Mestiere difficile quello dell'allevatore, come pure dell'agricoltore.

Molti rischi e poche soddisfazioni economiche. E dopo tanta fatica e impegno, il guadagno maggiore va alla parte finale della filiera, quella della distribuzione.

 

Prendiamo il caso, ma è solo uno dei tanti esempi, del prosciutto.

Si parte dagli allevamenti di riproduzione dove si producono suinetti che una volta svezzati passano (o sono venduti) ai reparti di ingrasso.

Ci resteranno mesi, sino alla fine dell'ingrasso, intorno ai 140 chili e oltre.

Poi toccherà alle imprese di macellazione, il cui compito sarà quello di "smontare" i suini.

Le cosce fresche passeranno di mano per andare ai prosciuttifici, dove resteranno, dopo la salagione, anche due anni o più.

Tutti i protagonisti di questi "passaggi", dunque allevatori, macellatori e stagionatori, in questo percorso mettono a disposizione le loro competenze e i loro capitali.

Milioni di euro Investiti per le stalle, per i macelli, i laboratori di sezionamento, i magazzini di stagionatura.

 

Chi decide i prezzi

Il prosciutto del nostro esempio, ma il percorso è analogo per i formaggi o per tanti altri prodotti di origine animale, è pronto per andare sul banco vendita di un negozio di prossimità o più spesso di una catena di distribuzione.

Non importa se intero e da affettare o se preaffettato in "vaschetta".

È in questo momento che assistiamo a una prima distorsione; il prezzo di acquisto del prodotto sarà fissato non dai produttori che lo hanno sin qui realizzato, ma da chi lo vende, che deciderà anche a che prezzo collocarlo al consumatore.

 

Catena del valore

Ne consegue che il guadagno maggiore (nel caso del prosciutto cotto il 51,6% del valore dell'intera filiera, secondo una recente analisi di Ismea) finisce nelle mani della distribuzione organizzata.

Ma non è alla parte finale della filiera che vanno addossate le cause (o le colpe…) di questo squilibrio.

 

Dal mondo agroalimentare giunge un'offerta molteplice, difforme e disorganizzata che bussa alle porte della grande distribuzione nella speranza di conquistare qualche centimetro di spazio sui banconi di vendita.

Per un produttore che rifiuta l'imposizione di prezzi da svendita altri cento sono pronti a prenderne il posto.

 

Frammentazione

Cooperazione, organizzazione dei produttori, norme contro la concorrenza sleale e le vendite sottocosto non hanno risolto un problema che ha radici profonde e che origina dalla frammentazione del mondo agricolo e dalla sua scarsa attitudine a spingere lo sguardo al di là dei confini aziendali.

Non si spiega altrimenti la dispersione in numerose sigle sindacali (a dispetto dell'egemonia di Coldiretti), l'innumerevole sequenza di associazioni, unioni e federazioni, spesso in competizione fra loro.

Nemmeno la cooperazione, che pure nel mondo agricolo vanta esempi virtuosi, è riuscita a modificare questo modello.

Le cause, forse irrisolvibili, risiedono nell'atavica contrapposizione fra ogni protagonista della filiera, nella convinzione che l'altrui debolezza si tramuti in un'opportunità per sé stessi.

 

Mercati instabili

Accade così, restando all'esempio del prosciutto citato all'inizio, che la crisi di mercato che spinge verso il basso il prezzo dei suini si trasformi in un vantaggio per il macellatore che quei suini deve acquistarli.

Come pure che una caduta del prezzo delle cosce fresche divenga un vantaggio per chi produce prosciutti e che quelle cosce deve comprarle.

 

È così da sempre, in un saliscendi di mercato fatto di crisi ricorrenti che si alternano a impennate dei prezzi.

Conseguenza a loro volta della spinta alla produzione nelle fasi di mercato positive che innescano la successiva crisi per eccesso di prodotto sui mercati.

È la semplice, banale e rigida regola della domanda e dell'offerta di ogni mercato privo di programmazione.

 

Cosa è cambiato

Evitare questo alternarsi di alti e bassi del mercato, dannoso per ogni segmento della filiera produttiva, richiederebbe un "governo" della produzione difficile da realizzare per via degli interessi contrastanti di ogni anello della filiera stessa.

 

Qualcosa però è cambiato negli ultimi tempi.

Crisi energetica, tensioni geopolitiche, cambiamenti climatici hanno modificato un equilibrio che pareva immutabile.

I prezzi di cereali, della carne e del latte sono saliti alle stelle, ma gli agricoltori non ne hanno beneficiato, impoveriti dall'aumento dei costi di produzione.

Situazione analoga, se non peggiore, nel resto della filiera, dove non è stato possibile alzare i prezzi finali perché deciso da altri, a loro volta timorosi per una caduta dei consumi.

 

Migliorare si può

Un pregio questa situazione lo ha avuto, confermare una volta di più che solo strategie comuni di filiera sono in grado di dare quella stabilità necessaria a progettare il futuro.

Sembra andare in questa direzione il recente accordo federativo fra mangimisti (Assalzoo), mugnai e molini (Italmopa) e mondo della carne (Assocarni) del quale ha già parlato anche AgroNotizie.

 

Un vero cambio di rotta? Purtroppo no.

Mancano componenti importanti, come agricoltori e allevatori.

Come pure è assente la rappresentanza di chi trasforma, dai panificatori agli stagionatori.

Ma è comunque un primo passo. Utile se ne seguiranno altri.