Se le api vanno a ruba
Accade in Lombardia come nelle Marche, in Friuli Venezia Giulia come in Piemonte o in Emilia-Romagna e in tante altre regioni italiane.Sono i furti di alveari che si stanno moltiplicando in questi ultimi mesi un po' ovunque.
Si tratta, come scrive Claudia Osmetti sulle pagine di "Libero" del 12 luglio, di un fenomeno in preoccupante crescita.
Secondo la Federazione degli apicoltori italiani, i furti riguardano almeno l'1,5% del patrimonio apistico nazionale.
Il danno, spiega l'articolo, non è soltanto di carattere economico ed è stimato in circa 7 milioni di euro all'anno che vengono persi. A questi si aggiungono infatti i danni sull'ambiente, perché vengono a mancare improvvisamente milioni di insetti impollinatori.
Un ulteriore rischio è quello di carattere sanitario, rappresentato dal pericolo di trasferire insieme agli alveari rubati anche eventuali patologie da una zona all'altra.
Il vino come l'oro
Chi l'avrebbe detto, la pandemia ha fatto schizzare verso l'alto le quotazioni dei vini più nobili, quelli da collezione o da investimento, già prima con prezzi alle stelle.In realtà questo mercato non si è mai fermato, nemmeno nei momenti più critici della crisi sanitaria.
Luisa Bianconi, wine specialist di Aste Bolaffi, interpellata da Giambattista Marchetto per le pagine de "Il Sole 24 Ore" del 13 luglio, conferma che il trend di mercato in questo segmento è in crescita come lo era prima del covid.
Oltre ai vini di Borgogna, che vantano il primato dei prezzi più elevati, sono ricercate anche le etichette italiane e in particolari quelle piemontesi.
I valori sono in crescita, sospinti anche dal maggiore ricorso agli acquisti online.
Le quotazioni, in particolare per i "gran cru" di Borgogna hanno però raggiunto livelli quasi inaccessibili e si assiste a un ritorno di fiamma per il più "economico" Bordeaux.
In pratica, conclude l'articolo, si tratta di prodotti con i quali imprenditori facoltosi intendono diversificare il portafoglio dei loro investimenti.
La corsa al verde
Si chiama "Fit for 55" ed è un importante pacchetto varato dalla Commissione europea con la sintesi di quanto occorre fare per arrivare al 2030 con un taglio del 55% delle emissioni.Il pacchetto include 13 direttive e toccherà un'infinità di settori, agricoltura compresa.
Un progetto ambizioso sostenuto da investimenti e sussidi, ma quel che non si dice è quanto costerà ai cittadini europei.
David Carretta, sulle pagine de "Il Foglio" del 14 luglio, tenta di farne un calcolo prendendo le mosse dai cambiamenti previsti sul fronte dei trasporti e della tassazione dell'energia.
Potrebbero poi giungere dazi climatici sulle importazioni di alcuni prodotti come acciaio, energia e anche fertilizzanti.
Gli effetti secondari dell'attesa transizione climatica potrebbero tradursi in un aumento generalizzato dei costi.
L'articolo si conclude con la preoccupazione per gli effetti che ne possono derivare sulle persone economicamente in difficoltà.
Nell'articolo non se ne fa cenno, ma c'è da interrogarsi anche sulle conseguenze che queste variazioni di costo potranno avere sui prezzi agricoli.
La forza delle Dop
L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti a denominazione di origine (Dop e Igp).Un segmento dell'agroalimentare che al valore intrinseco delle proprie produzioni (circa 17 miliardi di euro) può aggiungere il valore derivante dall'impiego dei prodotti Dop come ingredienti per la realizzazione di alimenti trasformati.
Un business quest'ultimo di grande interesse, come dimostrano i dati di una ricerca della fondazione Qualivita, commentati da Micaela Cappellini sulle pagine de "Il Sole 24 Ore" del 15 luglio.
Il giro di affari di questi prodotti trasformati supera il miliardo di euro una volta giunti sullo scaffale della distribuzione.
Per le Dop si trasforma in un extra incasso di 260 milioni di euro all'anno.
Non c'è solo l'aspetto economico da prendere in considerazione.
Grazie ai prodotti trasformati, si legge nell'articolo, il mondo delle produzioni a denominazione di origine possono raggiungere nuove fette di consumatori e ottenere così un effetto promozione grazie alle indicazioni riportate sulle etichette.
