Produrre cibo in modo più sostenibile è possibile? La domanda non è delle più semplici, ma Roberta Sonnino, docente di Sistemi alimentari sostenibili all'Università del Surrey nel Regno Unito, ha provato a dare una risposta.
Innanzitutto è bene partire da uno dato: il sistema alimentare globale, che tecnicamente viene chiamato convenzionale, produce un terzo delle emissioni di gas serra ed è responsabile della perdita di risorse naturali (Ipcc 2022). "È un sistema fondamentalmente basato sulla logica della massimizzazione del profitto - ha affermato la docente - quindi dello sfruttamento delle risorse naturali per cercare continuamente di ampliare tutte le varie fasi della filiera alimentare".
Gli impatti del sistema alimentare convenzionale
(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)
Certo, è anche il sistema che ha reso il cibo accessibile a tutti e che ha abbassato il suo prezzo, ma "come cittadini e come consumatori dobbiamo sempre ricordarci che il cibo a basso prezzo ha spessissimo dei costi sociali e ambientali altissimi" e oggi questo sistema non è più sostenibile. Con la pandemia da covid-19 abbiamo visto che non è nemmeno un sistema resiliente, anzi è un sistema di enorme fragilità e vulnerabilità. E lo continuiamo a vedere ogni giorno con i conflitti geopolitici in corso e i cambiamenti climatici.
Oggi però sembra che piano piano le cose stiano cambiando e grazie anche alle politiche europee, in primis alla strategia Farm to Fork che è parte del Green Deal, la necessità della trasformazione del sistema alimentare è scritta a penna sull'agenda politica.
Ma come fare? Da dove partire? "Lo sforzo fondamentale che dobbiamo fare tutti insieme come politici, ricercatori e cittadini è quello di cominciare a pensare al cibo come sistema e creare delle relazioni più eque". La fame nel mondo e la malnutrizione non sono mai dei problemi isolati, ma sono sempre dei sintomi di problemi socio ecologici soggiacenti che possono andare dalla povertà alle guerre, dal cambiamento climatico alla scarsità di acqua. Ecco quindi che non si può intervenire sul cibo in maniera isolata, "bisogna cercare di sviluppare quella che noi chiamiamo una prospettiva sistemica", spiega Roberta Sonnino.
La rivoluzione del cibo a partire dalle città
Ma come si passa dalle parole ai fatti? A tal proposito le città del mondo ci stanno facendo scuola e "ci stanno dando delle lezioni importantissime su cosa possiamo e dobbiamo fare per migliorare la situazione del sistema alimentare".
Sì, avete letto bene, proprio le città con i loro abitanti, "perché è nei contesti urbani che si vive in maniera quasi quotidiana il dramma del sistema alimentare globale". Basta pensare per esempio alle concentrazioni di fast food che si vedono nelle città più grandi, oppure al fenomeno dei cosiddetti deserti alimentari, cioè quei quartieri, anche in città italiane, dove per riuscire a trovare un negozio con frutta e verdura fresche bisogna camminare anche per tre o quattro chilometri. Nelle città quindi i problemi diventano visibili e di conseguenza si reagisce.
Andando più sul concreto, la docente, nel corso del convegno "La rivoluzione del cibo. Un altro sistema alimentare è possibile" che si è svolto lo scorso 18 maggio in occasione del Food&Science Festival 2024 di Mantova, ha illustrato quelle che sono le quattro grandi innovazioni che le città di tutto il mondo hanno introdotto nel sistema alimentare:
- Applicazione pratica dell'approccio sistemico.
- Governance alimentare partecipata: coinvolgimento di tutti gli attori nella governance alimentare per parlare insieme dei problemi e cercare di trovare delle soluzioni condivise.
- Nuovo localismo: superamento della separazione urbano rurale. Le città stanno cioè cercando di sviluppare dei legami di solidarietà tra di loro e tra loro e la campagna.
- Network urbani: nuove forme di alleanza tra città impegnate a trasformare il proprio sistema alimentare. Alcuni di questi network sono globali, altri nazionali, ma ne esistono alcuni che sono regionali e locali.
