L'agricoltura italiana - pure colpita da una crisi che per tre anni consecutivi ne taglia il valore aggiunto - mantiene una propensione agli investimenti maggiore che negli altri settori produttivi, mentre l'agroalimentare, nonostante la crisi post covid-19 e la guerra in Ucraina, continua a confermarsi elemento trainante dell'economia Italiana.
Sono alcune delle evidenze del Rapporto Ismea sull'Agroalimentare italiano, presentato nel pomeriggio di ieri, 17 ottobre 2023, a Palazzo Merulana, alla presenza del ministro dell'Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida e che ha visto confrontarsi sui temi dell'inflazione, dei rapporti nella filiera e della competitività internazionale esperti, esponenti della comunità scientifica e presidenti delle principali sigle associative dell'intera filiera, dalla parte agricola (Alleanza Cooperative Italiane, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri) alla trasformazione industriale (Federalimentare) alla distribuzione (Confcommercio, Ferderdistribuzione, Fipe, Italmercati) e del Commercio Estero (Ice).
Ha introdotto i lavori Fabrizio Del Bravo, coordinatore gruppo di lavoro Rapporto Ismea Agroalimentare che ha stilato il rapporto. E ha sottolineato come eventi quali la guerra in Ucraina e la crisi economica indotta dal conflitto sul versante dei costi di produzione, la siccità in Canada, gli effetti dei cambiamenti meteoclimatici abbiano provocato una rottura delle catene internazionali della formazione del valore e loro conseguente riorganizzazione. In questo quadro vanno letti i risultati del rapporto.
I prezzi, i consumi e l'inflazione
Antonella Finizia di Ismea ha affrontato il tema dell'aumento dei prezzi. Nonostante la svolta restrittiva delle politiche monetarie delle banche centrali e la dinamica salariale moderata, l'inflazione in Italia rimane elevata (+5,3% su settembre 2022 secondo le stime preliminari dell'Istat, in lieve flessione su base mensile) ed emergono segnali di difficoltà del sistema economico, in uno scenario geopolitico dove si moltiplicano i fattori di instabilità e incertezza.
L'agroalimentare è stato tra i settori più colpiti e uno dei principali centri di trasmissione degli aumenti dei prezzi in Italia, a causa del suo ruolo nell'economia e della sua dipendenza dall'estero per prodotti energetici, materie prime e beni intermedi che lo rendono particolarmente vulnerabile alle tensioni su mercati internazionali. Ciononostante, la dinamica dei prezzi dei prodotti alimentari è risultata inferiore a quella media registrata nell'Ue e in Germania e Spagna.
Più nel dettaglio nel 2022, il contributo dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari all'inflazione è stato significativo. La crescita media dei prezzi (misurata dall'indice Istat per i prodotti alimentari, bevande e tabacco, armonizzato per i confronti europei) ha raggiunto l'8,1%, ma è stata più contenuta di quella media dell'Ue (10,2%) e dell'Eurozona (9%).
Meglio di noi ha fatto la Francia, che grazie al suo maggior grado di autosufficienza, alimentare ed energetica, ha subìto di meno gli aumenti dei prezzi internazionali ed è riuscita a contenere gli incrementi degli alimentari a un +6%.
Diverso il caso delle utenze domestiche, che in Italia sono cresciute nel 2022 di oltre il 35%, quasi il doppio della media Ue (+18%), due volte quelle della Germania e più del triplo della Francia.
Nella prima metà del 2023, nonostante il raffreddamento dei listini internazionali dell'energia e delle materie prime, l'inflazione per i prodotti alimentari nel carrello della spesa ha continuato a salire, raggiungendo in Italia il suo picco a marzo (+12%), ma evidenziando, anche in questo caso, una dinamica inferiore a quella registrata a livello comunitario. A questo proposito, tuttavia, va ricordato che in Italia il reddito pro capite resta inferiore alla media Ue, con un divario che si è progressivamente ampliato nell'ultimo decennio.
L'effetto combinato dell'inflazione e della bassa crescita dei redditi - specie quelli da lavoro dipendente - ha eroso il potere d'acquisto e il tasso di risparmio delle famiglie, con forti squilibri sul piano distributivo: il tasso d'inflazione subìto dalle famiglie più fragili è risultato più alto rispetto a quello delle famiglie benestanti (12,1% vs 7,2%), per effetto della diversa incidenza e della diversa composizione della spesa alimentare.