L'Italia è l'unico paese europeo ad aver previsto delle norme precise per questo segmento dei prodotti, mentre il quadro normativo europeo è ancora frammentato.
C'è una crescente attenzione del consumatore verso l'origine delle materie prime, si legge a conclusione dell'articolo, e il sodalizio fra produzioni a denominazione di origine e industria di trasformazione può accrescere la notorietà e la distribuzione delle nostre eccellenze agroalimentari.
Caro verde, quanto ci costi
La scommessa verde dell'Europa non sarà gratis e non sarà indolore.Scrive così Marta Dassù sulle pagine di "Repubblica" del 16 luglio, commentando la proposta appena presentata dalla Commissione europea, che prevede una riduzione delle emissioni inquinanti del 55% entro il 2030.
Il primo scoglio è quello della competitività sui mercati internazionali.
Per compensare i costi ambientali che le imprese europee dovranno sostenere, fra queste anche quelle impegnate in campo agricolo, si vuole introdurre un meccanismo di compensazione.
In pratica una forma di dazio sul contenuto di carbonio dei prodotti importati.
Vincoli che potranno tuttavia creare problemi nei rapporti commerciali con gli Stati Uniti e anche con la Russia.
Altro fronte sul quale è opportuno tenere gli occhi aperti per monitorare le conseguenze di questa politica è la sponda mediterranea e africana.
Il quarto fronte, conclude l'articolo, riguarda la Cina, il maggiore produttore di emissioni inquinanti.
In conclusione la rivoluzione energetica europea ha bisogno di una vera politica estera che consenta di garantire una transizione sostenibile sul piano economico e sociale.
Il vigneto assicurato
Gli effetti dei cambiamenti climatici si sono fatti sentire in modo pesante sui vigneti della Penisola.Gelate in primavera e grandinate in piena estate con danni significativi in molte regioni italiane.
Per difendersi dai danni di questi eventi sono due gli strumenti a disposizione, scrive Giorgio dell'Orefice su "Il Sole 24 Ore" del 17 luglio: il ricorso alle tecnologie e alle polizze assicurative.
In anni recenti, continua l'articolo, si è rivisto l'antico rimedio di accendere falò tra i filari del vigneto.
Più di questi può essere utile il ricorso alle nuove tecnologie che consentono di anticipare gli eventi improvvisi come le gelate e innescare il funzionamento dell'irrigazione antibrina.
Quando il danno si manifesta l'unico rimedio possibile è però quello delle assicurazioni, che tuttavia vedono una scarsa adesione da parte degli agricoltori, che solo nell'11% dei casi ricorrono agli strumenti assicurativi.
Un aiuto, conclude l'articolo, potrà venire dalla nuova riforma della politica agricola comunitaria.
Nel compromesso sottoscritto dall'Italia è previsto l'innalzamento dall'uno al 3% degli aiuti diretti destinati alla gestione del rischio.
Per il nostro paese si tratta di circa 180 milioni di euro l'anno, che andrebbero a coprire il 30% della parte privata dei costi assicurativi.
Il rimanente 70% potrà essere coperto dai fondi per lo sviluppo rurale.
La scottona piace
Si chiama scottona ed è un bovino femmina di età compresa fra i 15 e i 22 mesi.Appartiene a questa categoria la carne che ha fatto registrare nei primi mesi del 2021 un sensibile aumento dei consumi, cresciuti del 12%, a fronte invece di una riduzione (-1,7%) delle carni di bovino nel loro insieme.
Sono alcuni dei dati emersi dal Report di Ismea sulle carni, sui quali si sofferma l'articolo pubblicato su "Libero" del 18 luglio con la firma di Attilio Barbieri.
La pandemia ha portato alcuni cambiamenti nelle abitudini di spesa, che se nel periodo di maggiore allarme vedevano privilegiare il negozio di prossimità, ora segnano un ritorno agli acquisti nelle grandi superfici di vendita.
Tornando al tema dei consumi di carne bovina, l'articolo ricorda che la principale categoria al dettaglio resta quella del bovino adulto (60%) seguita dalla carne di vitello (35%), che si affianca a quella della scottona.
Il 2021 si è tuttavia aperto con un calo del 4,3%, che però fa seguito ad un aumento del 6,9% dell'anno precedente.
Si conferma così la curva in crescita per il consumo di carni bovine, che coincide con un periodo di riduzione dei flussi di importazione dall'estero.
Certo un buon aiuto alla tenuta dei prezzi all'origine.
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