Il Crea, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria, nell'ambito del progetto Rete di Informazione Contabile Agricola Italiana (Rica) ha realizzato e pubblicato recentemente un'analisi campionaria su "Grano duro, costi di produzione, prezzi, margini e aiuti" basato sui dati acquisiti dalla Rica italiana nel quinquennio 2016-2020.

Da queste sessanta pagine - ricche di grafici e tabelle esplicativi - emerge innanzitutto un quadro ormai "storico" dell'andamento dei prezzi all'origine e dei costi colturali e di produzione del grano duro, ben lontano da quello attuale, maturato solo a partire dall'estate 2021 - sull'onda dell'impennata dei prezzi del grano duro, trainati dalla siccità in Canada e Usa, e poi dalla rincorsa dei costi di fertilizzanti e carburanti, esplosi prima per le situazioni di scarsità sul mercato delle materie prime, causate dei ripetuti lockdown indotti dall'epidemia di covid-19 e oggi rilanciati dalla guerra in Ucraina.

Pur tuttavia un'attenta ed approfondita lettura di questo studio è raccomandabile, poiché rivela e in alcuni casi conferma con i risultati dell'analisi statistica quali siano stati gli effetti reali sulla redditività delle aziende cerealicole della Pac e - seppur indirettamente - delle politiche nazionali attuate mediante i contratti di filiera, tutti effetti fino ad oggi solo ipotizzati sulla base di singole esperienze.

Infatti "Quantità prodotta e prezzi, che rappresentano i fattori che più di altri condizionano i margini economici della coltura, spesso risultano modesti, in alcuni casi nulli o negativi - è scritto nello studio -. Tuttavia, cresce il numero di aziende con risultati reddituali più elevati rispetto alla media delle aziende produttrici, soprattutto nelle realtà dove si vanno diffondendo i contratti di filiera, vantaggiosi non solo perché consentono di accedere al sostegno nazionale sulla produzione di qualità (circa 100 euro ad ettaro), ma anche perché garantiscono una maggiore stabilità del prezzo grazie alla loro durata triennale".

E ancora: "Per alcune tipologie aziendali invece è ancora il sostegno comunitario a rendere economicamente vantaggiosa la coltivazione del grano duro - è scritto ancora nel lavoro di ricerca. Il riferimento è soprattutto alle aziende medio piccole, che accusano costi medi di produzione più elevati, e alle aziende del Centro Sud, dove è più visibile e soprattutto concreto l'apporto dell'aiuto accoppiato.

Se ne deducono pertanto indirizzi utili per capire, con la Pac che cambierà dal 2023 in avanti, come bisognerà compensare la diminuzione degli aiuti diretti disaccoppiati: puntando probabilmente con la crescita di quelli accoppiati, specie se, come oggi molti opinino leader dicono, è giunta l'ora di rilanciare la sovranità alimentare a livello Paese e di Unione Europea. E calcolando che l'Italia da sola produce il 57% del grano duro dell'Unione Europea, a sua volta primo produttore mondiale di questo cereale, lo studio del Crea è un test importante e di valenza continentale per le politiche comunitarie relative allo specifico comparto del grano duro.


Il campione analizzato

Quasi il 60% delle aziende del campione analizzato (composto da 7.329 osservazioni nel periodo 2016-2019 e pari a circa il 18% del campione rilevato) ha una superficie inferiore ai 10 ettari, è ubicato in prevalenza in collina ed è caratterizzato da una dimensione economica media
Il numero di aziende in cui il grano duro rappresenta l'attività produttiva prevalente è molto limitato (17%). La metà delle aziende del campione si trova in cinque regioni (Marche, Puglia, Molise, Sicilia e Basilicata) ma, complessivamente, oltre il 94% si distribuisce in 12 regioni considerate vocate alla produzione di grano duro, incluse anche Piemonte, Lombardia e Veneto. Nella distribuzione per classe di produzione aziendale, quasi i due terzi delle aziende del campione si collocano nelle due fasce inferiori ai 300 quintali. La metà delle aziende analizzate afferisce agli ordinamenti specializzati nei seminativi e nella cerealicoltura, seguita dagli ordinamenti tecnici economici misto, erbivori ed ortofloricole.

I dati medi nazionali che seguono, pure estratti dal lavoro del Crea, sintetizzano l'estrema variabilità del campione - aziende di varie dimensioni posizionate in regioni diverse, con o senza aiuto accoppiato - e la tipologia di grano ottenuta. E poiché come noto i prezzi all'origine variano in funzione della qualità - mercantile, buono mercantile e fino - via via più elevati al crescere del tenore di proteine della granella, anche il prezzo medio è da intendersi riferito all'insieme di queste qualità di grano duro.

Dati più raffinati e disaggregati per regioni e classi di ampiezza aziendale sono contenuti nel Focus del Crea consultabile a questa pagina web.


