Coltivare piante su più livelli, in ambienti segregati, in cui tutti i fattori di crescita sono controllati e calibrati nel dettaglio per offrire alle piante le migliori condizioni di sviluppo. È questa l'idea del vertical farming, un settore che negli ultimi anni ha vissuto una vera esplosione.
Dagli Emirati Arabi fino agli Stati Uniti si moltiplicano le startup che hanno sviluppato prototipi di impianti produttivi. Ma sono poche quelle che davvero fanno business e hanno i conti in attivo. E su questo fronte l'Italia ha qualcosa da dire.
Il 16 dicembre scorso la startup Zero, di Pordenone, ha annunciato un ambizioso progetto per realizzare un impianto di produzione, denominato Future Farming District, a Capriolo, al centro del Parco dell'Oglio, in Lombardia.
Come spiegato da Daniele Modesto, ceo di Zero, sul piatto c'è un investimento complessivo di 100 milioni di euro che serviranno (in due step) a dare vita ad un polo produttivo in grado di sfornare 1.300 tonnellate di insalate, erbe aromatiche e microgreen all'anno. E in futuro potrebbero arrivare anche le fragole.
Si tratta di un progetto unico nel suo genere in Italia (ma anche all'estero) che promette di rendere "democratica" l'insalata di quarta gamma cresciuta in vertical farm. Un progetto con una visione industriale, che ha preso in considerazione tutti i fattori di rischio cercando una strada verso il successo.
Daniele Modesto, ceo di Zero
I quattro punti chiave del progetto Future Farming District
Non ci soffermeremo in questo articolo sui vantaggi e gli svantaggi del vertical farming; è interessante invece andare a vedere l'approccio adottato da Zero per risolvere alcuni dei problemi di questo nascente settore.
Energia
La prima voce di costo di una vertical farm è l'energia. Servono megawatt su megawatt di corrente elettrica per far funzionare l'impianto di aerazione, l'illuminazione, le pompe e tutto il sistema di crescita. Se si paga l'elettricità come una normale industria non si va lontani.
Zero ha risolto il problema portando la produzione in un'ex filanda di Capriolo (Brescia), presso la quale sono presenti degli impianti idroelettrici. Iseo Idro, proprietaria del complesso, ha deciso di salire a bordo del Future Farming District e in dote ha portato l'infrastruttura produttiva ed energia a buon mercato.
È interessante notare come un altro grande operatore, questa volta nel campo delle serre 4.0, Fri-El Green House, faccia parte di un gruppo che ha proprio come core business la produzione di energia da fonti rinnovabili. Più che la terra, in questo nuovo paradigma è l'energia il principale fattore di produzione.
Approccio modulare
Creare impianti modulari, in grado di potersi adattare alle richieste di mercato è un approccio vincente tipico della modernità. Addio grandi industrie con costi di gestione elevati, benvenuti impianti modulari in grado di produrre ciò che il consumatore vuole, dove lo vuole.
Da Capriolo Zero potrà fornire i suoi clienti in tutto il Nord Italia, ma anche in Svizzera, Germania o in Austria. Cresce la domanda? Si aggiungono moduli produttivi. E se si trova una nuova fonte energetica a basso costo si costruisce attorno un nuovo polo produttivo.
Tecnologia
Oggi realizzare una serra 4.0 in ferro vetro costa meno di 500 euro al m2. E il sole è gratis. Realizzare un m2 di vertical farm costa 2mila euro e ha elevati costi di gestione. O si abbassano i costi o non si sta sul mercato. Un nodo questo che i ricercatori di Zero (che produce in aeroponica) hanno detto di aver superato, efficientando al massimo i processi produttivi.
Accordo con la Gdo
Già oggi Zero è sul mercato con un suo brand. Ma per questo progetto ha deciso di agire diversamente. Grazie alla collaborazione con Gianantonio Tramet, fondatore di Tramite (società di intermediazione nel settore grande distribuzione), ha stretto degli accordi con le principali sigle della Gdo per fornire prodotti in private label.
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Un approccio nuovo e potenzialmente rischioso, in quanto se da un lato permette di penetrare il mercato velocemente dall'altro espone Zero alla forza contrattuale della Gdo. D'altro canto l'obiettivo è quello di industrializzare il processo produttivo, abbassando i costi di produzione che oggi sono alti e fanno delle insalate in vertical farming un prodotto di nicchia. Le insalate Zero vogliono essere invece un prodotto "popolare", venduto al prezzo di un buon biologico, come sottolineato da Modesto.