L'impatto sugli acquisti alimentari domestici è stato significativo, con volumi in riduzione (-3,7% nel 2022 secondo Istat), scontrini in aumento (+5%) e una ricomposizione del carrello guidata dalle esigenze di risparmio e dagli effetti dell'aumento della spesa incomprimibile per l'abitazione sul budget disponibile per l'alimentazione.
Tuttavia, pur in presenza dei consueti effetti asimmetrici dell'inflazione, l'analisi della trasmissione dei prezzi lungo la filiera agroalimentare effettuata da Ismea non ha evidenziato fenomeni speculativi su larga scala a carico di nessuna delle fasi. La filiera è stata in grado di mantenere sotto controllo le variazioni dei prezzi, rallentando e diluendo nel tempo gli incrementi a valle. Se infatti gli shock al rialzo dei prezzi degli input si sono ripercossi in tempo reale sui costi dell'agricoltura e, a seguire, sui costi dell'industria di trasformazione, il trasferimento alla distribuzione e al consumo finale è avvenuto con maggior gradualità, sia per l'impossibilità dell'industria di ritoccare tempestivamente i contratti in essere con la Gdo, sia per evitare eccessive e repentine contrazioni della spesa delle famiglie.
Giordano Zevi di Banca d'Italia ha discusso l'intervento di Finizia, sottolineando come il ritorno dell'inflazione, dopo anni di prezzi tendenzialmente stabili, ha colto un po' tutti di sorpresa. Inediti per altro gli episodi che hanno indotto aumenti dei prezzi, diversi di anno in anno: "Si è passati dalla crisi di scarsità delle penne rigate sugli scaffali dei supermercati del covid-19 a quella dell'olio di semi della guerra in Ucraina" ha detto Zevi, sottolineando come l'inflazione alimentare contribuisce per un terzo all'inflazione totale.
La produzione agricola e l'industria alimentare
Maria Nucera di Ismea ha sintetizzato la parte del rapporto che parla del peso dell'Italia sulla produzione agricola dell'Ue: è pari complessivamente al 14%, ma sale al 37% per il vino, dove è secondo solo a quello della Francia (43%), e al 33% per l'olio d'oliva, dove segue il 48% della Spagna. Anche per la frutta, con il 18% della produzione dell'Ue, l'Italia fronteggia la forte concorrenza della Spagna, che ne copre il 28%. Ma soprattutto l'Italia conferma la sua vocazione alle attività secondarie e ai servizi in agricoltura, che insieme rappresentano il 18% della produzione agricola nazionale e che ribadiscono la sua leadership in Europa sul fronte della diversificazione e multifunzionalità del settore agricolo. L'agricoltura italiana è in serie negativa: nel 2021 e nel 2022 il valore aggiunto del settore è infatti calato ed il 2023 non si annuncia certo come un anno caratterizzato da elementi di ripresa.
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Oltre agli effetti del clima, pesano sull'agricoltura italiana alcune debolezze strutturali, quali la scarsa presenza di giovani imprenditori (solo il 9%, contro il 12% della media Ue) e il correlato basso livello di formazione di chi guida la maggioranza delle aziende agricole; persiste, inoltre, la frammentazione del tessuto produttivo, nonostante l'aumento della superficie agricola aziendale occorsa nell'ultimo decennio, che segnala la presenza di un lento processo di concentrazione e riorganizzazione. Anche l'accesso alla terra si conferma un punto dolente per l'agricoltura italiana, principalmente a causa della scarsa disponibilità di terra che porta i valori fondiari ad essere in media quasi sei volte superiori quelli della Francia e due volte quelli della Spagna.
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Dal lato dell'industria alimentare, l'Italia si posiziona al terzo posto nella graduatoria dei Paesi Ue, ma con un trend migliore rispetto ai principali partner. Il nostro Paese, che copre circa il 12% del valore aggiunto totale dopo la Germania e la Francia ma sopra alla Spagna, è il primo incontrastato nell'industria pastaria, (oltre il 73% del fatturato dell'Ue) e con un ruolo di rilievo nel vino (28%), prodotti da forno e biscotti (21%), nonché negli ortofrutticoli trasformati, nell'industria del caffè, del tè e delle tisane e nell'industria molitoria e del riso, con un peso analogo, pari al 17% del fatturato europeo.
