Dove sta andando l'agroalimentare italiano? In un mercato mondiale caratterizzato da grandi tensioni, il nostro sistema pare regga bene: ma bisogna tenere la guardia molto alta. Questo noi lo abbiamo capito la scorsa mattina, al IX Forum Agrifood Monitor, organizzato da Nomisma e Crif a Bologna.
Lo scenario macroeconomico mondiale è inquietante, con un calo globale del Pil (ma saremo in ripresa nel 2026) e l'Italia sotto la media euro. In Italia, le vendite alimentari rimangono in costante calo e, quindi, l'export prende un ulteriore peso strategico.
Deo gratia, l'export agroalimentare sta crescendo: da gennaio a settembre si è registrato un +5,7% nel mondo e un +4% nei Paesi extra Ue. Le maggiori crescite si sono registrate nell'Ue, in particolare nei Paesi dell'Est (Polonia in testa).
I dazi negli Usa hanno cominciato a farsi sentire a partire dal mese di agosto: qui sarà fondamentale la strategia dei singoli esportatori, che dovranno cercare di non scaricare sul consumatore i costi daziari. In teoria, i margini ci sono: un kg di parmigiano negli Usa costa 55 dollari e la catena del valore del vino porta 10 euro italiani a 45 dollari Usa.
In questo scenario prendono ovviamente valore gli accordi di libero scambio, che però - attenzione - non è detto che siano salvifici: l'export in Giappone, per esempio, nei primi nove mesi dell'anno è sceso del 12,7%.
Quindi: guardia alta e attenzione ai boomerang.






