L'approccio sistemico: esempi virtuosi
Questa prima innovazione non è altro che la tendenza a strutturare le politiche alimentari urbane intorno alle connessioni del cibo con diversi contesti sociali, settori e sistemi. In tre parole si chiama integrazione politica alimentare. Si guarda cioè al cibo come bene comune e multifunzionale e lo si collega a tutta una serie di altri contesti come l'abitazione, i trasporti, l'ambiente, la politica, eccetera. Spesso le città oggi hanno degli assessori dedicati proprio al cibo che hanno il compito per esempio di interfacciarsi con i rappresentanti di altri settori quando si progetta la costruzione di un nuovo quartiere per far sì che nel progetto si tenga conto del fatto che i futuri abitanti di quel quartiere possano accedere facilmente al cibo e a prodotti di qualità.
Focus sull'approccio sistemico: come si applica nella pratica
(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)
Tra gli esempi virtuosi la Lettonia e il Portogallo. Nel primo caso siamo a Riga, dove il clima estremamente freddo rende difficile la coltivazione di frutta e verdura, ecco quindi che i gas prodotti dai rifiuti alimentari in discarica vengono utilizzati per riscaldare le serre dove vengono coltivati soprattutto i pomodori. Un bell'esempio di economia circolare che è diventato anche punto di iniziative di educazione alimentare, non mancano infatti le gite delle scolaresche per vedere dal vivo come si coltivano gli ortaggi.
Nel secondo caso invece siamo a Cascais, nella periferia di Lisbona, dove il comune ha dato la possibilità agli abitanti di coltivare gratuitamente degli orti e di farlo seguendo pratiche agricole biologiche e rigenerative grazie ai consigli di appositi tecnici. I prodotti coltivati sono destinati alle relative famiglie ma anche ad associazioni di beneficenza. Ma questi orti sono anche spazi di inclusione, integrazione e aggregazione sociale.
Governance alimentare partecipata: tutti all'appello!
Per Roberta Sonnino è questa la più grande novità che hanno portato le città, ovvero il fatto di dare ai cittadini la possibilità di parlare, di confrontarsi, di segnalare problemi e di trovare soluzioni. "Io credo fermamente - ha affermato - che per trasformare il sistema alimentare il sapere scientifico da solo non basti, noi studiosi abbiamo bisogno delle competenze di tutti. Dobbiamo imparare delle esperienze dei comuni cittadini". La partecipazione quindi di tutti per avere nuove forme di alleanza tra scienza, società e politica.
Ma in che modo le città hanno dato ai cittadini questa possibilità di partecipare alla vita politica? Attraverso i Food Policy Council, il primo dei quali è stato istituito negli Anni Novanta a Toronto, in Canada, mentre in Europa il primo esempio risale al 2003 a Bristol, nel Regno Unito. In Italia invece la docente ha ricordato i casi di Bergamo e di Roma.
Un'altra novità è la governance alimentare partecipata
(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)
Nuovo localismo, quel rapporto tra città e campagna
Qui si cerca di superare quell'idea della "città come centro del consumo di massa e della campagna come centro di produzione agricola che deve rifornire la città per i suoi consumi di massa", spiega subito Roberta Sonnino. Si cerca quindi di andare a rafforzare le relazioni ambientali e socio economiche tra aree urbane e rurali.
Un esempio di questo nuovo localismo è a Barcellona, dove è stato realizzato un parco agricolo per fermare l'urbanizzazione e salvaguardare quindi il paesaggio naturale e agricolo circostante. "Nel parco, ben tenuto e curato, ci sono anche itinerari salutistici per persone di una certa età, ci sono frutteti che chiamano ricreativi per i bambini, e, cosa molto interessante, c'è una governance del parco che coinvolge direttamente tutti quelli che se ne prendono cura, quindi una governance partecipata".
Berlino ha invece lanciato da poco la sua strategia alimentare che punta a riconnettere la città con la campagna attraverso il consumo di prodotti stagionali e biologici del territorio.