Prezzi medi nel 2016-2020

Nel periodo in esame il prezzo medio, franco azienda, corrisposto all'agricoltore è stato di 24,80 euro per quintale di granella, con un trend in crescita, in particolare negli ultimi due anni analizzati (2019 e 2020) e leggermente superiore al dato rilevato nello stesso periodo dall'Osservatorio Nazionale dei Prezzi di Ismea (22,20 euro/quintale).

Incrementi sostenuti sono stati rilevati dall'Osservatorio nel corso della campagna agraria del 2020 (+19%) e soprattutto nel secondo semestre del 2021 (+80%).


Il valore della produzione

Il valore della produzione lorda unitaria della granella di grano duro è in media di 25,80 euro al quintale, inclusa la paglia venduta o reimpiegata in azienda, e le eventuali variazioni delle scorte di magazzino. L'andamento di questo indice è positivo anche negli anni in cui le rese sono diminuite.


Il costo complessivo di produzione

Il costo totale medio di produzione stimato per la granella è pari a 24,60 euro al quintale. È visibilmente inferiore, se pur di poco, al prezzo medio della granella osservato nel periodo. Pertanto, ai fini della redditività dell'azienda sono decisivi altri elementi: dalla vendita o riuso aziendale della paglia e la variazione delle scorte, che consentono un incremento del valore della produzione medio complessivo di ben 1 euro al quintale, agli aiuti comunitari, sia in forma diretta al reddito che accoppiata alla produzione, ove riconosciuti.


Margine lordo unitario

Il margine lordo unitario della granella, ovvero la differenza tra il prezzo di vendita unitario ed il costo variabile unitario che sono rispettivamente il ricavo ed il costo associati ad una variazione unitaria del volume di output, è in media nel periodo considerato pari a 14,22 euro/quintale e presenta un andamento positivo dal 2015 al 2019 (+23%).

L'aiuto accoppiato riconosciuto al grano duro, se si esclude il 2016, è di 2,44 euro per quintale di granella. L'89% delle aziende che ricadono nelle regioni vocate hanno beneficiato dell'aiuto accoppiato. Le aziende non beneficiarie dell'accoppiato hanno comunque beneficiato dei pagamenti diretti disaccoppiati.

"Dai dati disponibili emerge che l'aiuto accoppiato incide per il 9% sul margine lordo unitario comprensivo dello stesso aiuto" è scritto nello studio. "Gli aiuti erogati dal Fondo Nazionale per il Grano Duro non rientrano - invece - nell'analisi in quanto la rilevazione di questo sostegno non è stata uniforme per tutto il campione selezionato". Anche se dallo studio emerge più in generale una più elevata redditività delle aziende cerealicole situate in aree soggette a contratti di filiera legati ai premi del Fondo Nazionale.


I costi

Tutto questo a fronte di costi che si sono tenuti bassi nel periodo considerato e che in alcuni casi erano diminuiti. Le spese per l'acquisto o il reimpiego aziendale delle sementi ammonta mediamente a 3,30 euro per quintale di granella, pari a circa il 13,6% del costo totale e il 28,7% delle spese specifiche. Una certa variabilità in questa voce di costo la si osserva nelle aziende che fanno ricorso ai contoterzisti che forniscono sia il servizio di semina che la semente. L'entità di questa spesa è legata essenzialmente all'acquisto delle sementi certificate, reso obbligatorio nel caso in cui l'azienda che coltiva grano duro aderisce ai contratti di filiera.

La spesa per la concimazione del grano duro, comprensivo dell'eventuale reimpiego di letame, ammonta a 3,93 euro per quintale di granella, con una incidenza media del 16,4% sul costo totale e del 34,5% sulle spese specifiche. I concimi maggiormente utilizzati sono il binario distribuito alla semina e l'urea in fase di copertura, con un apporto di azoto ad ettaro che varia dai 50 ai 200 kg di elementi nutritivi. A partire dal 2016 questa spesa specifica è progressivamente diminuita, calo favorito dalla riduzione dei prezzi dei prodotti energetici, in particolare del gas metano utilizzato per la sintesi dell'urea.

Si stima invece un incremento nel 2021 dovuto all'inversione di tendenza dei prezzi dei concimi azotati, in fortissima crescita. La dose di azoto media nel periodo 2016-2019 è stata di 88,3 kg/ha, in crescita dal 2016 (81 kg/ha) al 2018 (108 kg/ha), in leggero calo nel 2019 (88 kg/ha).

Tra i costi specifici per la coltivazione del grano duro ci sono quelli dovuti alla difesa, pari in media a 1,24 euro per quintale di granella, cui si aggiungono 2,59 euro al quintale per il contoterzismo e altre spese per 0,46 euro al quintale. Complessivamente, i costi specifici raggiungono gli 11,68 euro al quintale e pesano sul costo totale per il 47,48%.

Infine seguono i costi per la meccanizzazione, 2,23 euro al quintale in media nel periodo considerato, ben 9 euro di costo del lavoro al quintale, con ampie differenze territoriali, e 1,70 euro al quintale di spese generali.