Analizzando l'insieme dei settori della produzione agricola e della trasformazione industriale, nel 2022 il valore aggiunto della filiera agroalimentare è arrivato a 64 miliardi di euro: 37,4 miliardi generati dal settore agricolo e 26,7 miliardi dall'industria alimentare. In questa configurazione "ristretta", il comparto rappresenta il 3,7% del valore aggiunto dell'intera economia italiana; inglobando le fasi a valle della produzione alimentare, ossia distribuzione e ristorazione, si arriva al 7,7%, ma se si considerano anche i servizi e le attività necessari per far arrivare i prodotti dal campo alla tavola (trasporti, logistica, intermediazione), la stima del peso dell'agroalimentare sul Pil supera il 15,2%.
Gabriele Canali (Università Cattolica del Sacro Cuore) ha discusso l'esposizione di Nucera ricordando come la specializzazione produttiva dell'Italia è diversa da Francia e Spagna, il nostro sistema agricolo è molto capital intensive e labour intensive, molto più dei Paesi competitor. Dato strutturale: le nostre aziende agricole sono mediamente più piccole, ma stanno crescendo. Lavoro: il nostro agroalimentare utilizza in modo intensivo il lavoro, un aspetto rilevante, ma anche un'evoluzione strutturale e positiva in atto: perché aumentando le dimensioni aziendali anche con gli affitti, il 50% dei terreni aziendali lo è, aumentano le assunzioni di lavoratori dipendenti. All'interno delle filiere l'agricoltore ha migliorato la sua ragione di scambio in questi anni con gli aumenti dei prezzi di cessione. Ma il valore aggiunto è diminuito per il calo produttivo e i prezzi, migliori degli anni passati, non riguardano tutti i settori. Anzi, la volatilità dei prezzi è tra i fattori negativi del mercato, insieme a quelli climatici.
L'agroalimentare italiano e i mercati esteri
Linda Fioriti di Ismea ha affrontato gli aspetti internazionali. Nell'ultimo decennio la competitività dell'agroalimentare italiano sui mercati esteri è in aumento: le nostre esportazioni sono cresciute al ritmo del 7,6% all'anno, ben maggiore di quello delle esportazioni mondiali (+5,6%), con una quota di mercato che passa dal 2,8% del 2012 al 3,4% nel 2022. Lo share dell'agroalimentare made in Italy sui mercati internazionali è uguale a quello della Spagna, anch'essa contraddistinta da uno spiccato dinamismo dell'export, mentre è inferiore alle quote di Germania e Francia (rispettivamente del 4,8% e 4,3% nel 2022), che tuttavia si sono ridotte nel decennio. Il peso dell'export tricolore sulle spedizioni comunitarie si attesta al 10%, al pari di quello spagnolo, più contenuto di quello francese e tedesco. Ma in generale, e presso la quasi totalità dei principali Paesi acquirenti, l'Italia ha migliorato il suo posizionamento competitivo.
Nel triennio più recente, tra il 2019 e il 2022, le esportazioni agroalimentari italiane sono aumentate del 34%, superando il record di 60 miliardi di euro nel 2022 e, nello stesso periodo, le importazioni sono cresciute del 37%. La bilancia commerciale agroalimentare è migliorata nel triennio, con il saldo in attivo nel 2020 e nel 2021; mentre nel 2022 si è consolidato il surplus per i trasformati, ma è aumentato contemporaneamente il deficit della fase agricola, facendo tornare in negativo - sia pur di poco - il saldo complessivo. Nel confronto con i partner europei, il settore agroalimentare tedesco è quello che mostra il maggior livello d'integrazione commerciale internazionale, grazie anche alla forte presenza all'estero, specie in Europa, della sua distribuzione alimentare; la Francia, al contrario, è il Paese più orientato al proprio mercato interno.
La Francia - a parte i vini - è specializzata principalmente nell'esportazione di materie prime agricole, mentre Italia e Germania in quella di prodotti trasformati.
L'Italia è leader mondiale nell'export di trasformati di pomodoro, pasta, vino, formaggi; la Spagna si focalizza su ortofrutta, olio d'oliva e carni suine. Nel complesso, considerando i primi 20 prodotti esportati da ciascun Paese, l'Italia è seconda solo alla Francia in termini di prezzo medio, che segnala un alto livello di qualità delle esportazioni, mentre Germania e Spagna, caratterizzate da valori medi unitari inferiori, tendono ad esercitare una concorrenza di prezzo.
