L'innovazione deve esprimersi per soddisfare dunque più obiettivi: incremento e qualità delle produzioni, sostenibilità ambientale, certificazione dei processi in campo e dei prodotti ottenuti, miglioramento delle tecniche e delle tecnologie. Tutto questo, come spiega il professor Gianluca Brunori, ordinario di Economia agraria all'Università di Pisa e presidente del Comitato consultivo sulla digitalizzazione in agricoltura dell'Accademia dei Georgofili, "attraverso un costante coordinamento con il mercato e riconfigurando di volta in volta il apporto fra uomo e macchina".
L'agricoltura del futuro sarà sempre più connessa, digitale, innovativa, scientifica. Ma il ruolo dell'uomo rimarrà comunque centrale e insostituibile.
Si evince dalla relazione di Marco Pasti, accademico e imprenditore agricolo del Nord Est con una vocazione maidicola oggi declinata attraverso l'agricoltura di precisione, la lettura delle mappe satellitari, la raccolta, l'elaborazione e l'interpretazione di big data. Il tutto accompagnato da miglioramenti di tecnica agronomica.
Coniugare produttività, sostenibilità ambientale ed economica non è semplice, anche per l'acuirsi negli ultimi anni di situazioni climatiche estreme, che provocano un aumento degli stress ai quali sono sottoposte le colture.
"Il miglioramento tecnologico - spiega Pasti - ci consente di non impattare negativamente sull'ambiente e la riprova arriva dagli Stati Uniti, dove l'aumento delle rese del mais non ha richiesto maggiori fertilizzazioni".
La sfida delle nuove tecnologie impone un'accelerazione, anche per contrastare il calo delle superfici che da alcuni anni ha ridotto notevolmente l'autosufficienza di mais in Italia (anche per questioni di aflatossine), bilanciato diametralmente da un incremento delle importazioni.
E se "provare e riprovare", come secoli fa sosteneva Galileo Galilei essere la strada da seguire per una sperimentazione empirica e scientifica, l'agricoltura di oggi è chiamata anche a certificare i prodotti e i processi in campo.
"Senza certificazione rimaniamo nel perimetro di un mercato selvaggio, senza regole", dichiara Sandro Liberatori, direttore di Enama, che si occupa anche di certificazioni in ambito di agricoltura digitale, in Italia come in Sudamerica e in altri Paesi.
"L'agricoltura digitale può aiutare molto verso la transizione etica e digitale e sarà uno strumento privilegiato per migliorare la qualità e indirizzare le produzioni verso una maggiore sostenibilità, con un miglioramento anche dei bilanci aziendali" sostiene Liberatori. "Già negli anni Settanta si prevedeva che un trattore guidato da remoto senza l'operatore potesse costare la metà".
L'agricoltura di precisione pone alcuni interrogativi. Ad esempio: di chi è la proprietà dei dati? "Servirà gestire molto attentamente gli aspetti legati alla proprietà del dato" incalza il direttore di Enama. "Pensiamo se tali informazioni fossero gestite da un fondo di investimento, che potrebbe così influire sull'andamento dei mercati".
Nessuna preclusione, invece, sulla declinazione degli strumenti e delle soluzioni da adottare. Macchine grandi? Robottini? Ultravioletti al posto dei fitofarmaci? Sensori per la gestione delle risorse idriche? Quello che è importante è adottare la giusta via per la migliore resa rispetto agli obiettivi prefissati e la certificazione, in tal senso, diventa una garanzia di fare la scelta più corretta.
La strada è quella tracciata dalla riforma della Politica agricola comune 2021-2027, che con un colpo di maquillage ha sì fatto sparire il "greening", a conti fatti poco incisivo nel coniugare produttività ed ecologia, ma lo ha ricompreso in un'architettura ancora più verde: gli ecoschemi, almeno sulla carta più semplici nel loro dedalo burocratico e, si spera, più efficaci nel perseguire quelle ambizioni ecologiche e ambientali che sono o dovrebbero essere una delle pieghe (e non una contrapposizione) dell'agricoltura che risponde con l'incremento delle produzioni alla crescita della popolazione mondiale.
