Il mercato mondiale delle piante officinali vede una previsione di crescita a un tasso medio annuo dell'11%, fino al 2028. Nel 2022 valeva, a livello mondiale, 201 miliardi di dollari e di questi circa 90,5 in Europa, poco meno della metà del valore mondiale.
"Il core del mercato è in Europa, le prospettive sono interessanti", sono parole del professore Giovanni Dinelli del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (Distal) dell'Università di Bologna. Il professore Dinelli infatti è stato fra i protagonisti di una delle tavole rotonde più interessanti che si sono tenute durante Macfrut 2024, nell'ambito del Salone Spices & Herbs Global Expo. Titolo del convegno dedicato ovviamente alle piante officinali: "Produttori e acquirenti: i nuovi patti di filiera". La tavola rotonda ha visto protagonisti, oltre all'Università di Bologna, per un inquadramento economico del settore, anche diversi operatori italiani, sia lato domanda, sia lato offerta.
Il settore delle erbe officinali si sta strutturando in Italia in maniera più organizzata anche grazie al Testo Unico in Materia di Coltivazione, Raccolta e Prima Trasformazione delle Piante Officinali (n. 75/2018) che ha riordinato la normativa e chiarito che l'imprenditore agricolo può coltivarle e raccoglierle ed eseguire la prima trasformazione senza necessità di autorizzazioni.
Piante officinali, diamo i numeri
Nonostante il quadro normativo si stia delineando, l'Italia è ancora un piccolo operatore economico del settore. Secondo i dati presentati dal professore Giovanni Dinelli, ma che potrebbero essere lacunosi per una mancanza di statistiche sistematiche, il valore del contributo italiano al mercato si aggira sui 0,235 miliardi, e cioè lo 0,2% del mercato europeo e lo 0,1% del mercato mondiale. La produzione italiana è di 4mila tonnellate di materia prima secca su 350mila tonnellate prodotte in Europa. La superficie italiana stimata in coltivazione è fra i 7 e i 9mila ettari, mentre i produttori per cinquecento/settecento aziende coinvolte.
In Italia chi produce erbe officinali si può far rientrare in tre grandi categorie: aziende grandi che fanno parte dell'agroindustria, coltivano centinaia di ettari e lavorano con meccanizzazione adeguata per raggiungere determinati standard di prodotto. Queste aziende consegnano in base a contratti di coltivazione un prodotto che non è trasformato; c'è poi la filiera corta, aziende con superficie variabile che arrivano fino alla seconda trasformazione delle erbe officinali e che si occupano di tutto, compreso il marketing; fra le realtà produttive ci sono anche le aziende multifunzionali, piccole aziende bio a orientamento misto, con una grande varietà di prodotti diversi, poco meccanizzate, spesso con impianti di prima trasformazione e che si dedicano alla vendita diretta.
Quali dunque i potenziali punti di forza e di debolezza per un futuro sviluppo del mercato delle erbe officinali made in Italy? Li ha individuati sempre il professore Giovanni Dinelli. I fattori del successo: l'Italia ha condizioni climatiche uniche e c'è la possibilità di coltivare più di centoventi specie di officinali, c'è ricchezza varietale e il made in Italy mantiene un vantaggio competitivo. D'altra parte il costo della manodopera è alto, c'è necessità di investire molto e non si fa molta ricerca nell'ambito piante officinali. Da tenere presenti poi le minacce del cambiamento climatico, la necessità di formazione e competenze.
Incontro tra domanda e offerta, si può fare
Per quanto riguarda il tema dell'incontro domanda/offerta, quindi della possibilità che si strutturi una filiera, durante il convegno sono stati presentati casi interessanti.
Uno di questi è quello di Epo, azienda storica a gestione familiare che produce estratti vegetali per il settore farmaceutico ed alimentare. A raccontare come lavorano assieme alle aziende agricole c'era Raffaella Gatti, direttore Ufficio Acquisti dell'azienda italiana. "Fino a qualche anno fa - ha raccontato Raffaella Gatti - i fornitori erano considerati qualcuno da cui si acquistava, oggi questo concetto sta cambiando, c'è un'evoluzione nel mondo della produzione, anche un po' spinta dalle necessità dei clienti. Oggi i fornitori sono partner perché quello che vogliamo creare è una filiera controllata, non solo per i fornitori europei ma anche per quelli esteri, anche extra Ue. Con le aziende agricole abbiamo instaurato un rapporto di collaborazione che prevede anche analisi fin dalla semina e ci siamo poi resi disponibili alla caratterizzazione delle piante durante la fase di crescita. Abbiamo un Polo analitico di ricerca e sviluppo. In collaborazione con l'Università degli Studi di Milano Bicocca, da una decina d'anni, sottoponiamo ad analisi del Dna le materie prime in modo da essere certi di identificare correttamente le specie".
Epo ha da qualche anno quindi instaurato rapporti stabili con le aziende agricole che forniscono la materia prima per i loro prodotti.
Piante officinali: creare una filiera
Sempre la logica della creazione di una filiera che potesse dare respiro al settore e anche al territorio ha mosso l'Alsia Basilicata, ente strumentale della regione per la ricerca e il trasferimento delle innovazioni in agricoltura. L'Alsia negli ultimi dieci anni ha collaborato con le aziende agricole e con aziende di trasformazione e commercializzazione proprio per fare incontrare domanda e offerta. Un esperimento che sembra aver funzionato se è vero che da pochi ettari di piante coltivate si è arrivati, secondo i dati recentissimi presentati da Domenico Cerbino (Alsia Basilicata) a 210. La coltivazione riguarda moltissime specie: dal basilico al carciofo, dalla salvia alla lavanda al timo, dall'origano all'anice. Ad essere coinvolta soprattutto la zona del Pollino.
"Collaborando con un'azienda locale, la Evra Italia che produce estratti vegetali, siamo riusciti a mettere insieme i produttori. Abbiamo creato un accordo di filiera con contratti di coltivazione in modo che gli agricoltori sanno qual è la specie che serve, i prezzi indicativi a seconda della qualità, le modalità di coltivazione. È una filiera certificata all'origine e un modello molto interessante". Chi ha bisogno delle piante coltivate in Basilicata non è però solo Evra Italia, c'è anche la filiera dell'Amaro Lucano.
Alsia, per stimolare il territorio, ha aiutato le aziende agricole con formazione specifica e si è dotata di macchinari per supportare le aziende più piccole. Dopo l'approvazione del Decreto 26 maggio 2022 che ha dato la possibilità al settore di avere registri delle varietà di specie officinali, l'Alsia è al lavoro per dare identità alle piante della Basilicata. "Stiamo lavorando - ha raccontato ancora Cerbino - per recuperare del materiale spontaneo e utilizzarlo per la caratterizzazione. L'attività prevede una serie di campi catalogo, il lavoro di caratterizzazione porterà presto all'iscrizione di alcune specie, dopo i controlli fitosanitari, nell'Anagrafe nazionale".
Piante officinali, l'esperienza della Basilicata