Luca Salvatici (Università di Roma 3) nel discutere l'esposizione della Fioriti ha sottolineato che non ci possono essere esportazioni senza importazioni, ma le importazioni rappresentano un input, beni essenziali per le imprese, perché c'è bisogno di diversi contributi per il prodotto finale. Molto importante la tutela delle denominazioni di origine. Ma l'autosufficienza alimentare è una illusione pericolosa. In questo quadro di instabilità, il commercio internazionale dovrà trovare nuovi equilibri.
Le prospettive
Maria Chiara Zaganelli, direttrice generale Ismea, ha concluso la fase espositiva del rapporto sottolineando che in senso stretto il 3,7% del Pil è rappresentato dall'agroalimentare con ben 64 miliardi. Ma si arriva a 15% con servizi, logistica e ristorazione.
Zaganelli ha ancora ricordato come agricoltura e industria di trasformazione sono forti di 800mila imprese, un milione e 380mila occupati e con oltre 60 miliardi di esportazioni agroalimentari pari al 10% dell'export italiano.
Ma le previsioni negative sull'economia mondiale recentemente espresse dall'Ocse, a causa dei conflitti in atto ed altri fattori internazionali potrebbero comportare ulteriori aumenti dei prezzi prodotti energetici, che sono poi il punto di debolezza dell'economia italiana e del sistema agroalimentare. Sulle migliorate ragioni di scambio dell'agricoltura, ha puntualizzato infine come spesso "I prezzi di cessione dei beni scendono più velocemente dei costi in molti comparti".
Infine la Zaganelli ha valutato positivamente l'andamento delle esportazioni agroalimentari italiane cresciute tra il 2012 ed il 2022 del 7,6% all'anno mentre la propensione all'investimento dell'agricoltura è pari al 35% ed è maggiore del resto dell'economia.
Per Carlo Alberto Buttarelli (Federdistribuzione) la distribuzione italiana ha oggi una sua struttura radicata sul territorio, fatta di forti imprese regionali. La distribuzione ha ritardato l'arrivo dell'inflazione nelle tasche dei consumatori: "Siamo riusciti a gradualizzare grazie alla concorrenza reale esistente tra le nostre imprese. Abbiamo consentito con le private leable a molti consumatori di sopportare aumenti contenuti senza rinunciare alla qualità dei prodotti".
Massimiliano Giansanti (Confagricoltura) ha ricordato come in Italia si produce il 75% di quello che viene venduto e pertanto "Possiamo ancora crescere è questo lo spazio in cui l'agricoltura italiana può crescere in termini quantitativi, se il meteo lo permette. Poi ci sono gli aspetti geopolitici, che hanno comunque influenzato i prezzi. Sono un produttore di grano duro: siamo passati da 46 euro a quintale a 35 euro, si sono persi 240 milioni di euro in una sola seduta a Foggia. Oggi la Cina detiene il 54% delle scorte mondiale di beni primari, l'anno prossimo sarà il primo produttore di frumento tenero con una quota di mercato di 25%. La sfida sui mercati deve passare sulla costruzione di filiere forti in pasta, ortofrutta, vino, zootecnia. Abbiamo in questi quattro driver di sviluppo margini di miglioramento e così potremmo ancora crescere e accelerare".
Paolo Mascarino (Federalimentare) ha affermato: "Nei momenti di crisi si vedono i punti di forza e debolezza del settore. Siamo la terza nazione che esporta di più in termini di industria alimentare, la sfida è diventare i primi. Dobbiamo imparare dagli altri Paesi come vengono lì aiutate le imprese ad esportare di più. Gli Usa hanno una capacità di previsione strategica che altri non hanno. La Germania ha un sistema di accompagnamento delle imprese sui nuovi mercati che è un caso di studio. Dal Giappone possiamo imparare una migliore integrazione della logistica per abbassare i costi delle esportazioni".
Per Tommaso Battista (Copagri) il 2023 è un anno ancora più incerto anche per le spinte inflattive e con le famiglie che hanno ridotto i consumi. Le imprese agricole hanno dimostrato la loro resilienza. Ma i danni che le aziende agricole continuano a subire dagli eventi calamitosi impediscono una pianificazione a lungo termine. "AgriCat rappresenta un passo avanti - afferma Battista - anche se in Emilia Romagna è stato fatto solo un primo passo. Occorre fare altro: le compagnie assicurative devono avvicinarsi al mondo agricolo, perché le polizze non coprono tutte le nostre produzioni, oggi questo è un problema strutturale della nostra agricoltura".
