcuna correlazione con alcun impianto di biogas.

 

Sulla fantomatica contaminazione degli alimenti imputabile alla vicinanza con impianti di biogas ho già pubblicato uno studio completo in un'altra sede (2), a cui rimando il lettore desideroso di approfondire.


Il C. tetani è ubiquitario: si trova ovunque nel terreno, nei nostri intestini e quelli degli animali, a prescindere della presenza o meno di impianti di biogas nelle vicinanze. L'unico modo in cui può risultare pericoloso è in caso di ferite che vengano a contatto con la terra o morsi di animali, e si previene facilmente con la vaccinazione.


Per quanto riguarda i Firmicutes sporigeni, questi si trovano nell'intestino degli animali e umani, quindi nel letame, a prescindere che questo venga inviato al digestore o no. Si inattivano sia con la digestione anaerobica termofila che con l'esposizione all'aria (3).


Il digestato non è di certo un materiale asettico, ma la sua pericolosità microbiologica è stata abbastanza esagerata nella letteratura scientifica, in particolare quella extra europea. La migliore prova che possiamo opporre alle affermazioni degli ideologi no biogas è uno studio congiunto delle Ausl di Bologna e Imola (4). Prendendo atto che i papers su presunti rischi epidemiologici degli impianti di biogas thailandesi o di altri paesi extraeuropei non siano applicabili alla realtà italiana, il comitato scientifico incaricato della redazione dello studio si è focalizzato sull'unico studio disponibile all'epoca, condotto in Piemonte. Contrariamente a quanto afferma il position paper dell'Isde, lo studio piemontese dimostra che le concentrazioni di E. coli, enterobatteri ed enterococchi nel digestato sono minori che nel letame e liquami crudi. In particolare, risultano molto più basse nel digestato liquido stagionato.

Ricordiamo ai difensori delle posizioni no biogas che in Italia è obbligatorio lo stoccaggio del digestato per 120 giorni, per cui gli impianti di biogas contribuiscono effettivamente ad abbattere il carico batterico delle deiezioni zootecniche e garantire una maggiore sicurezza nel loro utilizzo agronomico.

 

Lo studio piemontese riporta inoltre che (citazione testuale): "Per quanto riguarda i batteri patogeni, in nessun campione è stato trovato Escherichia coli O157:H7 e Yersinia. La salmonella è stata trovata raramente (8%) e la Listeria monocitogenes in molti campioni (25% dei campioni) del digestato come si evince dalla tabella 8. Questi risultati evidenziano che la qualità igienico sanitaria del digestato è per quasi tutti i parametri superiore al letame bovino tal quale".


Nel 2013, l'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale dell'Emilia Romagna (Arpa) ha realizzato una campagna di indagine finalizzata alla caratterizzazione chimico fisica e microbiologica condotta su 5 impianti di biogas, selezionati tra i 17 controllati all'epoca, in relazione ai diversi materiali di alimentazione e alla loro rappresentatività numerica nella realtà bolognese.

 

Riportiamo testualmente i risultati dell'indagine pubblicati nello studio già citato: "Si è trattato di un monitoraggio conoscitivo in quanto ad oggi non esistono limiti di riferimento né a livello nazionale né regionale. In carenza di specifica normativa, per analogia con l'utilizzo agronomico a cui il digestato è destinato, si è scelto di riferirsi alle normative nazionali e regionali vigenti che regolamentano l'utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura. I dati ottenuti, da Arpa hanno indicato per tutti i parametri chimico fisici indagati, ivi compresi i così detti "microinquinanti organici" tra cui Pcb, Ipa, diossine e furani, valori ampiamente al di sotto dei limiti fissati dalle normative prese a riferimento; in molti campioni, i parametri presentavano concentrazioni inferiori ai limiti della rivelabilità strumentale. In relazione alla valutazione dei risultati microbiologici, analizzando le caratteristiche dei 5 impianti indagati, si è potuto osservare che si differenziano, in particolare, per la fase di trattamento termico termofilo o mesofilo. Sulla base di queste considerazioni, si rileva come effettivamente nei 2 impianti sui 5 campionati che prevedono una fase di trattamento termofila, entrambi i microrganismi ricercati Salmonella e Escherichia coli, sono risultati assenti".


Nei campioni di digestato prelevati presso impianti caratterizzati da un processo di digestione anaerobica in regime di mesofilia, sono state riscontrate concentrazioni minime di Salmonella e di Escherichia coli. Inoltre, nonostante l'esiguità dei dati disponibili, che non consentono valutazioni di tipo statistico, sembra confermata l'importanza di Escherichia coli, come microrganismo indice di presenza di eventuali patogeni enterici, tra cui Salmonella. A conferma dei dati di bibliografia anche in questa indagine sembrerebbe confermare che il trattamento termico termofilo permette una maggiore riduzione dei microrganismi rispetto al trattamento mesofilo.


Ubi maior minor cessat

Di fronte a dati obiettivi, ricavati direttamente da impianti di biogas italiani e analizzati da un corposo comitato scientifico appartenente ad un'autorità sanitaria, ci auguriamo che perfino i complottisti più accaniti smettano di negare l'evidenza: il rischio per la salute pubblica che presenta un impianto di biogas è pressoché inesistente. Il rispetto delle normative attuali - stoccaggio del digestato per 120 giorno prima dello spandimento - garantisce una maggiore sicurezza rispetto all'utilizzo agronomico diretto delle deiezioni zootecniche.

 

Bibliografia

(1) Trávnícek, P., Kotek, L., Koutný, T., Vítez, T. "Quantitative Risk Assessment of Biogas Plant – Determination of Assumptions and Estimation of Selected Top Event", Periodica Polytechnica Chemical Engineering, 63(3), pp. 397–405, 2019 https://www.semanticscholar.org/reader/c31e6865b1020913a38069610f3605cb6581ca8d.
(2) Rosato, M.A.; Botulismo e rifiuti: esiste davvero un nesso? Ingegno Ambientale, anno 14, n.1, maggio 2014 https://www.ingegneriambientali.it/docs/docs_bacheca/IngegnoAmbientale1-2014.pdf pag. 4 – 7.
(3) Jessica Subirats, Hannah Sharpe, Edward Topp, Fate of Clostridia and other spore-forming Firmicute bacteria during feedstock anaerobic digestion and aerobic composting, Journal of Environmental Management, Volume 309, 2022, 114643, ISSN 0301-4797, https://doi.org/10.1016/j.jenvman.2022.114643.
(4) Dipartimento di Sanità Pubblica di Bologna, Dipartimento di Sanità Pubblica di Imola, Arpa Sezione Provinciale di Bologna, Progetto Biogas - Protocollo operativo di vigilanza e controllo sugli impianti a Biogas alimentati a biomasse della Provincia di Bologna, Dic. 2014, https://www.ausl.imola.bo.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/c%252Fa%252F6%252FD.b5f694971de05e2f7657/P/BLOB%3AID%3D7464.