Network urbani, gli esempi italiani
C'è una condivisione di queste azioni cittadine, non sono sforzi isolati: le città stanno cercando anche insieme di fare la differenza creando quelli che Roberta Sonnino ha chiamato "spazi di convergenza dove possano nascere nuove visioni e nuovi approcci al cibo".
Tra gli esempi italiani ci sono la Rete Italiana Politiche Locali del Cibo, "una rete che comprende circa seicento accademici, ricercatori, amministratori, attivisti, tutti dedicati alle politiche locali urbane sul cibo" e la Piana del Cibo: cinque comuni della Piana di Lucca che gestiscono insieme una politica alimentare partecipata volta a incoraggiare rapporti diretti tra produttori e consumatori e a garantire il diritto al cibo per tutti i cittadini.
Cibo come bene comune: serve uno sforzo collettivo
Dunque, le città stanno giocando un ruolo molto importante "facendo leva sul potenziale multifunzionale del cibo come bene comune e creando nuovi spazi di solidarietà" ha concluso Roberta Sonnino. Ma è necessario uno sforzo collettivo: anche la politica, il settore pubblico, quello privato, la ricerca e in generale la società civile devono fare la loro parte.
Quell'intreccio tra ricerca pubblica e privata
Nel corso del Festival promosso da Confagricoltura Mantova si è continuato a parlare tanto di sostenibilità e di ricerca grazie anche all'incontro tra il Crea e Syngenta. Protagonista, appunto, la ricerca, nello specifico il rapporto tra ricerca pubblica e privata.
Presenti al convegno "Ricerca pubblica e privata: un intreccio sempre più indissolubile", dello scorso 18 maggio, Camilla Corsi, responsabile mondiale della ricerca Crop Protection di Syngenta, e Alessandra Pesce, dirigente di ricerca presso il Crea.
Il rapporto tra ricerca pubblica e privata spiegato dalle voci dei protagonisti
(Fonte foto: Giulia Romualdi - AgroNotizie®)
Quello tra ricerca pubblica e privata "è un rapporto molto importante perché abbiamo sempre bisogno di confrontarci con i leader mondiali della ricerca che sono per esempio nella ricerca pubblica. Per cui da sempre abbiamo avuto una collaborazione molto vicina e cerchiamo ogni giorno un tipo di collaborazione che porta a dei risvolti positivi sia al pubblico che al privato. Oggi il team di ricerca e sviluppo di Syngenta può vantare un rapporto con più di cinquecento tra imprese, istituzioni e istituti di ricerca in tutto il mondo" ci ha spiegato a margine dell'incontro Camilla Corsi.
A farle eco Alessandra Pesce, che ha affermato fin da subito quanto sia necessaria questa collaborazione.
Una collaborazione necessaria che guarda anche alla sostenibilità, altro grande tema che accomuna il pubblico e il privato quando fanno ricerca.
"Il tema della sostenibilità - ha spiegato nel corso dell'incontro Alessandra Pesce - è entrato con prepotenza in tutte le attività che noi portiamo avanti. Fortunatamente è entrato con prepotenza e ha questa visione di medio lungo periodo e di miglioramento dell'utilizzo di tutte le risorse naturali. Questa è una cosa positiva soprattutto per le nuove generazioni. Tentare di ridurre l'azione antropica, su questo siamo assolutamente allineati".
"Se nel passato abbiamo guardato a una sostenibilità che era una sostenibilità economica per esempio per una certa filiera, una sostenibilità ambientale o per il suolo o per l'acqua per la protezione di una biodiversità, oggi con l'avvento di nuove tecnologie, tecnologie informatiche, intelligenza artificiale, possiamo veramente iniziare a guardare tutto questo in modo globale, pensare a fare tutto questo insieme e non ogni volta guardare solo un criterio. Continuiamo - ci ha raccontato Camilla Corsi - a portare nuove tecnologie che hanno meno residui, meno impatto, possiamo applicare questa tecnologia sul terreno in modo molto più preciso e veramente riuscire a capire quali sono le necessità di un agricoltore e del suo campo. Sarà un'agricoltura ancora più vicina a quelle che sono le necessità dell'agricoltore".
Il prossimo passo per il futuro quindi è sempre più innovazione.