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Battista ha apprezzato il Decreto Legge Siccità "Che ha previsto la sperimentazione in campo delle Tea per rendere le nostre produzioni più resistenti". Il presidente di Copagri per altro propone - per superare questo anno di incertezza - di individuare una strategia condivisa da tutti gli attori della filiera per aumentare l'aggregazione non solo tra gli agricoltori: "E sicuramente gli accordi di filiera e i contratti di filiera sarebbero un vantaggio per tutelare il reddito degli agricoltori, vista l'asimmetria all'interno della filiera. Perché la volatilità dei prezzi oggi rende il reddito degli agricoltori sempre più incerto".
Mauro Busoni (Confesercenti) ha ricordato come esista "una rete di piccoli commercianti, esercenti e ristoratori che sanno valorizzare i prodotti di qualità. La migliore piattaforma pubblicitaria è fatta dalla forza dei piccoli commercianti specializzati. Oggi rischiano di sparire i piccoli esercizi che sanno valorizzare la qualità delle produzioni di territori". E ha lanciato un appello al ministro per la loro valorizzazione e tutela.
Per Cristiano Fini (Cia) solo "Riuscendo a fare sistema si riesce anche ad incrementare le esportazioni, ma abbiamo sul piano produttivo un aumento dei costi dei mezzi tecnici e le calamità, legate ai cambiamenti climatici. Sono fattori che mettono a rischio alcune filiere, dal grano alla frutta". Pertanto "Servono strumenti emergenziali, ma occorre mettere in campo strumenti per mettere in grado le imprese agricole di continuare a produrre". Fini dice sì alle polizze antibrina come alle reti di protezione, a patto che sia raggiunto lo scopo di continuare a produrre. "Dobbiamo essere messi in condizione di avere piante più resistenti, ma deve arrivare una risposta definitiva sulle Tea entro la fine del mandato Ue".
Per Ettore Prandini (Coldiretti) è la stagione delle riforme, occorre avere meno mercati ma con maggiori servizi. "Occorre scegliere quali sono le strutture strategiche per sviluppare anche meglio l'internazionalizzazione. Va fatto lo stesso nel ciclo delle fiere, occorre valorizzare due o tre poli dove fare fiere internazionali per dare valore alle nostre filiere, cercando di evitare sovrapposizioni".
Prandini dà un affondo sulle riforme istituzionali: "in questo momento non è sufficiente il ruolo che Ismea ha avuto fino ad ora. Siamo stati scippati di tanti marchi della filiera agroalimentare, Ismea deve diventare la Cassa Depositi e Prestiti dell'agroalimentare italiano. Ismea sotto questo punto di vista può diventare importante sul fronte del credito".
Sull'internazionalizzazione carica: "Ho rispetto delle scelte che verranno fatte, ma il delegare l'internazionalizzazione alle regioni è un errore, qualcosa non ha funzionato. In altri Paesi che crescono più di noi le agenzie per l'internazionalizzazione sono nazionali. Chiediamo alle nostre istituzioni di riportare il tema dell'internazionalizzazione al centro della politica di sviluppo".
Per Francesco Lollobrigida, ministro dell'Agricoltura "Siamo in ritardo su tutto, sulle filiere. Siamo in ritardo sulla logistica. Trasporto ortofrutta in Spagna ha vantaggi dagli investimenti sul trasporto su ferro. L'utilizzo della portualità può essere importante, ma le autorità portuali non fanno sistema. Abbiamo 124 mercati, contro i 25 in Spagna, ovviamente un tale sistema è difficile da efficientare sul piano della logistica. Vanno inoltre resi trasparenti i costi e i valori di crescita dei prezzi. Italia resta il Paese che deve puntare sulla qualità delle proprie produzioni, e per questo ha bisogno di incrementare la ricerca per trovare soluzioni sempre più innovative con le Tea. Serve uno sforzo straordinario delle università e dei centri di ricerca per rendere più resilienti le nostre colture".
Ma il ministro ha anche ammesso che è necessario promuovere politiche di ricomposizione fondiaria, per rendere le imprese agricole più forti e competitive, oltre alla promozione dei prodotti e al potenziamento delle filiere.