"Gli ecoschemi rappresentano la nuova architettura verde, che fanno sì che la Pac si vada ad incardinare con il Green deal e con le visioni a lungo termine delle aree rurali", spiega Barbara Lazzaro, direttore Unità Agroambiente della Regione Veneto.
Sulla carta è perseguita una volontà di semplificazione auspicata da molto tempo dagli operatori. "La semplificazione è data dal fatto che la Commissione Europea non entra nel merito di come lo Stato membro può definire questo strumento, che può essere annuale o pluriennale".
È il principio di sussidiarietà, declinata attraverso i Piani strategici nazionali, che ogni Stato membro dovrà adottare (in Italia è iniziata la discussione, con diverse posizioni divergenti). "Lo Stato membro - prosegue - definisce tipologia, forma giuridica, limite dell'importo massimo, aspetti che nella riforma precedente erano tutti catalogati all'interno dei regolamenti delegati".
Anche i controlli sull'ecoschema non saranno duplicati. Ma attenzione: il livello ambientale della prossima Pac si è innalzato e gli ecoschemi sono uno degli strumenti accanto ai pagamenti agroclimaticoambientali e la condizionalità rafforzata. Ambiente e benessere animale saranno sempre di più al centro delle politiche comunitarie.
Fondamentale sarà il passaggio dall'agricoltura di precisione alla smart agriculture, sulla quale sta lavorando la Libera Università di Bolzano. "Rispetto a Industria 4.0, di cui l'agricoltura di precisione è stata anticipatrice, è venuta a mancare la rivoluzione informatica" racconta il professore Fabrizio Mazzetto, ingegnere agrario e docente all'Università di Bolzano. "Passi avanti ne sono stati fatti, ma le applicazioni complete di precision farming richiedono un cambio di paradigma nei sistemi di gestione aziendale per rispondere alle esigenze dell'agricoltura nel terzo millennio, che sono il miglioramento del management aziendale, l'adozione di approcci produttivi votati a criteri di sostenibilità ambientale, incrementare le condizioni di sicurezza nel lavoro e per gli operatori agricoli, la crescente esigenza di automazione, l'introduzione di forme di certificazioni di prodotto e di processo, con relative funzioni di tracciabilità".
Fondamentale sarà l'applicazione delle innovazioni allo scopo di usare le tecnologie informatiche e di raccolta dati da fonti multiple per assumere decisioni di attività produttive di campo. Dalla teoria, o meglio dai numeri, alla pratica, grazie ai dati e alle informazioni, che necessitano di sistemi di certificazione adeguati.
Gli studi applicati si stanno concentrando sulla robotica e il futuro potrebbe riservare scenari di "swarm farming, quegli sciami di robot in grado di interpretare il contesto, in base a logiche deduttive". E il passaggio successivo, ipotizzato appunto in una visione futuribile, è l'approdo alla logica induttiva, del ragionamento, una frontiera tecnologica che "segna il confine tra robotica, cioè lo studio e la realizzazione dei robot, ovvero meccanismi in grado di riprodurre combinazioni di azioni alimentari, e la cibernetica, vale a dire la riproducibilità su agenti artificiali del comportamento cognitivo degli esseri umani".
Il percorso dell'agricoltura del futuro passerà comunque attraverso gli agricoltori, che dovranno coniugare competenze agronomiche, economiche e informatiche. Scienza, innovazione e produzione saranno sempre meno concetti avulsi dall'agricoltura.
"La trasmissione di conoscenza avverrà attraverso reti di soggetti multipli - annuncia il professore Brunori - e diventeranno fondamentali gli enti certificatori, le cooperative che raccolgono i dati e non solo il prodotto, le cooperative di servizi, i nuovi strumenti di consulenza e ricerca. Anche l'uomo dovrà apprendere, in un percorso di continua configurazione fra uomo e macchina".
La sfida è quella di implementare la diffusione delle tecnologie digitali in agricoltura, coinvolgendo gli agricoltori e accelerando un processo che favorisce l'informazione e, di conseguenza, la produzione, la competitività, la resilienza delle imprese agricole e dell'agricoltura.