La minaccia è gandhiana, dal sapore pacifico: gli agricoltori indiani incroceranno le braccia per tutto il tempo necessario ad ottenere le misure per migliorare redditi che sono sempre più schiacciati verso il basso.

 

Non solo in Europa, dunque, ma anche in India, e da oltre un mese, le proteste degli agricoltori sono sfociate dapprima in manifestazioni contro il Governo guidato dal premier Narendra Modi, con il tentativo di assedio della capitale Nuova Delhi, poi in una sorta di resistenza passiva, che potrebbe causare problemi nel normale calendario di semine e raccolti.

 

Gli agricoltori hanno puntato sulla marcia su Nuova Delhi memori dei risultati ottenuti nel corso delle precedenti proteste del 2020 e del 2021, quando vi furono addirittura accampamenti di agricoltori nella capitale indiana per oltre un anno. All'epoca le proteste contadine si concentravano contro una riforma agraria annunciata dal Governo Modi e che, secondo gli agricoltori, avrebbe provocato una ulteriore recessione dei redditi, come conseguenza di una spinta radicale alla liberalizzazione del settore. Non da ultimo, una spinta decisiva a protestare proveniva dal rischio di perdere sussidi e prezzi garantiti.

 

Questa volta il Governo ha preferito arginare l'assedio, con barricate e attacchi di gas lacrimogeni, in modo da fermare i manifestanti e la lunghissima colonna di trattori a più di 200 chilometri dalla capitale dell'India.

 

Il malessere potrebbe avere delle ripercussioni sulle imminenti elezioni nazionali, dal momento che, come ricordato nei giorni scorsi da The Economist, "due terzi degli indiani dipendono dall'agricoltura per il proprio sostentamento, e i coltivatori possono condizionare i risultati delle elezioni" previste per il prossimo maggio.

 

Secondo gli analisti, le richieste per un sostegno generale dei prezzi non sarebbero realistiche. Eppure, come spiegato dall'economista agricolo Ashok Gulati al Financial Times, "il Governo deve ripulire il mercato, in modo che gli agricoltori possano ottenere un prezzo giusto", magari pianificando interventi a sostegno dell'export, per agevolare gli investimenti nelle campagne e per sostenere i redditi, senza distorcere il mercato.

 

Dal lato governativo, il primo ministro Narendra Modi ha dichiarato che non intende soddisfare le richieste portate avanti con questa nuova protesta perché, secondo alcuni analisti, farebbero aumentare i prezzi di ventitré colture di almeno il 25%, col rischio di mettere in crisi le filiere e, soprattutto, i consumi.

 

Intanto, sul fronte dell'export, tra aprile e dicembre del 2023 la frutta fresca è diventata un prodotto di spicco nel paniere indiano delle esportazioni agricole, registrando una solida crescita del 29% e raggiungendo 111 Paesi, sviluppando un giro d'affari superiore ai 100 milioni di euro. Anche le verdure fresche e lavorate hanno segnato un incremento delle vendite fuori dai confini nazionali nell'ordine del 24%, grazie al miglioramento della catena del freddo e di conservazione dei prodotti, aspetti cruciali per allungare la shelf life dei prodotti.

 

Accanto alla frutta, il riso Basmati è una delle principali voci di export dell'agricoltura indiana. Iran, Iraq, Arabia Saudita, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti rappresentano le cinque maggiori destinazioni.

 

Le potenzialità di crescita dell'agricoltura indiana sono enormi, ma i passi in avanti sono lenti e, senza una redditività soddisfacente per gli agricoltori, molti dei quali chiamati a gestire aziende di piccole dimensioni, gli investimenti latitano e l'insicurezza spinge i contadini a protestare.